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Supplementazioni con megaboli di vitamina D


Categoria : reumatologia
Data : 05 giugno 2008
Autore : admin

Intestazione :

Una proposta della Regione Toscana di intervento di comunità per la prevenzione della carenza di vitamina D nella popolazione anziana.



Testo :

1. Incidenza di ipovitaminosi D

La carenza di vitamina D è particolarmente frequente in Italia (1-3, 71). Contrariamente a quanto si tende a credere le regioni Europee più a SUD sono quelle dove è più frequente l’ipovitaminosi in persone oltre i 60 anni (3, 71). Ciò può essere attribuito da un lato alla scarsa propensione degli anziani ad esporsi al sole in qualsiasi stagione, dall’altra ad una alimentazione che diviene sempre più povera di grassi animali, unica fonte significativa di vitamina D alimentare. Nei paesi Nord-Europei il fenomeno è meno frequente per varie ragioni: maggior sensibilizzazione “storica” al problema, più frequente introito di grassi animali e soprattutto di pesce (merluzzo!), frequente aggiunta di vitamina D nella margarina e nei prodotti lattiero-caseari. Una grave carenza di vitamina D (livelli di 25OHvitamina D circolanti < 12 ng/ml) è stata riscontrata (2) nell’ 82% dei soggetti oltre i 70 anni nel periodo primaverile. Questi risultati sono stati confermati in numerosi altri studi (Bettica et al JCEM) condotti anche specificamente nella nostra regione (1).

2. Conseguenze della carenza di vitamina D

Le malattie cardiovascolari, neoplastiche, neurologiche e reumatiche sono le principali cause di mortalità e di decadimento della qualità della vita e sono destinate ad aumentare per il progressivo invecchiamento della popolazione. La vitamina D svolge numerosi ruoli fisiopatologici nell’ambito del sistema osteo-articolare e muscolare, cardiovascolare ed immunitario e regola la proliferazione e la differenziazione di alcune linee cellulari. Oltre alle numerose osservazioni relative all’importante responsabilità della vitamina D nella patogenesi dell’osteoporosi e delle conseguenti fratture scheletriche, sono state segnalate correlazioni dello stato vitaminico D con altre patologie reumatiche, con malattie cardiovascolari e neurologiche e con il rischio di alcuni tumori.
In numerosi studi è stata dimostrata una relazione tra deficit di vitamina e rischio di frattura, in particolare di femore (4-15). Al deficit di vitamina D è stato associato anche un quadro di miopatia prossimale (16) o comunque di deficit muscolare (17-19). Il deficit di vitamina D potrebbe pertanto di per sè tradursi clinicamente in un aumentato rischio di caduta e quindi di frattura, indipendentemente dagli effetti deleteri sulla massa ossea. In particolare è stato osservato che soggetti anziani con deficit muscolari o che cadono frequentemente hanno livelli sierici di 25OHvit. D mediamente inferiori rispetto ai controlli (18-22). In numerosi studi clinici controllati è stato dimostrato che la somministrazione di vitamina D in soggetti anziani è in grado di migliorare la forza muscolare (81) e di ridurre la frequenza di cadute accidentali (79,80).
Oltre alla patologia scheletrica ed a quella muscolare ridotti livelli sierici di 25OH vit. D sarebbero associati anche ad un aumentato rischio di progressione della patologia artrosica del ginocchio (23). Recentemente è stato inoltre riportato che l’introito di vitamina D è inversamente associato al rischio di ammalarsi di artrite reumatoide (24).
Numerose affezioni neurologiche, la disabilità conseguente o le terapie con farmaci neurolettici sono considerate condizioni di rischio per ipovitaminosi D. Recentemente è stato inoltre riportato un possibile ruolo protettivo della vitamina D nei confronti del rischio di ammalarsi di sclerosi multipla (25).
E’ stata più volte sospettata anche una correlazione tra stato vitaminico D e patologie cardiovascolari. Una condizione di ipovitaminosi D è di frequente riscontro nei pazienti cardiopatici ed una riduzione del rischio di infarto miocardico è stata documentata in soggetti con normali livelli sierici di 25OHD, rispetto a quelli con ipovitaminosi D (26). E’ nota da anni la relazione inversa tra massa ossea e rischio arteriosclerotico.
La relazione tra stato vitaminico D ed alcune neoplasie non sorprende se si considera che in molte linee cellulari sono stati identificati recettori specifici e che studi in vitro hanno documentato un attività antiproliferativa da parte di questa vitamina. La concentrazione ematica di quest’ultima è stata associata ad una riduzione del rischio per cancro del colon e della mammella (27-37). L’aumentata esposizione alla luce solare, che promuove la sintesi endogena di vitamina D, è stata associata con una ridotta incidenza o mortalità per tumori del colon, della mammella, della prostata o dell’ovaio (38-47). Tuttavia, alla luce delle osservazioni disponibili, non vi è consenso: in particolare alcuni studi prospettici non hanno trovato una correlazione tra i livelli ematici di vitamina D e la successiva comparsa di tumori del colon o della prostata (48,49).

3. Supplementazione di vitamina D in anziani

E’ stato dimostrato che la somministrazione di vitamina D in soggetti anziani si associa ad una riduzione del rischio di frattura (14,15). E’ probabile che ciò possa anche essere ascritto a fattori extra-scheletrici. In effetti sono stati riportati un miglioramento dell’equilibrio, della forza muscolare e della mobilità funzionale ed una riduzione del rischio di cadute in seguito al trattamento con vitamina D (20-22). In uno studio di comunità (72) condotto in Gran Bretagna 100.000 UI di vitamina D ogni 4 mesi per 5 anni ha diminuito il rischio di frattura del 22% (p<0.01) e quelle di femore del 15% (p = 0.1). In Finlandia (73) la somministrazione di 150.000 – 300.000 UI di vitamina D i.m. all’anno diminuiva significativamente il rischio di frattura degli arti superiori ma non agli arti inferiori. Recentemente, in uno studio pilota di comunità condotto presso la ASL di Verona, la somministrazione orale di 400.000 UI di vitamina D2 / anno in donne di età superiore a 65 anni ha ridotto l’incidenza di fratture di femore di circa il 20% nei trattati rispetto ai non trattati (74).

4. Variabilità genetica della risposta terapeutica?

La recente applicazione delle conoscenze e delle tecnologie di biologia molecolare sembra indicare che non solo lo stato di replezione di vitamina D ma anche il polimorfismo genetico del suo recettore può condizionare il rischio di patologie correlate alla vitamina D. In particolare è stata riportata, anche se in maniera non univoca, una correlazione del polimorfismo del recettore della vitamina D (VDR) con la densità minerale ossea, gli indici di perdita minerale e di neoformazione ossea, il metabolismo del calcio, la regolazione del paratormone, il rischio di osteoporosi e di fratture (50-53). In numerosi studi è stata documentata l’influenza di polimorfismi genetici della VDR sulla risposta terapeutica a vitamina D, calcio e farmaci anti riassorbitivi(54-69).
Non è attualmente accertato ma è molto probabile che analoghe associazioni siano presenti tra il polimorfismo genetico del VDR ed altre patologie reumatiche o extrascheletriche, in particolare cardiovascolari e neoplastiche.

5. Problemi aperti da un intervento di comunità con boli di vitamina D

Un intervento di comunità ed in prevenzione primaria come quello condotto a Verona (74) pone una serie di interrogativi cui è necessario dare una risposta. Ogni intervento di prevenzione primaria deve, infatti, essere virtualmente del tutto privo di potenziali effetti collaterali. Le possibili ragioni di preoccupazione o interrogativi potrebbero essere:

a.L’impiego di boli di vitamina D potrebbero determinare intossicazione da vitamina D.

Una intossicazione da vitamina D può comparire per livelli ematici di 25OHvitamina D superiore a 400 ng/ml. Uno o due boli da 400.000 UI di vitamina D2 fanno aumentare i livelli sierici di 25OHvitamina D di 10 ng/ml (70). Questo tipo di incremento non può determinare alcuna intossicazione neppure nelle persone con una eccellente replezione di vitamina D che si associa a livelli di 25OHvitamina D mai superiore a 100 ng/ml. Aumenti dei livelli di 25OH vitamina D entro 30 ng/ml possono essere considerati sicuri anche in pazienti con malattie metaboliche come l’iperparatiroidismo primitivo o garnulomatosi (es. sarcoidosi)

b.Il trattamento con vitamina D potrebbe favorire la comparsa di calcificazioni arteriose.

E’ stata documentata una relazione tra carenza di vitamina D e rischio aterosclerotico (vedi sopra). Anche se manca la dimostrazione che la correzione del deficit di vitamina D previene le malattie vascolari, appare assai improbabile che si possa verificare il contrario.

c.Diete ricche di calcio e vitamina D possono favorire la calcolosi renale?

E’ stato ampiamente dimostrato che una dieta ricca di calcio in condizioni di replezione di vitamina D riduce significativamente il rischio di calcolosi renale! Ciò è quasi sicuramente legato alla maggior disponibilità di calcio a livello del colon dove può prevenire l’assorbimento degli ossalati, ovvero dei composti più litogeni che si conoscano (76-78).

d. Meglio la vitamina D2 o D3?

La vitamina D2 può essere presente in alcuni vegetali, mentre la D3 può essere di derivazione endogena (irradiazione solare) o derivare dall’introito di grassi animali. La vitamina D2 e D3 hanno una attività biologica del tutto sovrapponibile (75), anche se la biodisponibilità generale della D3 appare superiore (82).

e.Quale è la dose ottimale?

Nella esperienza Veneta è stato osservato che con la dose di 400.000 U di Vitamina D2/anno in molti pazienti non era possibile correggere del tutto il deficit vitaminico. Sarebbe quindi auspicabile l’impiego di preparati a base di vitamina D3 (al momento non disponibili, ma più biodisponibile, vedi punto d) alla dose di 300.000 U/os in due somministrazioni annuali.

Fonte: Regione Toscana

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