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Utilità della spirometria nei bambini e praticabilità nell'ambito delle cure primarie


Categoria : pediatria
Data : 23 aprile 2007
Autore : admin

Intestazione :

La spirometria è fattibile nel setting delle cure primarie ed è utile nell'inquadramento iniziale del bambino asmatico e nel monitoraggio in quanto l'esame clinico sovrastimerebbe il controllo dell'asma.



Testo :

Il primo lavoro è stato realizzato in ambiente specialistico (reparto di pneumologia).
Obiettivo: Determinare se l’esame spirometrico può influenzare l’approccio al bambino asmatico in un singolo incontro, al di là di quanto ottenuto dal solo quadro clinico e anamnestico.
Setting: Lo studio è stato realizzato presso il reparto di pneumologia pediatrica di un ospedale universitario del Connecticut (USA).
Disegno: Sono stati reclutati pazienti di età compresa tra i 4 e i 18 anni, con asma, giunti all’osservazione nel periodo giugno 2003-febbraio 2004. I pazienti arruolati hanno eseguito un esame spirometrico prima della valutazione clinica e anamnestica. In un secondo tempo i medici hanno stabilito il grado di controllo dell’asma e fornito le indicazioni terapeutiche iniziali sulla base dei soli dati clinico-anamnestici (quindi prima di sapere il risultato della spirometria) e hanno espresso una previsione sul risultato stesso della spirometria. Successivamente, sulla base dei risultati spirometrici, hanno modificato, se necessario, la terapia. L’outcome principale misurato dagli autori era dunque l’eventuale modificazione della terapia in base ai risultati spirometrici rispetto alla terapia indicata dopo la sola valutazione clinica e anamnestica.
Principali risultati: Sono stati arruolati 367 pazienti, 80 nuovi e 287 già noti: 30 (8%) con asma lieve-intermittente, 76 (21%) con asma lieve-persistente, 208 (57%) moderata-persistente e 53 (14%) grave (secondo le linee guida NAEPP). La spirometria è risultata normale in 200 casi (55%) e anormale nei restanti 167, con una probabilità di anomalie spirometriche in progressione lineare con l’aumento della gravità dell’asma (dal 10% nelle forme lievi al 74% nelle forme gravi), ma non con l’esame clinico. Il 50% dei pazienti considerati presentava storia ed un esame obiettivo negativi. In 56 casi (15,3%) la spirometria ha modificato le decisioni terapeutiche e si trattava nel 10% di asme lievi intermittenti, nel 20% lievi persistenti, nel 16% moderate persistenti e nell’8% severe persistenti. Quando la spirometria non ha modificato la decisione terapeutica i medici con maggior probabilità confermavano la terapia (58%) piuttosto che aumentarla (17%) o diminuirla (24%). Al contrario, quando la spirometria ha modificato la terapia, i medici con maggior probabilità aumentavano la terapia (75%), piuttosto che mantenerla (19,6%) o diminuirla (5,4 % dei casi). Gli Autori hanno inoltre valutato la specificità e la sensibilità del PEF nell’identificare i ragazzi con anomala funzione polmonare (FEV1 < 80% e/o FEF 25-75% < 60%).
Conclusioni degli autori: I risultati spirometrici sono frequentemente anormali nei ragazzi, anche in quelli con una normale obiettività ed anamnesi. In assenza degli studi spirometrici, i medici, anche se esperti in campo pneumologico pediatrico, spesso sovrastimano il grado di controllo dell’asma. La conclusione è perciò che la spirometria è consigliata nell’inquadramento iniziale e nel monitoraggio dell’asma. Il PEF (considerato anormale se <80% del predetto) ha una specificità del 94%, ma una scarsa sensibilità (48%) per cui sottostima il grado di ostruzione bronchiale; non può quindi sostituirsi ad uno studio spirometrico. In questo studio la gestione del bambino asmatico è stata svolta da pneumologi. Nell’ambito delle cure primarie l’impatto della spirometria potrebbe essere maggiore. Potrebbe perciò essere utile una implementazione dell’utilizzo della spirometria nelle cure primarie.

Il secondo lavoro è stato realizzato da un gruppo italiano nell’ambito delle cure primarie.

Obiettivo: Indagare la validità della spirometria eseguita ambulatorialmente nell’ambito delle cure primarie.
Setting: Lo studio è stato realizzato in Italia presso gli ambulatori di 10 pediatri di famiglia del Veneto e presso il Centro di Fisiopatologia Respiratoria dell’Università di Padova.
Disegno: Sono stati reclutati pazienti tra i 6 e i 15 anni con diagnosi di asma o di tosse persistente da più di 15 giorni, reclutati negli ambulatori pediatrici durante le visite di routine. Su tali pazienti dopo training specifico, i pediatri di famiglia coinvolti hanno eseguito nel loro ambulatorio un esame spirometrico e hanno dato una loro interpretazione al test. Nello stesso giorno la spirometria è stata eseguita sugli stessi pazienti da due pneumologi pediatri nel laboratorio di fisiopatologia respiratoria, con controllo successivo della qualità della spirometria eseguita dai pediatri e della correttezza della loro interpretazione. Veniva utilizzato lo stesso tipo di spirometro portatile.
Principali risultati: Sono stati arruolati nello studio 109 pazienti di cui 98 con asma bronchiale e 11 con tosse persistente. 52 sono stati assegnati con randomizzazione all’esecuzione nello stesso giorno della spirometria nell’ambulatorio del pediatra di famiglia e nel laboratorio di fisiopatologia respiratoria. 85 esami spirometrici (78%) hanno corrisposto ai criteri di accettabilità e di riproducibilità richiesti: in questi è risultata una buona sovrapposizione tra FVC, FEV1 e FEF25-75 eseguiti nei due setting. Nei 24 test non accettabili, la maggioranza degli errori è dipesa da una partenza lenta o da un soffio corto. L’interpretazione del pediatra di famiglia non è stata però corretta in 23/109 casi (21%) in particolare con sottostima del quadro ostruttivo.
Conclusioni degli autori: Sembra giustificato l’utilizzo della spirometria nell’ambito delle cure primarie, che può migliorare il monitoraggio dell’asma, ma è necessario un training adeguato del pediatra di famiglia da parte di centri qualificati, possibilmente con monitoraggio della formazione nel tempo. In tal modo potranno migliorare sia la qualità dell’esecuzione del test che l’interpretazione del test da parte del pediatra.

Fonti:
1) J. Pediatr 2005;147:797-801.
2) Pediatrics 2005;116;792-797.

Contenuto gentilmente concesso da: Associazione Culturale Pediatri (ACP) - Centro per la Salute del Bambino/ONLUS CSB - Servizio di Epidemiologia, Direzione Scientifica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste; tratto da: Newsletter pediatrica. Bollettino bimestrale- Dicembre 2005 -Gennaio 2006, Volume 4, pag. 19-20 e 26-28.

Commento

Il primo studio selezionato segnala il rischio di sottostimare il controllo dell’asma in assenza di una spirometria. Il suo limite principale è quello di considerare la spirometria come il gold standard della gestione dell’asma, al di là della clinica e dell’anamnesi. Il secondo è uno studio di fattibilità nell’utilizzo della spirometria nell’ambito delle cure primarie, che enfatizza l’importanza di una valida formazione dell’operatore. Mancano purtroppo alcune informazioni, quali la percentuale di errore per singolo operatore. Sarebbe interessante sapere se gli errori di esecuzione (24 su 109) e quelli di interpretazione (23 su 109) si concentrano negli stessi soggetti o se si sommano. Il problema resta aperto, perché la spirometria è oggi più accessibile al pediatra di famiglia e non è ancora chiaro quanto realmente utile possa essere nella gestione del paziente asmatico. Non solo per possibili errori di esecuzione e di interpretazione, ma anche di migliore controllo della sintomatologia rispetto alla sola valutazione clinica.

Commento di Giorgio Longo

Nel primo studio considerato si afferma che il tracciato spirometrico è frequentemente alterato (FEV1 inferiore all’80% del predetto) nei bambini asmatici e con percentuali non irrilevanti anche tra quelli con i più bassi livelli di gravità: nell’8% delle asme intermittenti e nel 21% delle asme lievi persistenti. I risultati dello studio dimostrerebbero non soltanto che ci può essere un’ampia discrepanza tra sintomatologia asmatica e tracciato spirometrico, ma anche che quest’ultimo ha indotto a modificare la decisione prescrittiva dello specialista nel 15% dei casi.
Prima di entrare nel merito del problema “spirometria si, spirometria no” nell’ambulatorio del pediatra di famiglia, che alla fine accomuna questo lavoro con il secondo segnalato, vorrei fare alcuni commenti e soffermarmi su alcune perplessità che l’articolo mi ha sollevato.
1) In primo luogo i bambini arruolati non sono rappresentativi della normale distribuzione della gravità dell’asma, che prevede la netta ed ampia prevalenza (3 bambini su 4) dell’asma intermittente su quello persistente, mentre nello studio soltanto il 10% dei bambini aveva un’asma intermittente. Questo per dire che un cambio di terapia guidato dalla spirometria, già relativamente modesto nello studio (nel 15% dei casi), diventa irrisorio se riportato ad una normale distribuzione di gravità che un pdf può aspettarsi.
2) Gli autori affermano che il 71% dei bambini aveva (vedi materiali e metodi) un asma di livello 3 o 4 (moderato o grave persistente), ma nei risultati ritroviamo scritto che 274 (il 75% del totale) aveva una “normal history” (cioè una anamnesi muta!). E allora su quali criteri è stato definito il livello dell’asma!? Evidentemente sono stati categorizzati prima dell’arruolamento e verosimilmente utilizzando anche la spirometria come criterio di gravità. Questo significa anche che tutti i bambini, a parte i pochi nuovi arruolati, erano già in trattamento di fondo con steroidi inalatori quando sono stati esaminati ed interrogati con il questionario. Mi sembra un dato non da poco per non essere stato nemmeno citato dagli autori.
3) Quanto sopra lo sottolineo anche per dire che è difficile credere che loro abbiano visto con un’altissima frequenza quello che io (ma questa è l’esperienza di tutti) che lavoro giornalmente in un ambulatorio dedicato e di riferimento regionale e nazionale non ho mai visto! Nella pratica di ogni giorno è di fatto molto comune vedere bambini con asma persistente, lieve o moderato (ma spesso anche grave), con una spirometria di base perfettamente normale, mentre è assolutamente eccezionale trovare un bambino asintomatico (che corre, che gioca a pallone e che mai ricorre al Ventolin) con una spirometria alterata. Nello studio in questione è stata trovata in quasi la metà dei casi e indipendentemente dalla gravità dell’asma (sic!). Tra l’altro ricordo che il limite di anormalità definito dagli autori (riduzione del FEV1 maggiore del 20%) è un difetto molto marcato, raro da trovare in benessere persino nelle asme più gravi. L’unica benevole (ma non tanto) spiegazione è che gli Autori del primo lavoro abbiano adottato come riferimento valori del FEV1 non adatti alla popolazione in esame (i valori del FEV1 si distribuiscono in una curva di percentili in funzione dell’altezza del bambino). Non a caso le linee Guida GINA invitano ad utilizzare il valore del FEV1 rapportato alla capacità vitale (il vecchio indice di Tiffenau) per stimare l’entità della broncostruzione.
4) E infine, come si fa a credere che le alterazioni spirometriche siano state percentualmente non dissimili tra quelli con anamnesi muta e obiettività toracica negativa e quelli con sintomi asmatici ma, specialmente, obiettività “abnormal” (vedi discussione)? In altre parole gli autori vorrebbero farci credere che i soggetti con una obiettività toracica “abnormal” (che nell’asmatico non può che essere l’espirio prolungato con fischio) presentavano una spirometria alterata con la stessa probabilità di chi aveva un torace pulito!? Su questi aspetti non posso fare a meno di ricordare come molto spesso in questi studi ognuno trova quello che decide di voler trovare. E questo perché la stessa valutazione della gravità dell’asma si presta facilmente a diversificate interpretazioni. In uno studio pubblicato su Chest nel 2003 e dal titolo esplicativo (“Classifyng asthma: disagreement among specialists”) è stato chiesto a 24 specialisti allergologi e pneumologi pediatri di definire il livello dell’asma seguendo le linee guida GINA/NAEPP: la difformità di opinione che ne è scaturita è a dir poco imbarazzante. Non sorprende pertanto che accanto a lavori che amplificano e sottolineano la discordanza tra percezione dell’asma di pazienti o genitori e funzionalità respiratoria (Horak E. Pediatr Pulmonol 2003), vi sono altri che dimostrano perfettamente il contrario (Shim CS. Am J Med 1980).
Ma al di là di queste considerazioni e come giustamente è stato commentato dal revisore dell’articolo, il difetto principale dello studio è quello di considerare la spirometria come l’outcome fondamentale della gestione dell’asma, al di là della clinica e della qualità di vita dell’interessato. Di fatto nel lavoro viene soltanto detto che senza l’ausilio della spirometria alcuni bambini avrebbero ricevuto una “suboptimal therapy”. Ma “suboptimal” rispetto a cosa? Alla correzioni della spirometria (probabile) o al miglioramento della clinica (improbabile visto che la gran parte di questi era già asintomatico, con “normal history”). A questo proposito è opportuno ricordare quanto molto opportunamente hanno scritto gli estensori delle linee guida “Britanniche” all’introduzione del capitolo del trattamento farmacologico dell’asma: “It is not appropriate to define a fixed level of lung function or symptom control which must be achieved, as individual patients will have different goals and may also wish to balance these aims against the potential side effects or inconvenience of taking the medication necessary to achieve “perfect” control” (Thorax 2003;58, suppl 1: S1-S96, vedi).
Dobbiamo infatti sempre ricordare che nessun trattamento farmacologico è in grado di modificare stabilmente l’asma e che l’obiettivo del trattamento non deve essere quello di rincorrere la flogosi o l’ipereattività bronchiale, ma quello di garantire all’interessato la migliore qualità di vita e che questo non è un concetto assoluto, ma va confrontato con i bisogni e le attese di ogni singolo. Nella pratica questo significa che se un paziente afferma di essere asintomatico o di non essere disturbato dalla sua residua e/o occasionale accessualità, ogni appesantimento della terapia comporterà soltanto un inevitabile aumento degli effetti collaterali con un altrettanto inevitabile perdita di compliance (mancata aderenza al trattamento “imposto”). Da qui la mia affermazione che: ”la terapia di base va fatta soltanto se chi la fa se ne accorge ed è d’accordo” (Medico e Bambino, 2005;24:157-163). Lasciando quindi da parte ogni paura di fare una “suboptimal” terapia, ma al contrario facendo sempre molta attenzione a non finire per sbagliare in eccesso. Non dimentichiamoci che l’asma lieve persistente, che assieme al primo livello dell’asma intermittente copre la quasi totalità delle forme pediatriche, non si è dimostrata giovarsi del trattamento steroideo di fondo (Boushey HA. N Engl J M 2005; 352:1519-28) e che un uso moderato per tempi brevi permette di ottenere gli stessi risultati che trattamenti protratti per molti mesi (Berti I. N Engl J Med. 2005;353:424-7).
E da ultimo, ma non certo perché meno importante, dobbiamo ricordare che il tracciato spirometrico nella sua componente ostruttiva irreversibile (il “remodelling” per intenderci, che si misura bene con l’indice di Tiffenau) si acquisisce nei primi sei anni di vita; non è modificato dal trattamento steroideo, nemmeno quando iniziato precocemente all’esordio dell’accessualità e rimane successivamente stabile (non peggiora e non migliora) per tutto il resto della vita (Morgan WJ Am J Respir Crit Care Med 2005; Sears M. N Engl J Med 2003;349:1414-22; Horak E. BMJ 2003;326:422-423).
Per concludere io ritengo che nel bambino asmatico una spirometria in benessere va certamente fatta appena possibile, ci permette di capire il passato (quanto è, e se c’è stato, il danno ostruttivo irreversibile) e da questo anche la prognosi futura. Successivamente alle visite di controllo può essere ragionevole fare una spirometria (per confermare e rafforzare le nostre scelte terapeutiche), ma ritengo fortemente sbagliato programmare le visite solo per controllare la spirometria.
E con queste ultime considerazioni ci possiamo ben collegare anche alle problematiche offerte dal secondo studio. Gli autori concludono affermando che con una valida formazione il pediatra di famiglia può certamente eseguire correttamente nel suo ambulatorio la spirometria. Di questo ne sono perfettamente convinto e mi stupisce non poco che ci siano stati errori di esecuzione da parte di pediatri che avevano già ricevuto un training specifico. Molto meno sorprendente invece è che ci siano state delle scorrette interpretazioni del tracciato (23 volte su 109 spirometrie). E proprio qui sta il nocciolo della questione, perché la spirometria non può essere letta correttamente se avulsa dal contesto clinico anamnestico; e sono anche sicuro che senza il dato clinico anche tra gli stessi specialisti avremmo trovato discordanti opinioni di lettura (analogamente a quanto, come è noto e ampiamente dimostrato, può succedere nelle lettura delle radiografie del torace nella diagnosi di broncopolmonite/bronchite asmatica/bronchiolite). Da ciò si può ben capire come uno strumento potenzialmente utile come la spirometria può rischiare facilmente di diventare fuorviante e potenzialmente dannoso. Come ricordavo prima il tracciato spirometrico nelle componenti ostruttive irreversibili continua a mantenersi tale indipendentemente dalla terapia, mentre un soggetto con tracciato perfettamente normale, fuori dagli episodi broncostruttivi acuti, continuerà ad averlo tale per tutta la vita. Come si può allora pensare che una misurazione puntiforme della spirometria, fatta un determinato giorno dell’anno, possa illuminare il medico curante sulla gravità dell’asma e sulla terapia da adottare? Al contrario, il pediatra di famiglia, inevitabilmente insicuro, troverà nel tracciato spirometrico molte più incertezze che conferme. Basti pensare che anche tra gli specialisti la spirometria ha portato ad un appesantimento della terapia nel 15% dei casi. Non è difficile immaginare quindi che il pediatra munito di spirometro finirà per raccomandare controlli più ravvicinati e parallelamente a questi aumenterà il suo accanimento terapeutico (e come potrebbe accadere il contrario?), ma anche, paradossalmente, aumenterà il suo bisogno di conferme e quindi di confrontarsi con gli specialisti ospedalieri. Avremo ottenuto, in altre parole, il contrario di quanto lo studio Zanconato si prefiggeva.



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