Alemtuzumab vs interferone ß1a nella sclerosi multipla iniziale
Categoria : neurologia
Data : 20 luglio 2009
Autore : admin
Intestazione :
Nei pazienti con SM recidivante-remittente iniziale, l’alemtuzumab è risultato più efficace dell’INFß1a ma è stato associato ad autoimmunità che si è manifestata in forma più seria come porpora trombocitopenica.
Testo :
L’alemtuzumab (*) è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il CD52 esposto sui linfociti T, sulle cellule natural killer e sui monociti. La somministrazione di cicli di alemtuzumab causa una prolungata deplezione delle cellule T e una modulazione del repertoire linfocitario. Gli studi condotti sui pazienti con sclerosi multipla (SM) secondariamente progressiva hanno suggerito l’efficacia dell’alemtuzumab nel sopprimere le recidive, ma non la progressione della disabilità. Gli studi sui pazienti con SM recidivante-remittente hanno, invece, mostrato che l’alemtuzumab stabilizza o migliora i deficit esistenti. Su queste basi è stato ipotizzato che la fase secondariamente progressiva della malattia possa essere attribuita alla neurodegenerazione postinfiammatoria e che l’immunoterapia somministrata nella fase iniziale della malattia dovrebbe influenzare la disabilità a lungo-termine. Lo studio, in singolo cieco, randomizzato di fase II, ha confrontato l’alemtuzumab all’interferone (INF)ß1a in pazienti con SM recidivante-remittente iniziale non trattati in precedenza. Dal dicembre 2002 al luglio 2004, 334 pazienti afferenti a 49 centri in Europa e negli Stati Uniti sono stati randomizzati a ricevere una volta all’anno alemtuzumab 12 mg/die (n=113) o 24 mg/die (n=110), in infusione endovenosa in 5 giorni consecutivi durante il mese 1 e in 3 giorni consecutivi durante i mesi 12 e 24 (in questo caso a discrezione del medico se la conta delle cellule T CD4+ era =100 x 106 cellule/l) o INFß1a 44 µg (n=111) per via sottocutanea 3 volte a settimana dopo aggiustamento della dose. Tutti i pazienti hanno ricevuto metilprednisolone 1 g per 3 giorni, come premedicazione in concomitanza ai cicli per coloro che ricevevano l’alemtuzumab. Alcuni pazienti hanno anche assunto antistaminici o antipiretici a discrezione dei ricercatori. Criteri di eleggibilità sono stati: diagnosi di SM recidivante-remittente con comparsa dei sintomi entro i 36 mesi dall’arruolamento; almeno 2 eventi clinici nei 2 anni precedenti; punteggio sulla Expanded Disability Status Scale (EDSS) =3; una o più lesioni rilevabili evidenti in almeno una di 4 NMR al massimo in un mese. Sono stati esclusi i pazienti che avevano assunto in precedenza trattamenti di tipo disease-modifying, quelli con storia di autoimmunità clinicamente significativa o con anticorpi anti-recettore per la tireotropina.
Misure di outcome sono stati i punteggi EDSS e la comparsa di recidive valutati trimestralmente in cieco da un neurologo. La sicurezza dei trattamenti è stata altresì valutata trimestralmente da un neurologo al corrente del trattamento. Misure co-primarie di efficacia sono state il tempo necessario per raggiungere un livello stabile di disabilità e la frequenza delle recidive. Un accumulo sostenuto di disabilità è stata definita come un aumento di 1,5 punti sulla scala EDSS per i pazienti con punteggio basale 0, e di 1,0 punti per quelli con punteggio basale =1. Il periodo d’insorgenza di una sostenuta disabilità è stato stabilito al momento del primo aumento del punteggio EDSS, escluse le recidive. Una recidiva è stata definita come la comparsa di un nuovo sintomo o il peggioramento di quelli già esistenti, persistente per almeno 48 h, che ha comportato un oggettivo cambiamento nell’esame neurologico, attribuibile alla SM, a temperatura corporea normale e preceduto da almeno 30 giorni di stabilità clinica. Outcome secondari sono stati il numero di pazienti che non hanno avuto recidive, i cambiamenti nell’entità delle lesioni (osservate nelle immagini NMR T2-pesate) e del volume cerebrale (misurato tramite il metodo di Losseff dalle immagini NMR T1-pesate). La funzione della tiroide, i livelli di anticorpi anti-recettore per la tireotropina e quelli delle sottopopolazioni linfocitarie sono stati misurati trimestralmente. È stata valutata anche la presenza di anticorpi leganti l’alemtuzumab. Sono stati registrati tutti gli eventi avversi comparsi entro i 36 mesi; gli eventi avversi seri e i disordini associati ad autoimmunità che si sono manifestati prima del 1 marzo 2008.
All’arruolamento le caratteristiche demografiche e cliniche erano simili tra i gruppi: età 32 anni; donne 64%; etnia caucasica 90%; punteggio EDSS medio 2,0; periodo dalla prima recidiva 1,3 anni. Nel settembre 2005, il safety monitoring board ha raccomandato la sospensione dei trattamenti con l’alemtuzumab a causa di tre casi di porpora trombocitopenica immune, uno dei quali fatale. Al momento della sospensione, 2 pazienti non avevano ancora ricevuto il secondo ciclo (al mese 12), mentre 155 pazienti non avevano potuto ricevere il terzo ciclo (al mese 24). Altri 3 pazienti con porpora trombocitopenica immune sono stati identificati a dicembre 2005, a luglio 2006 e a settembre 2006. Un caso di porpora trombocitopenica immune cronica e asintomatica è stato rilevato nel gruppo INFß1a. Un maggior numero di pazienti nel gruppo INFß1a, rispetto a quello alemtuzumab, ha interrotto precocemente il trattamento, in gran parte per assenza di efficacia ed eventi avversi e solo il 59% ha completato lo studio.
Tra i gruppi che hanno ricevuto l’alemtuzumab 12 mg o 24 mg non sono state rilevate differenze significative per nessuna delle misure di outcome e di sicurezza valutate. Rispetto a INFß1a, l’alemtuzumab ha ridotto significativamente la percentuale di accumulo sostenuto di disabilità (26,2% vs 9,0%; HR 0,29; CI 95% 0,16-0,54; p<0,001) e la frequenza per anno delle recidive (0,36 vs 0,10; HR 0,26; CI 95% 0,16-0,41; p<0,001). Il punteggio di disabilità medio, su una scala di 10 punti, è aumentato di 0,39 punti nel gruppo alemtuzumab e di 0,38 punti in quello INFß1a (p<0,001). Nel gruppo alemtuzumab, rispetto a quello INFß1a, l’entità delle lesioni è stata ridotta significativamente (p=0,005). La variazione del volume cerebrale tra il valore al mese 12 e quello al mese 36 è stato -0,2% nel gruppo INFß1a e +0,9% in quello alemtuzumab (p=0,02). Praticamente tutti i pazienti hanno riportato almeno un evento avverso. Gli eventi avversi nel gruppo alemtuzumab, rispetto a quelli nel gruppo INFß1a, hanno incluso autoimmunità (disordini della tiroide [23% vs 3%]), porpora trombocitopenica immune [3% vs 1%] e infezioni [66% vs 47%]).
Nei pazienti con SM recidivante-remittente iniziale, l’alemtuzumab è risultato più efficace dell’INFß1a ma è stato associato ad autoimmunità che si è manifestata in forma più seria come porpora trombocitopenica.
(*) In Italia alemtuzumab, in classe H OSP1, è attualmente indicato per il trattamento di pazienti affetti da leucemia linfocitica cronica a cellule B per i quali la chemioterapia di combinazione con fludarabina non è appropriata.
Commento Nell’editoriale di accompagnamento viene sottolineato che i punti di forza dello studio sono stati l’avere incluso pazienti che non avevano assunto terapie precedenti, con una malattia in fase molto iniziale e di aver confrontato l’alemtuzumab con una terapia standard. I limiti sono stati il disegno in singolo cieco (che potrebbe aver contribuito all’elevato numero di abbandoni nel gruppo INFß1a) e l’interruzione precoce dello studio. Ciò nonostante, i risultati dimostrano gli evidenti benefici dell’alemtuzumab sulla frequenza delle recidive, sulla disabilità sostenuta e sui parametri NMR di progressione dell’infiammazione e dell’atrofia. Tali benefici però sono stati ottenuti a fronte di significative complicanze. Lo studio non ha avuto una potenza sufficiente per determinare le complicanze rare, inclusa la leucoencefalopatia multifocale progressiva. Viene posta poi l’attenzione sul significato del miglioramento osservato che, quasi certamente, è dovuto alla riduzione della disabilità conseguente alle recidive piuttosto che quella legata alla progressione secondaria. I dati di questo studio, inoltre, evidenziano il valore di una terapia aggressiva intrapresa all’inizio del processo patogenetico, quando cioè la gran parte del danno infiammatorio è subclinico e la disabilità è assente o media in molti pazienti.
Conflitto di interesse
Lo studio è stato sponsorizzato da Genzyme e Bayer Schering Pharma.
Dottor Gianluca Miglio
Riferimenti bibliografici
Coles AJ et al. Alemtuzumab vs interferon beta-1a in early multiple sclerosis. N Engl J Med 2008; 359: 1786-801.
Hauser SL. Multiple lessons for multiple sclerosis. N Engl J Med 2008; 359: 1838-41.
Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/
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