Che cos’è avvenuto col caso Welby?
Categoria : professione
Data : 27 dicembre 2006
Autore : admin
Intestazione :
Riportiamo un brano dell’intervista del dottor Mario Riccio, il medico che ha staccato Piergiorgio Welby dal respiratore, pubblicata sul quotidiano di Cremona e Crema “La Provincia” di Sabato, 23 Dicembre.
Testo :
Dottor Riccio, si sente sereno? Assolutamente sì
Lei nega fermamente che il caso Welby sia un caso di eutanasia. «Sul caso Welby è stato fatto un errore di definizione. Non è un caso né di eutanasia, ossia la somministrazione volontaria di un farmaco che porta alla morte, né di testamenti di vita né di accanimento terapeutico che, a differenza delle prime due categorie, non si può definire in modo chiaro, perché è impossibile definire cosa per un paziente sia o no compatibile con il suo concetto di dignità della persona.
Che cosa è il caso Welby? «E’ un caso di rifiuto di cura. Welby era attaccato alla macchina dal 1997, era un tutt’uno con la macchina. E ho trovato davanti a me una persona lucidissima, che sapeva quale terapia accettare o non accettare. Il caso Welby è una dimostrazione chiara, ulteriore dell’autonomia della persona. Anche Papa Wojtyla si è rifiutato di tornare al Gemelli. Gli era stato detto che la tracheotomia non era più sufficiente, che era necessario attaccarlo al respiratore.
Sì, ma nel caso del Santo Padre hanno detto che era accanimento terapeutico. «E allora quello di Welby non lo è? Welby allora è stato più religioso del Papa? Vede, siamo al punto di partenza. Mercoledì, il Consiglio Superiore di Sanità, il ministro Livia Turco ci ha convocato perché voleva sapere da noi se quello di Welby fosse accanimento terapeutico. Ed è su questo equivoco la battaglia. Se non si definisce un confine, se non definiamo di cosa parliamo, è inutile parlarne.
Commento di Renzo Puccetti
Non volendo entrare nel campo del contenzioso sulla bontà dell’agire medico del medico di Cremona è forse utile acquisire alcuni elementi di riflessione. L’edizione online del medical dictionary (National Library of Medicine per il National Institute of Health) fornisce le due seguenti definizioni del termine eutanasia: 1) the act or practice of killing hopelessly sick or injured individuals (as persons or domestic animals) in a relatively painless way for reasons of mercy; 2) the act or practice of allowing a hopelessly sick or injured patient to die by taking less than complete medical measures to prolong life. Il paziente Welby non era in imminenza di morte, come peraltro stabilito da uno specifico parere del CSS, il complesso delle azioni intraprese ha quindi determinato l’anticipazione della morte del paziente, come da lui stesso richiesto. Le azioni intraprese “contestualmente” sono state la disconnessione del paziente dall’apparecchio per la ventilazione e la somministrazione di farmaci sedativi. Entrambi le azioni, nelle condizioni del soggetto, sono potenzialmente in grado di procurare la morte, perché se da un lato interrompere la ventilazione assistita dopo un lunghissimo periodo di tempo senza un adeguato svezzamento è rischioso anche per un soggetto altrimenti sano, la finestra terapeutica di un cocktail sedativo in un paziente con insufficienza ventilatoria è sicuramente notevolmente ristretta. La reale volontà del paziente è stata attestata attingendo alla lucidità e alla presenza anche di pensieri “a contenuto vitale”. A tale proposito, sempre parlando in termini generali e ribadendo la necessità della visita del paziente per formulare giudizi specifici, né l’orientamento spazio-temporale, né l’assenza di fissità dei pensieri di morte (in tal caso sarebbe più logico pensare ad un disturbo ossessivo) escludono la possibile presenza di un quadro di “Disturbo dell’umore dovuto ad una condizione medica generale” codice di malattia [293.83] del DSM IV. In pazienti affetti da cancro allo stadio terminale la lucidità dei pazienti che chiedevano l’eutanasia aveva indotto i medici olandesi a ritenere questi soggetti meno gravati da un disturbo depressivo, ma una specifica valutazione ha mostrato come a parità di condizioni cliniche la presenza di depressione aumentava del 400% la probabilità di richiedere l’anticipazione della morte. Un' ultima considerazione di carattere generale: siamo pronti ad accettare le conseguenze di una elevazione del principio di autodeterminazione del paziente, al punto da farlo prevalere su ogni altra considerazione, fino a dettare il comportamento non solo omissivo, ma anche commissivo del medico? Sono gli stessi colleghi olandesi (in Olanda secondo i certificati di morte nel 2001 si sono effettuate 982 eutanasie senza il consenso esplicito del paziente, cifra da raddoppiare per la presenza di procedure non notificate, stimate essere il 49% del totale) che in un rapporto del Dicembre 2004 giustificano l'eticità dell'eutanasia "on demand" definendo "un illusione" suggerire che la sofferenza di un paziente "possa essere misurata senza ambiguità sulla base della sua malattia". Gettato alle ortiche il paternalismo medico, credo sia bene, giusto e nobile riscoprire la paternità medica.
Bibliografia 1) http://www.liberta.it/asp/default.asp?IDG=612202017&H=DSM IV pag. 406-10 dell’edizione italiana 2) Van der Lee ML et al. J Clin Oncol 2005, 23: 6607-12 3) The Lancet, 2003; 362: 395-399 4) http://www.bmj.com/cgi/content/full/331/7518/691/DC1 5) British Medical Journal, 2005; 330: 61.
Commento di Renato Rossi
Credo che non si possa esprimere un commento sul doloroso caso di Piergiorgio Welby senza partire all'articolo 32 della Costituzione Italiana, che recita testualmente: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". A me sembra che lo spirito dell'articolo della Costituzione sia chiaro (al di là di sottili disquisizioni di tipo forense che già ci sono state e che continueranno ancora a lungo) e che i padri costituenti abbiano inteso difendere un principio fondamentale dell'uomo: la libertà di scelta delle cure cui essere sottoposti e nello stesso tempo di rifiutarle, fatte salve precise e limitate disposizioni di legge. Un ulteriore punto da considerare è quanto prevede l'articolo 13 della Costituzione, sul quale si è espressa la Corte Costituzionale (sentenza n. 470 del 1990) affermando che nel concetto di libertà va compreso anche il diritto di ciascuno di disporre del proprio corpo: la "libertà di autodeterminarsi in ordine ad atti che coinvolgono il proprio corpo ha un diretto fondamento costituzionale nel principio di libertà personale". Un requisito fondamentale per una libera scelta è che il paziente sia pienamente informato delle conseguenze delle sue decisioni e del tutto in grado di intendere e volere. Non credo che nel caso di Welby ci possano essere dubbi in proposito, basta leggere la sua appassionata lettera al presidente della Repubblica. Ma, si dirà, staccare la spina è eutanasia o suicidio assistito. Le cose sono diverse, a mio modo di vedere (e non solo mio). Se un paziente viene tenuto in vita da una terapia o da una tecnologia e ad un certo punto decide di interromperla si tratta di rifiuto di cura. L'eutanasia o il suicidio assistito è quando io sopravvivo non per effetto di farmaci o di macchine e sono in stato di sofferenza e chiedo che mi venga dato qualcosa per morire (Stefano Rodotà). Tuttavia va notato che in Italia vi è un vuoto legislativo che non permette, nei casi estremi come quello di cui ci stiamo occupando, di dare piena attuazione al dettato costituzionale, come d'altra parte è stato ammesso dallo stesso giudice monocratico chiamato a decidere, che, se da una parte ha rigettato il ricorso di Welby proprio per mancanza di strumenti normativi, dall'altra ha riconosciuto il suo diritto di rifiuto delle cure. Vi è da notare che contro tale decisione è ricorsa la Procura, affermando il diritto di Welby ad interrompere terapie non volute. La distinzione tra comportamento omissivo del medico e comportamento commissivo, oltre ad essere discutibile sul piano sostanziale, lo potrebbe essere anche su quello formale e legale. In effetti un articolo del codice penale stabilisce che non impedire un evento che si ha il dovere di evitare equivale a causarlo. In questo senso se "staccare la spina" di un ventilatore meccanico viene considerato eutanasia o suicidio assistito si potrebbe trovare qualcuno che considera alla stessa stregua non applicare un respiratore artificificiale ad un paziente che ne necessita ma lo rifiuta, come successe con Papa Wojtyla. In entrambi i casi ne segue la morte del paziente. Ma, si dice, nel caso del papa polacco era accanimento terapeutico. Premesso che manca una definizione universalmente accettata di "accanimento terapeutico" e nessuno sa bene di che cosa si tratta (anche il parere del Consiglio Superiore di Sanità rimane appunto un parere, per quanto autorevole), penso che qualsiasi cosa si intenda non potrà mai prescindere dal paziente e dalle sue intime convinzioni. Non previlegiare il dettato costituzionale della libera scelta della terapia (o del suo rifiuto) sopra qualsiasi altra considerazione può portare ad imboccare strade senza uscita. Si pensi per esempio ad un paziente affetto da insufficienza renale cronica terminale che non volesse più recarsi in ospedale per le sedute di dialisi. E' pacifico che ne seguirebbe la morte. Dovrebbe il medico curante denunciare il caso alla magistratura onde sia ordinato il trasporto del paziente, forse in manette e scortato dalla guardie, al reparto di nefrologia? E se invece il medico non denuncia il caso sarebbe perseguibile per aver causato, con la sua omissione, il decesso del paziente? D'altra parte il diritto al rifiuto di cure è stato sancito da numerose sentenze della magistratura. Per esempio la sentenza del GIP (Tribunale di Messina, 11.07.1995) che assolve dall'accusa di omicidio i medici che non avevano trasfuso una paziente testimone di Geova oppure la sentenza del pretore di Roma (09.04.1997) che afferma come una persona in grado di intendere e volere possa rifiutare l' emotrasfusione anche quando ne deriva la morte, della quale i medici non sono ritenuti responsabili. Il Comitato nazionale di Bioetica (Informazione e consenso all'atto medico, 1992 pag. 30) stabilisce che vi è un dovere ad intervenire solo quando la salute del paziente può essere lesiva per la salute degli altri. Sentenze della Cassazione e della Corte Costituzionale (vedi per esempio la sentenza n. 238 del 9 luglio 1996) hanno riconosciuto il diritto alla libera decisione del paziente anche quando rifiutare le cure comporti danni per il malato. Così la Cassazione con sentenza n. 699 del 21 aprile 1992: "Nel diritto di ciascuno di disporre della propria salute e integrità personale, pur nei limiti previsti dall'ordinamento, non può che essere ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche lasciando che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme conseguenze: il che non può essere considerato il riconoscimento di un diritto positivo al suicidio, ma è invece la riaffermazione che la salute non è un bene che possa essere imposto coattivamente al soggetto interessato dal volere o, peggio dall'arbitrio altrui ma deve fondarsi esclusivamente sulla volontà dell'avente diritto, trattandosi di una scelta che riguarda la qualità della vita" Qualcuno potrà obiettare che solo quando si tratti di accanimento terapeutico è possibile procedere alla sospensione delle cure. Tuttavia, come facevo notare, non esiste una definizione universalmente accettata di accanimento terapeutico, che invece deve essere "una nozione necessariamente fluida... che proprio nell'apparente sua vaghezza trova la possibilità di adattarsi a situazioni sempre diverse..." (Stefano Rodotà, La Repubblica 27 dicembre 2006, pag. 25). In ogni caso giova notare che nelle note sopra riportate non si parla mai di "accanimento terapeutico" ma di rifiuto delle cure, tanto è vero che è stato riconosciuto il diritto di rifiutare una emotrasfusione o l'amputazione di un arto in gangrena, che non sono certamente da classificare come atti di accanimento terapeutico. Il mio parere è questo: se mi dovessi trovare in una determinata situazione clinica, che solo io in quanto malato posso giudicare e nessun altro, vorrei poter scegliere a quali cure essere sottoposto e quali invece rifiutare o interrompere, in piena libertà e senza che altri possano arrogarsi il diritto di decidere per me. Va da sè che deve essere prevista parimenti la possibilità, per il medico che ritenesse determinati comportamenti in contrasto con la propria coscienza, di potersi astenere, così come è previsto per la regolamentazione dell'aborto, perchè vanno salvaguardate sia la libertà che le concezioni morali di tutti. Ovviamente esistono posizioni del tutto contrarie a quanto finora detto e quindi bisogna concludere che si tratta di una problematica non risolta. Credo che vadano rispettate le opinioni di tutti in un tema così privato e personale come la propria salute. Personalmente, lo ripeto, non vorrei che altri mi imponessero le loro convinzioni così come io non pretendo di imporre le mie. Appunto per questo sono favorevole alla libera decisione di ognuno, purchè maggiorenne e in grado di intendere e volere. In conclusione spero che questo caso doloroso e che ha lacerato le coscienze sia almeno servito ad avviare una serena discussione su come affrontare il problema "della fine della vita" e sproni la politica, intesa nel senso più alto del termine, ad approvare una legge largamente condivisa che tenga conto dei cambiamenti e dei perfezionamenti delle cure mediche che oggi ci pongono problemi etici enormi. In questo senso il "living will" degli anglosassoni (che viene tradotto in "testamento biologico") sarebbe un notevole passo in avanti.
Commento di Luca Puccetti
Lungi da sgradevoli strumentalizzazioni, il caso permette di chiarire alcuni concetti. La norma costituzionale fa riferimento a: libertà di scelta delle cure cui essere sottoposti e nello stesso tempo di rifiutarle, fatte salve precise e limitate disposizioni di legge. Non è affatto vero che il vigente ordinamento conferisce alla persona la cui capacità di autodeterminazione non sia minata da patologia, bisogno, plagio, ricatto la piena disponibilità della propria vita e del proprio corpo. Si possono fare molti esempi come l'obbligo del casco e delle cinture, le trasfusioni forzate a persone in fin di vita che per credenze religiose le rifiutino, il divieto di praticare anche su se stessi mutilazioni anche se a sfondo tribale o religioso, l'alimentazione forzata nell'anoressia (troppo comodo chiamare in causa l'incapacità ad autodeterminarsi a causa della malattia), il doping amatoriale, la proibizione degli stupefacenti e di altre sostanze di abuso e l'elenco potrebbe continuare a lungo. La ratio della giurisprudenza da secoli vigente è semplice: nel dubbio meglio difendere il diritto alla vita poiché nell'altro caso non c'è possibilità di rimediare. Allora le situazioni limite sono sempre una cattiva base su cui deliberare. Può essere una soluzione, come dice il Professor d'Agostino, presidente emerito del CNB, di lasciarli nella sfera privata. Meglio correre il rischio di qualche arbitrio in singoli casi (per comportamenti omissivi delle cure o per inutili accanimenti terapeutici) che di legiferare con norme rigide, valide erga omnes, che burocratizzano il caso, togliendolo dallo specifico contesto sociale, familiare, clinico e psicologico per farne un test su cui saggiare la "bontà" di una norma giuridica che deve necessariamente basarsi su presupposti etico-sociali che, una volta acquisiti, possono aprire la strada a vere e proprie voragini laddove, come in Olanda, si sta assistendo ad un numero enorme di "morti medicalmente assistite" in pazienti psichiatrici....o come in Francia ove proliferano gli aborti di feti con femore corto che sarebbero divenuti uomini o donne di bassa statura.
Commento di Clementino Stefanetti
Come si voleva dimostrare la disubbidienza, a cui siamo abituati da anni, da parte dei radicali ha riaperto il problema dell’Eutanasia, solo che in questo caso c’è scappato il morto. Piegiorgio Welby. Analizziamo i fatti o meglio il fatto principale su cui si articola tutta la vicenda. E’ o no accanimento terapeutico? A questa domanda è stato incaricato il Consiglio Superiore di Sanità su espressa richiesta del Ministro della Salute Livia Turco che si è espresso in maniera chiara: non è accanimento terapeutico. A sostegno della scelta di Welby si cita l’articolo 32 della Costituzione, dimenticando però che la Costituzione non è la Legge ma principi a cui si deve ispirare la Legge, ma in questo caso la Legge manca. Si è anche accennato al diritto di libera scelta, portando ad esempio la signora con la gangrena al piede che si è lasciata morire pur di non avere una menomazione, ma questo caso è diverso perché ci sono norme che vietano interventi di questo tipo salvo casi secondo legge, vedi TSO. Tutti noi abbiamo casi tra i nostri pazienti che si sono astenuti da ogni forma di intervento lasciandosi morire senza che noi potessimo fare nulla per loro. Non solo ma nel caso di Welby esiste un caso simile portato alla Commissione Europea dei Diritti Umani.
Di tutta la vicenda mi pare chiaro, almeno per me, che di sicuro si possa affermare: - che sia stato un grande circo mediadico voluto dai radicali ed il capro espiatorio sia Welby che, secondo me, è stato immolato alla loro causa; - che il collega Riccio sia stato strumentalizzato dai radicali; - che i radicali (partito di governo) ed in primis un ministro del governo (lo sciopero della fame della Bonino) abbiano disubbidito alla legge dello Stato; - che questa vicenda sia lo spunto per un più ampio discorso sull'eutanasia; - che trovo sbagliato il rifiuto della Chiesa di onoranze, dottrinalmente giuste, ma umanamente sbagliate, visto che Welby si professava cattolico e avrebbe chiesto perdono a Dio in punto di morte. Onoranze concesse a Pinochet. Spero tanto che Welby abbia trovato finalmente la pace, la sua pace.
Referenze
1) http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200612articoli/15688girata.asp 2) http://www.dirittiuomo.it/Corte%20Europea/Regno%20Unito/2004/Pretty.htm 3) Il Nuovo Codice Deontologico: http://www.medicinaepersona.org/__C1256C23002924DE.nsf/wAll/IDCW-6WNUHT/$file/codice%20deontolog.pdf 4) Le proposte di legge del testamento biologico: http://www.medicinaepersona.org/__C1256C23002924DE.nsf/wAll/IDCW-6UBDA9/$file/giudizio%20sui%20disegni%20di%20legge%20Test%20biol.pdf 5) Storia dell’Eutanasia: http://www.portaledibioetica.it/documenti/000627/000627.htm
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