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Efficacia del tiotropio nella BPCO: studio UPLIFT


Categoria : pneumologia
Data : 11 ottobre 2008
Autore : admin

Intestazione :

Il tiotropio, rispetto al placebo, migliora, a quattro anni, i sintomi respiratori e riduce le riacutizzazioni, ma non il declino del FEV1.



Testo :

In questo studio randomizzato e controllato, in doppio cieco, durato quattro anni, sono stati reclutati 5993 pazienti (età media 65 anni ±8) affetti da BPCO, trattati con tiotropio oppure placebo. A tutti i pazienti era permesso l'uso di altri farmaci comunemente usati per la BPCO, eccetto gli anticolinergici.
I partecipanti avevano tutti almeno 40 anni, un FEV1 del 70% o meno dopo broncodilatazione ed un rapporto FEV1/CV (Capacità Vitale) del 70% o meno.
L'end point primario era la velocità di declino del FEV1 prima e dopo broncodilatazione, partendo dal 30° giorno dall'inizio dello studio. End-point secondari erano i sintomi respiratori valutati secondo
il St. George's Respiratory Questionnaire, le riacutizzazioni, la mortalità.
L'end-point primario non risultò diverso tra i due gruppi. I sintomi respiratori erano migliori nel gruppo tiotropio. Il tiotropio risultò pure associato ad una riduzione del rischio di riacutizzazioni, di ospedalizzazioni correlate e di insufficienza respiratoria. Gli eventi avversi totali (SAEs) di tipo cardiaco e respiratorio furono meno frequenti nel gruppo tiotropio.
Gli autori concludono che il tiotropio migliora i sintomi respiratori e la qualità di vita e riduce il rischio di riacutizzazioni, ma non la velicità del declino del FEV1.


Fonte:

Tashkin DP et al. for the UPLIFT Study Investigators. A 4-Year Trial of Tiotropium in Chronic Obstructive Pulmonary Disease. N Engl J Med 2008 Oct 9; 359:1543-1554.


Commento di Renato Rossi

Lo studio UPLIFT consente diversi piani di lettura.
Una prima considerazione è che lo studio ha mancato l'end-point primario in quanto non è riuscito a dimostrare una riduzione del declino del FEV1 rispetto al placebo. Dovremmo quindi dire che ha avuto esito negativo? Da un punto di vista formale è così perchè i risultati positivi trovati per la qualità di vita, i sintomi respiratori, le riacutizzazioni della BPCO e le ospedalizazioni erano outcomes secondari. Sappiamo infatti che uno studio dovrebbe essere interpretato alla luce dell'end-point primario, mentre qualsiasi risultato positivo per end-point secondari dovrebbe servire più che altro come ipotesi da confermare in studi successivi. Tuttavia se questa è la regola generale, chi scrive pensa che ogni regola vada interpretata con buon senso: l'end-point primario nello studio UPLIFT era pur sempre un outcome surrogato, mentre molto più importanti da un punto di vista clinico erano gli end-point secondari. Secondo gli autori dello studio il fatto che non si sia potuto dimostrare un beneficio nel declino del FEV1, rispetto a studi precedenti, dipende dalla circostanza che molti pazienti erano trattati contemporaneamente con steroidi inalatori e beta 2 long acting e questo, probabilmente, ha annacquato l'efficacia del tiotropio. In effetti un' analisi per sottogruppi ha dimostrato che una riduzione del declino del FEV1 statisticamente significativa si è avuta per i pazienti che al baseline non assumevano nè steroidi inalatori nè beta 2 long acting. Per contro un editorialista afferma che non si può concludere che il tiotropio non è un farmaco che non modifica l'andamento della malattia, piuttosto dobbiamo cominciare a riconoscere che il declino del FEV1 non riesce a rappresentare da solo l'eterogeneità e la complessità insite nella BPCO. Un commento col quale ci troviamo sostanzialmente d'accordo. Semmai vi è una critica da fare agli autori dello studio: di aver progettato un trial con un end-point primario surrogato. Sarebbe stato preferibile disegnare uno studio con potenza statistica "tagliata" su end-point clinici hard, quelli che più interessano ai medici ed ai pazienti.
Un secondo piano di lettura, ancora più complesso, è quello che segue.
Recentemente su JAMA è stata pubblicata una metanalisi [1] di 17 trials, per quasi 15000 pazienti, secondo cui gli anticolinergici (ipratropio e tiotropio) sono associati ad un aumento del rischio di infarto e di mortalità cardiovascolare, ma non dello stroke e della mortalità totale. Come sono andate le cose nello studio UPLIFT? Per la mortalità totale è stato possibile avere i dati del 98% dei pazienti arruolati nello gruppo tiotropio e del 97% nel gruppo placebo: 14,8% vs 16,5%; HR 0,89; 0,79-1,02. Non vi è stata quindi una differenza statisticamente significativa nella mortalità totale tra i due gruppi, anche se vi era un trend a favore del tiotropio. Un po' quello che successe nello studio TORCH con l'associazione salmeterolo/fluticasone. Anche per quanto riguarda coronaropatia e stroke non c'era differenza statisticamente significativa tra i due gruppi. Invece nel gruppo tiotropio si è riscontrata una minor incidenza di infarto miocardico (0,71; 0,52-0,99) e di scompenso cardiaco congestizio (0,59; 0,37-0,96). Gli autori dello studio, citando questi dati, concludono che lo studio dimostra la sicurezza cardiovascolare del tiotropio. Quello che conta di più però è che nel gruppo tiotropio si riscontrò una minor frequenza di SAEs di tipo cardiaco e respiratorio. Ricordiamo che i SAEs rappresentano l'insieme di eventi avversi importanti che, nel corso di uno studio, hanno determinato il decesso, la necessità di ricovero oppure una grave disabilità. Come abbiamo già scritto [2] i SAEs sono probabilmente il parametro più interessante in quanto forniscono un bilancio, per quanto è possibile, completo dell'efficacia e della sicurezza di un farmaco. Per dare un'idea più precisa al lettore abbiamo calcolato, partendo dalla tabella 4 dello studio originale, il totale degli eventi avversi cardiaci e respiratori per 100 pazienti/anno: essi furono 14,88 nel gruppo tiotropio e 17,68 nel gruppo placebo. Sempre riferendoci alla tabella 4 riportiamo il rischio relativo (RR) e l'intervallo di confidenza di tiotropio versus placebo degli eventi cardiaci totali (0,84; 0,73-0,98) e di quelli respiratori (0,84; 0,77-0,92).
Ovviamente le conclusioni dello studio UPLIFT sconfessano quanto suggerito dalla metanalisi del JAMA. A chi credere? Gli autori di quest'ultima avevano già dichiarato che lo studio UPLIFT non era stato disegnato per valutare il profilo cardiovascolare del tiotropio.
Ritorna quindi l'interrogativo: dobbiamo prestar fede alla metanalisi di JAMA oppure allo studio UPLIFT?
In linea generale una metanalisi ha lo scopo di assemblare insieme molti studi, in modo da avere una potenza statistica maggiore. Tuttavia se gli studi assemblati sono di scarsa qualità l'analisi può avere dei limiti. Nel caso della metanalisi del JAMA si può obiettare che sono stati considerati insieme due tipi diversi di anticolinergici, l'ipratropio e il tiotropio, e non è detto che l'effetto classe sia sempre valido, anche perchè diversa è la durata d'azione dei due farmaci. Tuttavia un'analisi separata per i due farmaci ha evidenziato un rischio cardiovascolare significativo a lungo termine sia per ipratropio (RR 1,57; 1,08-2,28) che per tiotropio (RR 2,12; 1,22-3,67). Qualcuno ha fatto notare però che gli eventi cardiovascolari totali registrati nella metanalisi sono pochi e la significatività statistica ha probabilmente scarsa importanza clinica.
Sempre in linea generale è, forse, preferibile fidarsi dei risultati di un RCT, se ben disegnato, con casistica e follow-up adeguati, piuttosto che di una metanalalisi di qualità incerta. In questo caso la debolezza dell'UPLIFT è di avere come end-point primario il declino del FEV1, un esito che, come abbiamo già detto, non è l'ideale. Ripetiamo che, a nostro parere, sarebbe stato preferibile disegnare lo studio con una potenza tale da valutare esiti clinici hard.
Alla fine bisogna riconoscere che la metanalisi perfetta non è stata ancora inventata. E neppure un RCT esente da pecche: per esempio i dati sulla mortalità dell'UPLIFT sono di difficile interpretazione anche a causa dell'elevato numero di partecipanti che smise il trattamento (36,2% nel gruppo tiotropio e 44,6% nel gruppo controllo).
Lasciamo quindi la questione in sospeso, in attesa che si esprimano gli esperti di critical appraisal, ma è facile prevedere che si affronteranno due visioni, una critica verso la metanalisi del JAMA, una critica verso l'UPLIFT. A nostro avviso utile sarebbe rifare la metanalisi del JAMA aggiungendo i dati di quest'ultimo trial: essa infatti è nata già vecchia. Dato che si sapeva che lo studio UPLIFT sarebbe stato pubblicato a breve, non si poteva aspettare qualche mese e fare una metanalisi che lo comprendesse invece di pubblicarne una orfana di uno studio così ampio? E' giusto avvisare subito la classe medica se qualche farmaco pone dei potenziali rischi per i pazienti, ma nello stesso tempo bisogna anche guardarsi da allarmismi eccessivi: pensiamo che qualche mese in più non avrebbe fatto una gran differenza, se il fine era quello di avere a disposizione dati più completi.


Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4263
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3426







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