Manca lo stretto controllo iniziale indicato da FDA con gli antidepressiviCategoria : psichiatria_psicologia Data : 29 settembre 2008 Autore : admin Intestazione : L'uso di antidepressivi, specie in età pediatrica, è stato associato ad un aumento del rischio di suicidio, ma i medici non hanno aumentato il numero delle visite all'inizio della terapia come invece è raccomandato da FDA. Testo : Due tra le principali riviste scientifiche internazionali, l’American Journal of Psychiatry e il New England Journal of Medicine, in queste ultime settimane hanno pubblicato articoli rilevanti su un tema di estrema attualità e cioè la prescrizione di farmaci antidepressivi ed il rischio di suicidio. Prima del “black boxed warning” FDA Gli autori riportano che queste percentuali non si sono modificate in modo significativo dopo le raccomandazioni della FDA, indipendentemente dallo specialista che ha prescritto i farmaci L’analisi riporta che la prima fase del protocollo HEDIS è stata seguita dall’80% dei pazienti pediatrici visitati da uno psichiatra, percentuale significativamente più elevata rispetto all’aderenza ai criteri HEDIS nel caso il paziente pediatrico sia stato visitato da un pediatra (60%) o da un medico di medicina generale (54%). Per quanto riguarda gli adulti, questa prima fase è stata correttamente seguita dal 65% dei pazienti in cura da uno psichiatra e dal 37% dei pazienti seguiti dal medico di medicina generale. Le conclusioni degli autori sono quindi che, nonostante le raccomandazioni e l’algoritmo suggerito dall’FDA per i primi mesi di trattamento con antidepressivi, soprattutto nei pazienti pediatrici, la frequenza delle visite da parte degli operatori sanitari non è aumentata. Gli autori discutono, peraltro, anche alcuni limiti del loro studio, dovuti, per esempio, al database utilizzato per l’analisi, di tipo amministrativo (riporta le richieste di rimborso per visite o per prescrizioni mediche) che non ha potuto fornire nessuna informazione sulla qualità e sulle modalità del contatto medico-paziente. Inoltre, la confusione e l’allarme generati dopo le prime raccomandazioni della FDA potrebbero aver indotto i medici a ridurre il numero di diagnosi di depressione e il trattamento farmacologico (come è stato ipotizzato da alcuni: Am J Psychiatry 2007; 164: 884-91; Am J Psychiatry 2007; 164: 1198-205). *L’ICD-9-CM è un manuale che riporta in modo sistematico la nomenclatura delle diagnosi, dei traumatismi, degli interventi chirurgici e delle procedure diagnostiche e terapeutiche. A ciascun termine è associato un codice numerico o alfa-numerico. ** La procedura HEDIS è abbastanza complessa ed è stata divisa in 3 fasi diverse: Optimal practitioner contacts: la percentuale di nuovi episodi depressivi con la prescrizione di antidepressivi per i quali il paziente ha effettuato 3 o più visite (intese anche come colloquio telefonico) nei primi 84 giorni dopo la diagnosi. Effective acute phase treatment: la percentuale di nuovi episodi depressivi con prescrizioni di antidepressivi utilizzabili per 84 dei 114 giorni successivi alla prima prescrizione. Effective continuation phase treatment: come la fase precedente, però il paziente ha avuto prescrizioni di antidepressivi per almeno 180 giorni durante i 214 giorni successivi alla prima prescrizione. Commento Quasi contemporaneamente a questo articolo, sul N Eng J Med sono stati pubblicati i risultati di un’analisi dei dati provenienti da diversi trial clinici depositati e revisionati dalla FDA (su 12 farmaci antidepressivi approvati in USA nel periodo 1998-2004) e di una revisione mirata ad identificare nella letteratura pubblicata i corrispondenti articoli inclusi nella valutazione dell’Agenzia statunitense. L’analisi riguarda 74 trial clinici randomizzati (RCT) di fase II e III, su un totale di 12.564 pazienti, in doppio cieco, controllati vs placebo per il trattamento a breve termine della depressione, oggetto di revisione da parte della FDA. Per quanto riguarda la revisione dei corrispondenti studi in letteratura sono state utilizzate sia note fonti di ricerca (PubMed, Cochrane Central register of Controlled Trials) sia il contatto diretto con gli sponsor dei diversi trial. Su un totale di 74 studi registrati all’FDA, il 31% (n=3449 pazienti) non è mai stato pubblicato. 37 studi, il cui esito è stato valutato come positivo dall’FDA, erano stati, invece, pubblicati. Gli studi giudicati sfavorevoli dall’FDA o i cui esiti erano controversi, tranne 3 eccezioni, non sono stati pubblicati (22 studi) o pubblicati con modalità tali da fare sembrare positivi i risultati (11 studi). Tra questi 11 studi, il mancato raggiungimento di risultati significativi per l’end point primario o non veniva riportato affatto (9 articoli) oppure lo stesso obiettivo che nel trial era definito primario, diventava secondario (2 articoli). Considerando solo quanto pubblicato in letteratura, il 94% dei trial riportava esiti considerati positivi dagli autori rispetto ad una percentuale nettamente inferiore, 51%, rilevata nell’analisi dell’FDA. Questa differenza risulta significativa sia nell’analisi rispetto al singolo farmaco che sul totale degli studi. La differenza dell’entità dell’effetto tra le revisione dell’FDA e gli articoli pubblicati variava secondo un range del 11%-69% (valore mediano 32%). Si riporta quanto dichiarato dagli autori nella discussione: “Abbiamo trovato un errore sistematico (bias) nei confronti delle pubblicazioni con risultati positivi. Non solo è più facile che vengano pubblicati i risultati positivi, ma, studi che non sono positivi, secondo noi, sono spesso pubblicati in modo tale da indurre ad un giudizio favorevole. [...] Alterando l’apparente rischio-beneficio dei farmaci, alcune pubblicazioni possono indurre i medici a prendere una decisione prescrittiva inappropriata, che potrebbe non rappresentare il migliore interesse per i loro pazienti e quindi per la salute pubblica”. Analizzando i dati sia come percentuale dei trial con esito positivo sia come entità dell’effetto associato al farmaco, gli autori sottolineano che l’efficacia del farmaco è minore rispetto a quanto si desume dagli articoli pubblicati: analizzando le pubblicazioni, infatti, sembra che tutti i trial condotti abbiano avuto esito positivo, mentre, secondo la revisione degli stessi dati da parte della FDA, questo è stato osservato solo in circa la metà degli studi. Gli autori della revisione del N Engl J Med, evidenziano che non è possibile sapere quali sono le ragioni sottese al pubblication bias degli studi con esito negativo, se cioè si è trattato del mancato invio del manoscritto alla rivista da parte degli autori e degli sponsor oppure di una decisione degli editor o dei referee o per entrambi questi fattori. Dottoressa Sandra Sigala Riferimenti bibliografici 1) Morrato EH et al. Frequency of provider contact after FDA advisory on risk of pediatric suicidality with SSRIs. Am J Psychiatry 2008; 165: 42-50. 2) Turner EH et al. Selective publication of antidepressant trials and its influence on apparent efficacy. N Eng J Med 2008; 358: 252-60. Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/ |