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Effetti dei glitazoni sulla perdita di osso e sulle fratture

Categoria : metabolismo
Data : 01 gennaio 2008
Autore : admin

Intestazione :

I risultati degli studi che valutano gli effetti dei glitazoni sull’osso suggeriscono che il trattamento con tali farmaci contribuisce alla perdita ossea soprattutto nelle donne in post-menopausa ed indurre un aumento di rischio delle fratture nelle donne.



Testo :

Premessa

I glitazoni sono farmaci ipoglicemizzanti, impiegati nel trattamento del diabete mellito di tipo 2. Sebbene il troglitazone sia stato ritirato dal commercio nel 2000 a causa della sua epatotossicità, il pioglitazone e il rosiglitazone sono ampiamente prescritti.
I risultati dello studio ADOPT (A Diabetes Outcome Progression Trial), che hanno indicato una maggiore durata del controllo glicemico con rosiglitazone versus metformina e gliburide in monoterapia, possono incoraggiare un maggiore impiego dei glitazoni come monoterapia iniziale (1).
Inoltre lo studio DREAM (Diabetes Reduction Assessment with Ramipril and Rosiglitazone Medication) sostiene il ruolo dei glitazoni, soprattutto il rosiglitazone, nella prevenzione della progressione a diabete in pazienti con pre-diabete (2).

Effetti avversi

I più comuni effetti avversi sono rappresentati da aumento di peso ed edemi (3), che raramente sono associati a insufficienza cardiaca congestizia di nuova insorgenza o ad un peggioramento di essa, se preesistente (4).
Esercitano il loro effetto ipoglicemizzante stimolando l’attività del PPAR-gamma (peroxisome proliferator activated receptor gamma), presente abbondantemente nel muscolo scheletrico, nel tessuto adiposo e nel fegato, determinando riduzione della resistenza all’insulina a livello dei tessuti periferici.
Tuttavia, PPAR-gamma viene espresso anche in una serie di altre cellule, tra cui le cellule della linea staminale mesenchimale (MSC) nel midollo osseo. Questi precursori possono differenziarsi in diverse linee cellulari, tra cui gli adipociti e gli osteoblasti, fondamentali per la formazione di osso nuovo.
Anche se il meccanismo di perdita di osso da glitazone non è del tutto chiaro, può derivare dalla stimolazione del PPAR-gamma a livello delle cellule staminali mesenchimali differenziandosi preferenzialmente in adipociti piuttosto che in osteoblasti (5,6), proprio come avviene con la perdita di osso correlata all’età. Un altro meccanismo possibile potrebbe essere legato all’effetto inibitorio sulla biosintesi di estrogeni (7) ed androgeni (8).
Due recenti alert della Food and Drug Administration (9,10) hanno sottolineato la crescente preoccupazione relativa al rischio di frattura associato a tiazolidinedioni.
Il primo alert dell’FDA (9) sottolineava l’aumento dell’incidenza di fratture osservato nel gruppo trattato con rosiglitazone nel trial ADOPT (1). Rispetto ai soggetti trattati con metformina e gliburide, i pazienti trattati con rosiglitazone hanno manifestato rispettivamente un aumento dell’incidenza di 1,2-1,4 fratture per 100 pazienti-anno.
Un’analisi più recente dei dati del trial ADOPT ha indicato che l’incidenza di fratture nelle donne era 81% più elevato nel gruppo trattato con rosiglitazone rispetto alla metformina e tale aumento del rischio si verifica dopo circa 1 anno di terapia (11), soprattutto a livello di mani, omero e piedi, mentre nessuna differenza è stata osservata a livello della colonna vertebrale e dell’anca.
Gli investigatori hanno osservato che un aumento del rischio di fratture era presente anche nelle donne trattate con bifosfonati.
Il secondo alert dell’FDA (10) sottolineava l’aumento dell’incidenza di fratture osservato nei trial clinici su oltre 8.100 pazienti trattati con pioglitazone e 7.400 comparator. Come accadeva con il rosiglitazone, tale aumento era limitato alla popolazione femminile, con un aumento del rischio di 0,8 fratture per 100 pazienti-anno.
La maggior parte delle fratture era localizzata a livello degli arti superiori e inferiori.
Sebbene siano necessari più dati, prima di iniziare una terapia con glitazoni, bisogna prendere in considerazione il rischio associato a uso di questi farmaci, soprattutto nelle donne.

Revisione della letteratura

Recentemente è stata pubblicata su Ann Pharmacother (12) una revisione sistematica, usando MEDLINE e International Pharmaceutical Abstracts.
In questa revisione sono stati inclusi 5 studi sugli esseri umani (13-17), di cui:

2 piccoli studi prospettici non controllati (13,14);
1 trial controllato randomizzato prospettico (16);
1 studio di coorte retrospettivo sul rosiglitazone (17);
1 analisi post-hoc di uno studio osservazionale di coorte prospettico su pazienti trattati con glitazoni (15).
In nessuno di questi studi l’outcome specifico era rappresentato dall’incidenza delle fratture associate a terapia con glitazoni, piuttosto gli studi utilizzavano endpoint surrogati come densità minerale ossea o marker di turnover osseo per valutare gli effetti dei glitazoni sul metabolismo osseo. Tali endpoint surrogati sono più deboli nei piccoli studi a breve termine che non possono essere in grado di rilevare le differenze nell’incidenza delle fratture.
Il problema nasce anche dal fatto che, anche se una ridotta densità minerale ossea è stata associata ad un rischio superiore di fratture, non è stato definito quale sia il livello dell’alterazione clinicamente significativo.
Ad esempio in uno studio (18) sono considerate significative la modifica del 25% dei marker della formazione ossea (fosfatasi alcalina osso-specifica e osteocalcina) e la modifica del 60-80% dei marker di riassorbimento (piridinolina e deossipiridinolina). Tuttavia, dal momento che questi marker presentano una variabilità ed eterogeneità significative, i risultati devono essere interpretati con cautela.

Un trial prospettico di coorte (13) è stato condotto su 33 giapponesi (17 donne e 16 uomini), affetti da diabete di tipo 2, con età media di 67 anni per le donne e 62 per gli uomini.
Tutti i pazienti sono stati trattati con troglitazone 200 mg BID per 4 settimane.
Una volta misurati i marker, è stato rilevato che i livelli di deossipiridinolina e fosfatasi alcalina osso-specifica erano diminuiti rispettivamente del 12% (p < 0,01) e 10% (p < 0,05).
Gli autori concludevano che il troglitazone poteva avere un effetto protettivo sull’osso, riducendone il turnover e ipotizzando un’inibizione della formazione di osteoclasti.
Tuttavia la breve durata, la piccola dimensione del campione e la mancanza di un gruppo controllo limitava notevolmente la validità dello studio.
Un altro studio prospettico di coorte (14) è stato condotto su 25 giapponesi (14 donne e 11 uomini), affetti da diabete di tipo 2, con età media di circa 74 anni, tutti trattati con troglitazone 200 mg BID per 12 mesi. Un gruppo di controllo era rappresentato da 22 pazienti con ipercolesterolemia, ma non diabetici.
La misurazione della densità minerale ossea e dei marker a 12 mesi era simile al valore basale.
Gli autori conclusero che il troglitazone può mantenere la massa ossea, tuttavia la dimensione piccola del campione e la mancanza di un vero e proprio gruppo di controllo limitano l’attendibilità dei risultati.
Schwartz e coll. (15) hanno effettuato un’analisi post-hoc dei dati di 4 anni di follow-up nell’ambito di un ampio studio osservazionale prospettico condotto per determinare se i glitazoni modificano la densità minerale ossea. I pazienti arruolati erano 666 fra uomini e donne, di 70-79 anni, affetti da diabete di tipo 2. Sessantanove pazienti sono stati trattati con glitazoni. La misurazione della densità minerale ossea ha evidenziato una perdita ossea significativamente superiore nelle donne ma non negli uomini. Per ogni anno di terapia con glitazoni, la densità minerale ossea delle donne diminuiva di 0,67% (p < 0,001), 1,14% (p = 0,004) e 0,65% (p = 0,016) rispettivamente a livello globale, della colonna lombare e del trocantere vs –0,41%, +1,11% e –0.35%, nelle donne non trattate con glitazoni.
Pertanto gli autori concludevano che l’uso di glitazoni era associato ad una perdita ossea 2,5 volte superiore nelle donne. Le ampie dimensioni dello studio, l’aggiustamento per fattori di confondimento e la misurazione di densità minerale ossea a lungo termine renderebbero i risultati attendibili; tuttavia il limite è che si tratta di uno studio osservazionale non controllato.
Lo studio originale non era disegnato per valutare l’effetto dei glitazoni sull’osso; inoltre solo un piccolo numero di pazienti era in trattamento con glitazoni.
Grey e coll. (16) ha condotto il primo RCT in doppio cieco in donne sane (non diabetiche) in post-menopausa per valutare gli effetti del rosiglitazone sui livelli dei marker di turnover osseo e sulla densità minerale ossea. Cinquanta donne (età media 67 anni) sono state randomizzate a rosiglitazone (8 mg/die) o placebo per 14 settimane. Nel gruppo trattato con rosiglitazone si è verificata una riduzione significativa dei livelli dei marker e della densità minerale ossea a livello dell’anca.
Gli autori hanno concluso che in donne sane in post-menopausa la terapia con rosiglitazone non solo inibisce la formazione ossea, ma ne aumenta la perdita. In questo studio il limite era che le pazienti non erano diabetiche.
Uno studio retrospettivo di coorte (17) ha esaminato l’effetto del rosiglitazone sulla densità minerale ossea negli uomini affetti da diabete di tipo 2. Sono stati analizzati i dati di 4 anni relativi a 32 uomini trattati con 4 mg BID e 128 controlli.
La misurazione della densità minerale ossea ha dimostrato che, rispetto ai controlli, i pazienti trattati con rosiglitazone avevano una perdita ossea superiore a livello dell’anca (–1,19% vs –0,137%; p = 0,006) e del collo del femore (–1,22% vs –0,20%; p = 0,0001), mentre a livello della colonna vertebrale vi era un minore aumento della formazione ossea (+0,69% vs +2,3%; p = 0,03).
Pertanto gli autori concludevano che il trattamento con glitazoni è associato a perdita ossea e può rappresentare un fattore di rischio aggiuntivo per fratture nei pazienti affetti da diabete di tipo 2. Il limite dello studio è rappresentato dalla natura osservazionale retrospettiva, oltre che dall’incapacità di controllare i fattori di confondimento. Le donne non erano incluse.

Conclusioni

I risultati degli studi che valutano gli effetti dei glitazoni sull’osso suggeriscono che il trattamento con tali farmaci contribuisce alla perdita ossea soprattutto nelle donne in post-menopausa. Due trial condotti sul troglitazone (13,14) sembrano suggerire un effetto protettivo sull’osso, ma entrambi gli studi sono di piccole dimensioni e senza controlli.
La perdita ossea è stata dimostrata soprattutto nelle donne (15,16), sebbene possa verificarsi anche negli uomini (17).
Dati preliminari indicano che la perdita ossea possa determinare un aumento di rischio delle fratture nelle donne (9,10), sebbene gli studi non avessero questo come endpoint primario.


C’è da considerare inoltre che:

L’aumento dell’incidenza delle fratture è stato riportato per gli arti superiori e inferiori, che sono sedi meno colpite dalla perdita ossea legata all’età.
Il diabete già di per se rappresenta un fattore di rischio indipendente di fratture (19,20).
Il miglioramento del controllo glicemico determina riduzione del turnover osseo (21).
Anche se i dati non sono conclusivi, gli operatori sanitari devono essere consapevoli che una terapia con glitazoni può determinare perdita ossea, ciò è particolarmente importante nei pazienti già a rischio di osteoporosi e/o di fratture.
Nei pazienti in trattamento con glitazoni, è necessario effettuare uno stretto monitoraggio della densità minerale ossea, soprattutto nelle donne in post-menopausa. Per tale motivo bisogna raccomandare l’assunzione di calcio e vitamina D.

Alessandra Russo, Dipartimento Clinico e Sperimentale di Medicina e Farmacologia, Università di Messina http://www.farmacovigilanza.org

Bibliografia

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