Terapia invasiva precoce nelle sindromi coronariche acute senza elevazione di ST
Categoria : cardiovascolare
Data : 23 aprile 2007
Autore : admin
Intestazione :
Una nuova meta-analisi suggerisce che la terapia invasiva precoce nelle sindromi coronariche acute senza elevazione di ST porta ad un miglioramento a lungo termine della sopravvivenza e ad una riduzione degli eventi avversi cardiovascolari.
Testo :
Scopo di questa meta-analisi era valutare se la terapia invasiva precoce nelle sindromi coronariche acute senza elevazione di ST riduca gli eventi cardiovascolari e migliori la sopravvivenza. La ricerca ha permesso di ritrovare 7 RCT (per un totale di 8.375 pazienti) in cui era stata paragonata la terapia invasiva precoce versus trattamento conservativo. Ad un mese la mortalità totale risultava ridotta nel gruppo terapia invasiva precoce del 18%, ma non in modo statisticamente significativo (RR 0,82; IC95% 0,50-1,34; p = 0,43). A 2 anni la mortalità risultava ridotta del 25% nel gruppo terapia invasiva e questa volta in modo statisticamente significativo (RR 0,75; IC95% 0,63-0,90; P = 0,001). Sempre a 2 anni l'incidenza di infarto non fatale risultava essere rispettivamente del 7,6% vs 9,1% (RR 0,83; IC95% 0,72-0,96; P = 0,012) mentre la riduzione di questo end-point ad un mese era del 7% ma non significativa (RR 0,93; IC95% 0,73-1,18; P = 0,57). Ad un follow-up medio di 13 mesi la terapia invasiva precoce comportava una riduzione dei ricoveri per angina instabile (RR 0,69; IC95% 0,65-0,74; P < 0,0001). Gli autori concludono che nelle sindromi coronariche acute senza elevazione di ST un approccio invasivo precoce migliora a lungo termine la sopravvivenza e riduce l'infarto e le ospedalizzazioni per angina instabile.
Fonte: Bavry AA et al. Benefit of Early Invasive Therapy in Acute Coronary Syndromes. A Meta-Analysis of Contemporary Randomized Clinical Trials. J Am Coll Cardiol. 2006; 48:1319-1325
Commento di Renato Rossi
In una meta-analisi [1] precedente ( 7 RCT per 9208 pazienti, follow-up medio 17 mesi) era stato evidenziato che nelle sindromi coronariche acute (angina instabile o infarto miocardico senza elevazione di ST) la strategia invasiva precoce comportava una maggior mortalità intraospedaliera (1,8% vs 1,1%) ma una successiva riduzione della mortalità dopo la dimissione (3,8% vs 4,9%), così come risultava ridotto l'end-point composto da morte e infarto miocardico (12,2% vs 14,4%). I pazienti che sembravano avvantaggiarsi di più da una terapia aggressiva erano quelli a rischio più elevato per avere aumentati valori di troponina e CK mentre non ne traevano beneficio quelli in cui i markers di danno cardiaco erano negativi. La meta-analisi recensita in questa pillola ha preso in considerazione tutti gli studi più importanti (FRISC II, ICTUS, ISAR - COOL, RITA 3, TACTIS - TIMI 18, TRUCS e VINO) e conferma in sostanza i benefici a lungo termine dell'approccio aggressivo (coronarografia e rivascolarizzazione): a due anni si ottiene una riduzione della mortalità totale del 25% e dell'infarto non fatale del 17% ed a 13 mesi una riduzione delle ospedalizzazioni per angina instabile. La meta-analisi di Metha e coll. indicava però che i benefici si avevano solo nei pazienti ad alto rischio, un aspetto che non è stato indagato da Bavry e coll. Rimane sul tappeto la questione se i risultati dei trials siano trasferibili tout curt nella pratica clinica. Uno studio [2] ha riportato i dati del registro GRACE (Global Registry of Acute Coronary Events) per un totale di di 28.825 pazienti ricoverati per sindrome coronarica acuta in 14 paesi. La probabilità di essere sottoposti a intervento di PCI era del 41% negli ospedali più attrezzati e del 3,9% per i pazienti ricoverati in prima istanza negli ospedali non in grado di eseguire il cateterismo cardiaco mentre per il by-pass coronarico la percentuale era rispettivamente del 7.1% vs 0.7%. Nonostante questo il rischio di decesso precoce non era diverso tra i pazienti ricoverati nelle due tipologie di ospedali. A distanza di sei mesi il rischio di morte era significativamente più alto nei pazienti ricoverati presso ospedali in grado di effettuare interventi di riperfusione tramite angioplastica o by-pass durante la fase acuta rispetto ai pazienti ricoverati in ospedali non in grado di farlo. Anche il rischio di sanguinamenti e di stroke era significativamente maggiore nei pazienti ricoverati negli ospedali più attrezzati. Si tratta ovviamente di uno studio osservazionale e quindi vi può essere stato un bias di selezione dei pazienti (quelli più gravi e più a rischio possono essere stati subito ospedalizzati nelle strutture più attrezzate). Nonostante questo il problema rimane: è preferibile avviare alla coronarografia e successiva rivascolarizzazione precoce tutti i pazienti con sindrome coronarica acuta oppure solo quelli a rischio più elevato di complicanze? Studi e meta-analisi future potranno meglio chiarire questo aspetto che non è per nulla secondario perchè implica una scelta di adeguata allocazione delle risorse sanitarie.
Referenze 1. Mehta SR et al. Routine vs selective invasive strategies in patients with acute coronary syndrome. A collaborative meta-analysis of randomized trials. JAMA 2005 May 15;293: 2908-17 2. Van de Werf F et al. for the GRACE Investigators. Access to catheterisation facilities in patients admitted with acute coronary syndrome: multinational registry study. BMJ 2005 Feb 26; 330:441
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