Valsartan non previene recidive di fibrillazione atriale
Categoria : cardiovascolare
Data : 06 maggio 2009
Autore : admin
Intestazione :
Nello studio GISSI-AF il valsartan non è riuscito a ridurre le recidive di fibrillazione atriale rispetto al placebo.
Testo :
In questo trial multicentrico, controllato versus placebo, sono stati arruolati 1442 pazienti in ritmo sinusale che avevano avuto due o più episodi di fibrillazione atriale nei precedenti sei mesi oppure che erano stati trattati con successo con cardioversione nelle precedenti due settimane. Inoltre i pazienti dovevano essere diabetici oppure avere una malattia cardiovascolare o un ingrandimento dell'atrio sinistro. I partecipanti sono stati randomizzati a valsartan (320 mg/die) oppure placebo. L'end-point primario era il tempo di comparsa di una prima recidiva di fibrillazione atriale e la percentuale di pazienti che avevano più di una recidiva nel corso di un anno. Una recidiva si è verificata nel 51,4% dei pazienti del gruppo valsartan e nel 52,1% di quelli del gruppo controllo (HR aggiustata 0,97; 95%CI 0,83-1,14; p = 0,73). Più di un episodio di fibrillazione atriale si è verificato nel 26,9% dei pazienti del gruppo valsartan e nel 27,9% del gruppo placebo (p = 0,34). Gli autori concludono che il trattamento con valsartan non è associato ad una riduzione delle recidive di fibrillazione atriale. Fonte:
The GISSI-AF Investigators. Valsartan for Prevention of Recurrent Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2009 Apr 16; 360:1606-1617.
Commento di Renato Rossi Un editoriale di commento allo studio propone alcune interessanti osservazioni per facilitare l'interpretazione corretta del trial recensito in questa pillola. Dopo aver citato alcuni studi che suggeriscono che sia gli aceinibitori che i sartani possono prevenire il rimodellamento elettrico e strutturale caratteristico della fibrillazione atriale e quindi la comparsa dell'aritmia, l'editorialista ricorda che i pazienti arruolati nel GISSI-AF erano pazienti particolari, fatto che può limitare molto il trasferimento dei risultati alla pratica clinica. Infatti la quasi totalità dei pazienti era stata sottoposta nelle due settimane precedenti a cardioversione elettrica o farmacologica e più del 70% era trattato con farmaci antiaritmici. Inoltre va considerato che si tratta di uno studio di prevenzione secondaria: è probabile che i farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina non siano molto efficaci quando si sono già instaurate le alterazioni strutturali irreversibili dell'aritmia, mentre possono essere più utili nelle fasi iniziali, quando il rimodellamento è ancora reversibile. Insomma la terapia, conclude l'editoriale, sarebbe più utile in prevenzione primaria nei pazienti a rischio di fibrillazione atriale per la presenza di ingrandimento delle camere cardiache e/o di scompenso cardiaco. In effetti gli autori del GISSI-AF, nella discussione del loro studio, citano alcuni trials e metanalisi precedenti che suggeriscono un effetto profilattico maggiore degli aceinibitori e dei sartani quando usati in prevenzione primaria. Ricordiamo che, nei pazienti con scompenso da disfunzione sistolica, un effetto di prevenzione della fibrillazione atriale può ottenersi anche con l'uso di betabloccanti [2]. Ovviamente riuscire a previre la comparsa di fibrillazione atriale nei soggetti a rischio è un risultato di grande rilevanza pratica perchè questa aritmia, sia quando si presenta in forma parossistica o recidivante, sia quando è ormai cronicizzata, comporta un aumento del rischio di ictus. Se questi sono i dati di letteratura va anche detto che in genere i farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina sono molto usati nella pratica clinica in una vasta gamma di pazienti a rischio e questo costituisce senza dubbio un dato positivo.
Referenze
1. Gillis AM. Angiotensin-Receptor Blockers for Prevention of Atrial Fibrillation — A Matter of Timing or Target? N Engl J Med 2009 Apr 16; 360:1669-1671 2. Nasr I Aet al. Prevention of atrial fibrillation onset by beta-blocker treatment in heart failure: a meta-analysis. European Heart Journal 2007; 28: 457-462
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