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LA FNOM compatta contro il decreto Bersani


Categoria : professione
Data : 12 ottobre 2006
Autore : admin

Intestazione :

il Consiglio Nazionale della FNOMCeO ha approvato a larghissima maggioranza, le linee di interlocuzione con Governo e Parlamento, in particolare sul cosiddetto ‘decreto Bersani’



Testo :

I contenuti della mozione
Oltre alle relazioni di cinque gruppi di lavoro, il Consiglio Nazionale ha approvato a larghissima maggioranza, con sole 4 astensioni, una mozione con la quale si delinea la posizione della FNOMCEO sul decreto-legge 4 luglio 2006 n. 223 "Disposizioni per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale", più noto come "decreto Bersani".
La mozione è articolata in quattro punti. Nel primo si afferma che "è inaccettabile lo strumento della decretazione d'urgenza che va a regolamentare questioni delicate (tariffe, pubblicità, caratteristiche delle società professionali e così via) da anni oggetto di una nostra richiesta di consultazione con il Governo per una loro incisiva revisione. In modo particolare, all'articolo 2, questo provvedimento affronta in modo parziale e impositivo una questione ormai centrale per lo sviluppo economico e civile del nostro Paese e cioè quello di realizzare un moderno ordinamento delle professioni e dei servizi professionali che abbia il suo baricentro in Ordini professionali in grado, quali soggetti pubblici, di promuovere, controllare e garantire ai cittadini la qualità dei servizi resi.

Il secondo punto entra nel merito del provvedimento del Governo: "Il Decreto è dominato da una visione del cittadino inteso esclusivamente come consumatore, dimenticando che la forte asimmetria informativa che caratterizza il mercato della salute fa del nostro cittadino-utente un 'consumatore imperfetto' e quindi più debole, il balìa di una sorta di nuovo consumismo sanitario".

Nel terzo punto si riafferma "il valore sociale e civile degli Ordini, la loro natura giuridica di Enti pubblici con funzioni ausiliarie dello Stato, a garanzia e tutela dei diritti dei cittadini", valore e natura messi in discussione da questo "discutibile passaggio legislativo". Invece, "l'esercizio di tali funzioni richiede una forte e autonoma valorizzazione dello strumento deontologico e della connessa attività disciplinare, che non possono né devono ridursi a mere espressioni derivate della legislazione o dei codici civili e penali".

Nel quarto punto si rileva che "la modernizzazione della normativa che regola i servizi professionali, all'interno della quale è da prevedere un forte rilancio delle Istituzioni ordinistiche, impone l'esigenza di avviare un percorso legislativo contestuale nel tempo e su corsie preferenziali secondo i seguenti indirizzi: l'obbligatorietà dell'iscrizione agli Albi di tutti gli esercenti le specifiche professioni; il riconoscimento e l'affidamento di compiti e funzioni di promozione e sviluppo della qualità professionale (dalla formazione alla valutazione delle performances professionali) attraverso la previsione di misure da inserire nei Codici Deontologici; la titolarità della potestà disciplinare erga omnes, indipendentemente cioè dalle forme e tipologie contrattuali con le quali viene svolta l'attività professionale.
Nel Decreto - è sottolineato nella mozione - è contenuta "la discutibile normativa riguardante le modalità di pagamento dei servizi professionali, che diventano complesse e onerose per tutti; in tal senso gravate dal forte rischio di favorire ciò che giustamente si vorrebbe colpire e cioè l'evasione (articolo 35 comma 12). A tale proposito, sorprende la mancanza di interventi nel campo dell'abusivismo, grossa sacca di evasione fiscale, oltre che di illegalità, a partire da revisione dell'articolo 348 del Codice Penale, che preveda sanzioni e pene più severe. Così come paradossalmente lo stesso fenomeno viene favorito laddove è prevista la possibilità di costituire società interprofessionali senza quelle regole che garantiscono la netta e trasparente distinzione delle competenze professionali specifiche".

Fonte. O. Notaristefano - FNOMCeo

Commento di Luca Puccetti e dell'Avvocato A. Gasperini

Secondo gli esponenti dei potentati economico finanziari ed i loro vessilliferi dell'informazione formalmente indipendente, ma in pratica prezzolata, il sistema italiano degli Ordini contrasta con i Trattati Cee che vietano ogni intesa tra le imprese che abbia effetti restrittivi della concorrenza e del mercato. Ciò dipenderebbe dal fatto che i singoli Ordini raccolgono obbligatoriamente tutti coloro che svolgono una professione; stabiliscono i prezzi dei servizi (tariffe) determinandone il minimo ed il massimo; vietano agli iscritti ogni forma di pubblicità ed, infine, adottano nei loro confronti sanzioni disciplinari che, nei casi più gravi, possono arrivare fino alla radiazione dall'albo con il conseguente divieto di proseguire l'attività. Tutto questo, secondo il compatto fronte dei nemici degli Ordini, impedirebbe la formazione di un prezzo di mercato, l'informazione del consumatore con i consueti canali pubblicitari ed, infine, il libero esercizio della professione. Le attività raccolte negli ordini (mediche, giudiziarie, ingegneristiche ecc.) si svolgono di regola in settori assai delicati dove le regole del mercato non possono essere l'unico criterio di giudizio. In Italia inoltre gli ordini non sono a numero chiuso per cui non è impedito l'accesso a chi ne abbia i requisiti. Le tariffe (considerate l'ostacolo principale da abbattere), lasciano ampia libertà perché servono solo ad impedire eccessi verso il basso. Infine, anche nelle nazioni dove gli Ordini non esistono, non mancano comunque meccanismi di vario genere che tendono ai medesimi scopi. Appare evidente che nei settori regolati dagli ordini esiste una fortissima asimmetria di conoscenze tra il cliente ed il professionista che presta la sua opera. In settori come quello della salute e della giustizia, ad esempio, il cliente non ha affatto la capacità di giudicare, come quando sceglie una lavatrice, chi possa fornirgli servizi appropriati e neppure di valutare se le tariffe richieste possano valere la prestazione offerta. Non può inoltre essere inoltre sottaciuto il fatto che in molte attività professionali non vi è obbligo di risultato, ma di corretto impiego di mezzi secondo protocolli validati scientificamente. Il cliente non ha in sostanza, tranne casi particolari, il diritto ad essere guarito, ma ben curato secondo i migliori standard adottabili nella realtà del paese, non ha il diritto ad essere assolto, se sottoposto a giudizio, ma ad essere ben difeso. L'impossibilità a ricorrere al giudizio sull'esito positivo o meno del servizio richiesto rende ancor più difficle per il cliente comprendere se il servizio ricevuto sia stato adeguato all'obbligo del corretto impiego di mezzi oppure se ci siano state omissioni, manchevolezze od errori. E' solo tramite la mediazione culturale e professionale di organi ausiliari dello Stato, quali sono gli Ordini che si può evitare che siano offerti servizi apparentemente allettanti, ma in realtà tecnicamente e professionalmente scadenti. Pur con tutti i loro limiti, gli Ordini rappresentano ancora uno degli ultimi ed apprezzabili residui di struttura corporativa della società dal momento che garantiscono la libera iniziativa e la concorrenza dei singoli professionisti assicurando nel contempo che il mercato non sia il sovrano assoluto.
Questo accade perché:
a) la concorrenza incontra anzitutto il limite del giusto prezzo: autentico residuo degli scolastici del Medioevo (S. Tommaso in testa);
b) la pubblicità, con il suo potenziale di disinformazione, mistificazione ed istigazione consumistica, è fortemente compressa;
c) nasce in genere un senso di solidarietà tra coloro che svolgono la stessa professione che sono aiutati dall'ordine di appartenenza nella formazione, nelle loro necessità familiari, mediche e pensionistiche (l'ordine forense e quello notarile sono in ciò, autentici modelli);
d) l'Ordine ha di mira - e non secondariamente - il decoro della professione e la correttezza dell'operato degli iscritti anche contrastando gli accaparramenti di clientela.
Non è dunque un caso che gli Ordini professionali siano stati aboliti dalla Rivoluzione francese (come tutte le corporazioni di arti e mestieri): gli avvocati furono addirittura soppressi da chi, evidentemente, riteneva che i processi dovessero essere solo popolari. In Italia, essi seguirono più o meno la stessa sorte con l'avanzare delle armate napoleoniche e furono poi ripristinati solo nel 1874. Erano, del resto, gli anni in cui anche nel mondo cattolico, si assisteva ad una notevole ripresa di interesse per le vecchie corporazioni viste come valida alternativa sia al laissez faire liberale -che aveva causato fenomeni come la giornata lavorativa anche di 16 ore, il lavoro minorile e l'assenza di ogni tutela sociale- che al nascente sindacalismo socialista.
Chi sono gli avversari degli Ordini professionali?
- i tecnocrati per i quali non c'è posto che per l'homo oeconomicus. Essi detestano pertanto l'esistenza di corpi intermedi che, come la famiglia e le associazioni di categoria, si frappongono tra l'individuo e lo Stato difendendo l'esistenza di tutto ciò che non è mercificabile;
- il mondo che fa capo ai poteri forti economico, finanziari, assicurativi che vorrebbe lucrare anche sul lavoro di un milione e mezzo di persone (tanti sono i professionisti in Italia). Aboliti gli Ordini, gli avvocati, i commercialisti, gli architetti, gli ingegneri, i medici diverrebbero infatti facile preda di quelle società multifunzionali dove il professionista, oggi lavoratore autonomo, si trasformerebbe a poco a poco in un dipendente: né più né meno di come i supermercati hanno fatto sparire o fagocitato i piccoli commercianti;
- chi ha interesse a far confluire le ricche casse pensionistiche di molti ordini professionali (sostenute con il denaro degli iscritti e senza oneri per lo Stato) nel marasma dei fondi pensionistici pubblici.
Sparito infatti il mondo delle professioni, un altro non insignificante passo sarebbe compiuto verso uno stato di cose livellato, tecnocratico, globalizzato cui proporre i servizi in modo massificato e programmato come avviene oggi per le merci, che vengono propinate su scala di massa, con pochissime variazioni, da Pechino a New York. Si perderebbe tutta la tradizione e la peculiarità, sedimentata nei secoli nelle professioni, essenza della cultura e della storia dei popoli. La mercificazione dei servizi professionali trasformerà tanti intellettuali indipendenti in garzoni di catene dispensatrici di servizi standardizzati di massa che faranno lucrare gli azionisti ed i dirigenti. Il cittadino non avrebbe più davanti a sé un professionista indipendente con cui intrattenere un rapporto peculiare e per il quale egli è un significativo cliente, ma un funzionario fornito da una holding rispetto alla quale egli ha la stessa importanza di quando passa con il carrello della spesa davanti alla cassa del supermercato.



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