Linee guida ed esiti clinici
Categoria : professione
Data : 28 luglio 2006
Autore : admin
Intestazione :
Esiste una relazione inversamente proporzionale tra la mortalità precoce e l'adesione alle linee guida per il trattamento delle sindromi coronariche acute.
Testo :
Seguire le linee guida migliora gli esiti clinici? Per cercare di rispondere a questa domanda alcuni ricercatori americani hanno valutato gli outcomes di quasi 65.000 pazienti ricoverati per sindrome coronarica acuta, mettendoli in relazione con l'aderenza alle linee guida nazionali emanate dall'American College of Cardiology e dall'American Heart Association. La ricerca ha permesso di stabilire che vi era una chiara relazione inversamente proporzionale tra la mortalità precoce e l'adesione alle linee guida in 350 ospedali: per ogni aumento del 10% di aderenza alle linee guida si aveva una riduzione del 10% della probabilità di morire durante il ricovero. Più del 75% dei pazienti esaminati ha ricevuto i trattamenti raccomandati ma questa percentuale variava dal 63% negli ospedali che disattendevano di più le linee guida all'82% in quelli più ligi ai consigli delle società scientifiche americane di cardiologia. La mortalità intra-ospedaliera era rispettivamente del 6% e del 4% (OR 0,81; IC95% 0,68-0,97).
Fonte: JAMA 2006 Apr 26; 295:1912-1920 Commento di Renato Rossi Questi dati non indicano in maniera inequivocabile che seguire le linee guida porti senza ombra di dubbio ad esiti clinici migliori. Si potrebbe infatti speculare, almeno dal punto di vista teorico, che gli ospedali che più sono aderenti alle raccomandazioni sono anche quelli dotati di personale migliore e più addestrato, di migliori attrezzature e di tecnologie più moderne, tutti aspetti che acquistano estrema importanza nel trattamento delle sindromi coronariche acute. Inoltre va da sè che quanto trovato dagli autori americani vale per le sindromi coronariche acute, ma non è detto sia applicabile in maniera automatica ad altre patologie, anche se è molto probabile che sia così. In effetti è ragionevole ritenere che comportarsi come stabilito dagli esperti che hanno stilato le raccomandazioni delle linee guida possa influire sugli esiti clinici in modo migliorativo, se non altro per due ragioni. La prima è che spesso le raccomandazioni, almeno per le linee guida di buona qualità, sono stilate sulla base di adeguati studi clinici che hanno dimostrato il beneficio di un trattamento o di un comportamento rispetto ad un altro. La seconda è che, quando non ci sono evidenze o queste sono contrastanti, le linee guida elaborano dei consigli basati sul parere di esperti della materia che hanno raggiunto tra loro un consenso formale. Naturalmente qui si inserisce la problematica legata al conflitto di interessi di coloro che stilano le linee guida, aspetto che è stato anche di recente richiamato da alcune riviste scientifiche. Qualcuno è arrivato ad auspicare che le linee guida siano stilate solo da esperti che non dichiarano alcun conflitto di interesse, affermazione facile a farsi, un poco più difficile da mettere in pratica. In ogni caso i limiti delle linee guida sono noti, per cui non dovrebbero essere viste come ricette di cucina pronta da somministrare indiscrimatamente a tutti i pazienti ma come una serie di consigli sui comportamenti da tenere in una determinata situazione e che la comunità scientifica in generale ritiene espressione di buona pratica clinica. Da queste raccomandazioni i medici possono derogare basandosi sul loro giudizio clinico motivato, così da personalizzarle sul singolo paziente tenendo conto dei molteplici aspetti che le linee guida, nelle loro necessaria genericità, non possono prevedere, come la coesistenza di pluripatologie, l'età avanzata, l'intolleranza a determinati farmaci, la compliance, la praticabilità, ecc.
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