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Inutile l'aggiunta di vasopressina all'adrenalina nello shock settico


Categoria : infettivologia
Data : 30 ottobre 2008
Autore : admin

Intestazione :

Nei pazienti con shock settico trattati con catecolamine, basse dosi di vasopressina (0,03 U/min) non riducono il tasso di mortalità rispetto alla noradrenalina.



Testo :

Lo shock settico è uno dei problemi più impegnativi nella medicina d’urgenza ed è la causa più comune di morte nelle unità di terapia intensiva. La diagnosi clinica si basa su un insieme di segni e sintomi, quali una probabile fonte di infezione, febbre, tachicardia, tachipnea, alterazione della conta leucocitaria e ipotensione come segno di disfunzione circolatoria.
Le strategie terapeutiche includono la somministrazione di liquidi e l’uso di catecolamine (noradrenalina, adrenalina, dopamina e dobutamina) che, pur essendo efficaci nel ripristinare una pressione arteriosa media minimamente accettabile per mantenere la perfusione d’organo, hanno importanti effetti collaterali e possono aumentare anche il tasso di mortalità. Ad esempio, la noradrenalina può diminuire la gittata cardiaca, l’apporto di ossigeno e il flusso ematico a organi vulnerabili indipendentemente da una adeguata pressione di perfusione.

È oggetto di discussione il ruolo della vasopressina esogena come trattamento aggiuntivo alle catecolamine in casi di grave shock settico. Il relativo deficit di vasopressina in pazienti con shock settico fa ipotizzare che la somministrazione dell’ormone peptidico possa ripristinare il tono vascolare e la pressione sanguigna, riducendo così il fabbisogno di catecolamine. Nonostante l’ampio uso della vasopressina nella pratica clinica, solo due piccoli studi randomizzati ne hanno valutato l’uso in pazienti con shock settico (Malay MB et al. J Trauma 1999; 47: 699-703; Patel BM et al. Anesthesiology 2002; 96: 576-82), e nessuno dei due aveva la potenza sufficiente per valutare la mortalità, la disfunzione d’organo o la safety.

Il Vasopressine and Septic Shock Trial (VASST) è uno studio multicentrico, stratificato, randomizzato, in doppio cieco, che ha coinvolto 27 centri in Canada, Australia e USA, tra luglio 2001 e aprile 2006, programmato per verificare se in pazienti con shock settico in terapia standard (incluse le catecolamine), la vasopressina diminuisse la mortalità a 28 giorni, in confronto alla noradrenalina. Secondariamente, è stato studiato se gli effetti benefici della vasopressina possano essere più pronunciati di quelli della noradrenalina nel sottogruppo di pazienti con uno shock settico più grave, in confronto a quelli con malattia meno grave.
Gli autori definiscono shock settico meno grave quello che richiede un trattamento con 5-14 µg/min di noradrenalina o farmaco equivalente; e shock settico più grave quello che richiede 15 µg/min di noradrenalina o farmaco equivalente.

778 pazienti (età >16 anni) con shock settico resistente alla somministrazione di liquidi (cioè senza risposta all’infusione di 500 ml di soluzione fisiologica o che richiedono vasopressori) ed a noradrenalina a basse dosi, sono stati randomizzati a ricevere un’infusione di vasopressina (da 0,01 ad un massimo di 0,03 U/min; n=396) o un’infusione di noradrenalina (da 5 ad un massimo di 15 µg/min; n=382), entrambe titolate per mantenere una pressione arteriosa costante.
L’end point primario era il decesso per qualsiasi causa a 28 giorni dall’inizio del trattamento. End point secondari sono stati: la mortalità a 90 giorni; i giorni in cui il paziente era vivo e privo di disfunzione d’organo nei primi 28 giorni (in accordo ai Brusselles Criteria); i giorni di sopravvivenza senza uso di vasopressori, ventilazione meccanica o procedure dialitiche; i giorni di sopravvivenza liberi da segni e sintomi di risposta infiammatoria sistemica; i giorni di sopravvivenza senza uso di corticosteroidi; i giorni di degenza nelle unità di terapia intensiva e in ospedale. È stato valutato anche il tasso di eventi avversi gravi.

Non sono state riscontrate differenze significative tra il gruppo vasopressina e quello noradrenalina riguardo al tasso di mortalità a 28 giorni (35,4% e 39,3%, rispettivamente; p=0,26) e a 90 giorni (43,9% e 49,6%, rispettivamente; p=0,11).
Il tasso complessivo di eventi avversi gravi non è stato differente nei due gruppi (10,3% vs 10,4%, vasopressina vs noradrenalina; p=1,00). Tuttavia, i pazienti trattati con noradrenalina hanno mostrato una maggiore tendenza ad andare incontro ad arresto cardiaco (2,1% vs 0,8%, noradrenalina vs vasopressina; p=0,14), e quelli trattati con vasopressina una maggiore tendenza ad avere ischemia digitale (2,0 vs 0,5, vasopressina vs noradrenalina; p=0,11).
Nel gruppo di pazienti con shock settico meno grave, il tasso di mortalità a 28 giorni è stato più basso con vasopressina che con noradrenalina (26,5% vs 35,7%; p=0,05); al contrario, non è stata misurata alcuna differenza significativa tra i due trattamenti nei pazienti con shock settico più grave (44,0% vs 42,5%; p=0,076).

Questi risultati sono rilevanti poiché, come affermano gli autori, lo studio è dotato di una potenza sufficiente a valutare una differenza assoluta del 10% nel tasso di mortalità. Le percentuali di mortalità osservate in entrambi i gruppi erano considerevolmente più basse di quelle misurate in studi precedenti, probabilmente a causa di un miglioramento complessivo della terapia dei pazienti con shock settico.
Lo studio presenta alcuni limiti; in particolare, la mancanza di benefici da parte della vasopressina potrebbe essere dovuta al tempo medio (12 h) intercorso tra il raggiungimento dei criteri di inclusione e l’inizio del trattamento.


Gli autori concludono che nei pazienti con shock settico trattati con catecolamine, basse dosi di vasopressina (0,03 U/min) non riducono il tasso di mortalità rispetto alla noradrenalina. Infine, non è stata evidenziata nessuna correlazione tra gravità dello shock e risposta al trattamento.


Commento

L’articolo è accompagnato da un editoriale di JE Parrillo, il quale mette in luce alcuni punti chiave dello studio. Innanzitutto, sono stati esclusi pazienti con patologie cardiache, e, più in generale, pazienti ad alto rischio; questo bias potrebbe giustificare un tasso di eventi avversi simile nei due gruppi e la minore mortalità complessiva associata a shock settico riscontrata nello studio (37%) rispetto a quella attesa (50-60%). Inoltre, la pressione media all’inizio dello studio, durante la somministrazione di catecolamine in monoterapia, era di 72-73 mm Hg, pertanto il trial risulta in una valutazione della vasopressina come risparmiatore di catecolamine, piuttosto che come valutazione della vasopressina nello shock settico non responsivo alle catecolamine. Infine, il trattamento con vasopressori è stato iniziato in media dopo 12 h dall’insorgenza dello shock settico, tempo che potrebbe essere troppo tardivo perché un qualsiasi agente vasopressorio dimostri un effetto significativo sulla mortalità. A tal proposito, l’editorialista sottolinea l’applicabilità, nello shock settico, del concetto di “golden hour”, periodo critico durante il quale è necessario intraprendere la terapia.

Alla luce di tali considerazioni, l’editorialista afferma che:
- non esiste un vantaggio convincente per l’uso di vasopressina piuttosto che di noradrenalina;
- nel trattamento dello shock settico è decisiva la tempestività dell’intervento con vasopressori, piuttosto che uno specifico agente.
In conclusione, nello shock settico, sia nella pratica che negli studi clinici, una volta che si è instaurata l’ipotensione, è necessario iniziare immediatamente una terapia antimicrobica, un supporto vascolare, ed altre terapie efficaci raccomandate dalle linee guida.

Dottoressa Arianna Carolina Rosa

Riferimenti bibliografici

Russell JA et al. Vasopressin versus norepinephrine infusion in patients with septic shock. N Engl J Med 2008; 358: 877-87.
Parrillo JE. Septic shock – vasopressin, norepinephrine, and urgency. N Engl J Med 2008; 358: 954-6.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/



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