Rituximab riduce infiammazione nella sclerosi multipla recidivante-remittente
Categoria : neurologia
Data : 13 ottobre 2008
Autore : admin
Intestazione :
Nei pazienti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente, il trattamento con un ciclo di rituximab riduce significativamente per 48 settimane l’attività infiammatoria.
Testo :
La sclerosi multipla, il prototipo delle malattie infiammatorie demielinizzanti del sistema nervoso centrale, è la seconda causa di disabilità neurologica nei giovani adulti dopo i traumi. La sclerosi multipla generalmente inizia come un disordine episodico, remittente (sclerosi multipla recidivante-remittente), che evolve in una condizione neurodegenerativa cronica e progressiva. Tradizionalmente si è sempre pensato che gli agenti responsabili della patogenesi della malattia fossero i linfociti T helper tipo 1 CD4+. Le terapie sviluppate sulla base di questa ipotesi (es. interferone beta e glatiramer acetato) riducono tuttavia le recidive solo in circa un terzo dei casi, ma non prevengono in maniera considerevole la comparsa di riesacerbazioni e la disabilità che ne deriva. Accanto a questa teoria, stanno emergendo chiare evidenze del ruolo chiave svolto anche da cellule immunitarie di tipo B e da meccanismi immunologici umorali. In realtà il ruolo di una componente umorale nella patogenesi della malattia è implicitamente accettato da decenni. La produzione anticorpale e l’attivazione del complemento associata alla distruzione del rivestimento mielinico sono presenti in molte lesioni della sclerosi multipla, e gli autoanticorpi diretti contro diversi antigeni possono essere rilevati nel liquido cerebrospinale di pazienti affetti dalla malattia. Si pensa che le “cellule B memoria”, che attraversano la barriera ematoencefalica, vadano incontro a ristimolazione, sviluppo di maturazione antigene-dipendente, espansione clonale e differenziazione in plasmacellule secernenti anticorpi rivolti contro il rivestimento mielinico del sistema nervoso centrale. Queste espansioni clonali di plasmacellule e cellule B memoria si ritrovano nelle lesioni e nel liquor di pazienti affetti da sclerosi multipla, anche al momento dell’esordio sintomatologico. Sono state inoltre riportate anomalie nella produzione di citochine. Rituximab* è un anticorpo monoclonale chimerico anti CD-20, che agisce contro i linfociti B CD20+ attraverso meccanismi non ancora completamente chiariti, che determinano effetti citotossici cellulo-mediati e complemento-dipendenti che inducono l’apoptosi cellulare.
Sulla base degli effetti del rituximab e dell’immunopatogenesi della malattia è stato condotto questo studio di fase II, randomizzato, in doppio cieco, placebo-controllato condotto in 32 centri degli Stati Uniti e del Canada, della durata di 48 settimane. I pazienti (n=104) sono stati randomizzati secondo un rapporto 2:1 a ricevere, nel giorno 1 e nel giorno 15, rituximab 1 g ev (n=69) o placebo (n=35) e sono stati stratificati a seconda del precedente trattamento con interferone o glatiramer acetato (nessun trattamento o trattamento interrotto da almeno 6 prima vs trattamento nei sei mesi precedenti) e a seconda della gravità della malattia valutata con la Expanded Disability Status Scale (EDSS) (punteggio = 2.5 vs = 2.5)**.
Sono stati inclusi pazienti con un’età compresa tra i 18 e i 55 anni (in prevalenza di sesso femminile) con diagnosi di sclerosi multipla recidivante-remittente, che avessero presentato almeno un episodio di recidiva nell’ultimo anno ed un punteggio compreso tra 0 e 5 alla EDSS. Erano criteri di esclusione altre forme di sclerosi multipla, una ricaduta nei 30 giorni precedenti; trattamento nell’ultimo anno con ciclofosfamide o mitoxantrone, una terapia corticosteroidea sistemica negli ultimi 30 giorni, una terapia con interferone beta, glatiramer acetato, natalizumab, plasmaferesi o immunoglobuline negli ultimi 60 giorni o un’altra terapia immunosoppressiva rivolta alla deplezione della popolazione linfocitaria T e/o B negli ultimi 90 giorni.
Lo studio è stato condotto per 48 settimane mediante valutazione RMN con gadolinio# al basale, e alle settimane 4, 12, 16, 20, 24, 28, 36 e 48. I pazienti che alla settimana 48 presentavano ancora una deplezione dei linfociti B circolanti hanno continuato il follow up fino alla normalizzazione della conta o al ritorno al basale.
L’obiettivo primario dello studio era valutare l’efficacia del trattamento mediante la somma del numero di lesioni captanti gadolinio alla RMN-T1 dell’encefalo alla settimana 12, 16, 20 e 24 (le lesioni che persistevano per più di 4 settimane venivano contate tutte le volte). Obiettivi secondari sono stati la valutazione della percentuale di pazienti con ricaduta, la percentuale annuale di ricaduta, il numero assoluto di lesioni captanti gadolinio alla RMN-T1 dell’encefalo alla settimana 12, 16, 20 e 24 (le lesioni che persistevano per più di 4 settimane venivano contate una sola volta) e le modificazioni volumetriche delle lesioni alle scansioni RMN-T2.
I risultati hanno evidenziato che: - i pazienti che hanno ricevuto rituximab hanno avuto una maggior riduzione nel numero di lesioni captanti gadolinio rispetto a placebo (p<0.001); - I pazienti che hanno ricevuto rituximab hanno avuto una riduzione relativa del 91% nel numero di lesioni captanti gadolinio rispetto a placebo; - a partire dalla settimana 12 i pazienti che hanno ricevuto rituximab hanno avuto una progressiva riduzione settimanale nel numero di lesioni captanti gadolinio rispetto a placebo (da p=0.003 a p=0.001); - la percentuale di pazienti con recidive era ridotta nel gruppo trattato con rituximab rispetto a placebo alle settimane 24 e 48 (20.3% vs 40.0%, p=0.04); - i pazienti trattati con rituximab hanno avuto una ridotta percentuale annuale di ricadute alla settimana 24 (p=0.04) ma non alla settimana 48 (p=0.08); - la riduzione in dimensioni alla RMN-T2 era maggiore nei pazienti trattati con rituximab sia alla settimana 24 (p=0.008) che alla 36 (p=0.004).
Il trattamento con rituximab è stato associato a rapida e quasi completa deplezione dei linfociti B CD19+ periferici nel periodo 2-24 settimane; alla settimana 48 i CD19+ sono tornati al 30,7% del valore basale. La conta dei linfociti T CD3+ non è stata alterata dal rituximab. Gli eventi avversi dovuti all’infusione erano comparsi entro 24 ore dalla prima infusione e sono stati più frequenti nel gruppo trattato con rituximab (78.3%) rispetto al placebo (40.0%). La maggior parte sono stati eventi lievi o moderati, come cefalea, dolore alla schiena, depressione, dolore agli arti e generalizzato, sensazione di calore, prurito, rash, febbre, freddo, rigidità, nausea, astenia ed ipotensione. Eventi avversi gravi sono stati descritti in tre pazienti che hanno ricevuto rituximab: 1 caso di ischemia miocardica, 1 di neoplasia maligna della tiroide ed 1 di comparsa di sintomi di sclerosi multipla acuta progressiva. L’incidenza di infezioni era simile nei due gruppi, le più frequenti a carico di nasofaringe, tratto respiratorio superiore, apparato urinario e seni paranasali. Non sono state riportate infezioni opportunistiche. Eventi avversi seri legati all’insorgenza di infezioni sono stati riportati nel 5.7% dei pazienti con placebo e nel 2.9% dei pazienti con rituximab.
In conclusione, nei pazienti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente, il trattamento con un ciclo di rituximab riduce significativamente per 48 settimane l’attività infiammatoria, effetto osservato sia con la RMN che con l’andamento clinico della malattia. Quale sia il reale meccanismo con il quale rituximab riduca la malattia non è stato completamente chiarito: il livello anticorpale non viene ridotto durante la terapia, di conseguenza il miglioramento non può essere legato ad una riduzione degli autoanticorpi. E’ stato ipotizzato che possano giocare un ruolo importante la deplezione delle cellule B memoria, l’interferenza con la presentazione dell’antigene da parte dei linfociti B o con l’attivazione di linfociti T e macrofagi da parte delle citochine infiammatorie prodotte dai linfociti B stessi. Dal momento che il CD20 non è espresso dalle plasmacellule, la risposta anticorpale non dovrebbe essere modificata, anche se sono necessari studi a lungo termine per valutare il rischio di infezioni opportunistiche.
* in Italia rituximab (Mabthera®) è indicato, in associazione a chemioterapia, per il trattamento di pazienti affetti da linfoma non-Hodgkin follicolare ed, in associazione a metotressato, per il trattamento dell'artrite reumatoide attiva di grado severo in pazienti adulti che hanno mostrato un'inadeguata risposta o un'intolleranza ad altri farmaci antireumatici modificanti la malattia, comprendenti uno o più inibitori del fattore di necrosi tumorale (TNF-alfa).
** la EDSS è una scala ordinaria i cui valori vanno da 0 (esame neurologico negativo) a 10.0 (morte) ad intervalli di 0.5
# il gadolinio non attraversa la barriera ematoencefalica in condizioni normali, pertanto, alla RMN, la presenza di un segnale elevato è indice di infiammazione acuta. Queste lesioni evidenziate alla RMN sono considerate un evento molto precoce nello sviluppo di nuove lesioni nella sclerosi multipla.
Dottoresse Daniela Carli e Sandra Sigala
Riferimento bibliografico
Hauser SL et al.,HERMES Trial Group. B-cell depletion with rituximab in relapsing-remitting multiple sclerosis. N Engl J Med. 2008; 358: 676-88.
Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/
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