Il trattamento della polimialgia reumatica
Categoria : reumatologia
Data : 07 luglio 2010
Autore : admin
Intestazione :
Una messa a punto da parte della Cochrane Collaboration delle evidenze sul trattamento della polimialgia reumatica.
Testo :
La Polimialgia Reumatica (PMR) è una sindrome caratterizzata da rigidità dolorosa mattutina delle spalle, della cintura pelvica e del collo, in persone di 50 anni o più.
Manifestazioni sistemiche quali febbricola, stanchezza, perdita di peso anemia da malattia cronica sono frequentemente presenti, così come aumentano nelle fasi acute la velocità di eritrosedimentazione (VES), e i livelli di proteina-C-reattiva (PCR).
Il trattamento con glucocorticoidi rappresenta la terapia di elezione per la PMR. Prima dell’era dei glucocorticoidi, era stata evidenziata l’ occasionale natura autolimitante della PMR con miglioramenti spontanei che si verificavano in alcuni pazienti, ed i sintomi muscolo scheletrici venivano trattati con farmaci antinfiammatori non steroidei (NSAIDs). Oggi il prednisone ed il suo principale metabolita attivo prednisolone, considerati equipotenti a dosi equivalenti, vengono universalmente utilizzati nella PMR. Altri glucocorticoidi correntemente usati includono il metilprednisolone e il deflazacort .
Si ritiene appropriato un dosaggio iniziale di prednisone da 10 a 20 mg/die per la maggior parte dei pazienti che hanno una PMR senza associata arterite a cellule giganti (GCA). I sintomi in genere si risolvono completamente dopo pochi giorni. Per la maggior parte dei pazienti sono necessari almeno 2 anni di trattamento, ma altri hanno un decorso più cronico, recidivante o refrattario che richiede un trattamento più lungo con steroidi.
Gli eventi avversi di una terapia a lungo termine con steroidi sono comuni e talvolta deleteri in pazienti con PMR. Per ridurre la dose cumulativa totale di glucocorticoidi ed i loro eventi avversi, alcuni ricercatori hanno studiato l’aggiunta di farmaci chemioterapici e, più recentemente, di agenti biologici con potenziali effetti di risparmio di glucocorticoidi per regimi di trattamento della PMR.
La presente revisione ha analizzato in maniera sistematica l’evidenza riportata sulla terapia della PMR, specialmente quella preferenzialmente usata, con glucocorticoidi, i suoi dosaggi ottimali, iniziali e di mantenimento, i regimi a bassi dosaggi e i farmaci risparmiatori di glucocorticoidi.
Gli autori hanno ricercato sui Cochrane Databases e su MEDLINE (dal 1957 fino a dicembre 2008) articoli in lingua inglese sul trattamento della PMR (trials randomizzati, studi prospettici di coorte, studi caso-controllo e serie di casi), che includessero 20 o più pazienti. Sono stati raccolti tutti i dati sul disegno di studio, sui criteri di definizione della PMR, sulla terapia medica, e sugli esiti di malattia, usando un protocollo standardizzato. Sono state identificate 784 citazioni. Sono stati infine analizzati 30 studi con almeno 20 pazienti (13 trials randomizzati, e 17 studi osservazionali). Non sono state trovate metanalisi o revisioni sistematiche.
FARMACI USATI PER LA POLIMIALGIA REUMATICA
Glucocorticoidi
La maggior parte degli studi che valutavano l’uso dei glucocorticoidi da soli per l’induzione della remissione o per il mantenimento nella PMR erano osservazionali. Trattamento Iniziale (Induzione della remissione)
In uno studio, i pazienti con PMR che erano stati trattati con una dose di 10 mg/d di prednisolone avevano avuto bisogno di incrementi più bassi della dose rispetto a quelli che avevano assunto meno di 10 mg/d, sebbene nessun paziente trattato con più di 10 mg/d aveva avuto bisogno di una modifica della dose. Quando le dosi iniziali di prednisolone di 15 mg/d o meno venivano paragonate con dosi più alte di 15 mg/d, la dose di mantenimento giornaliera era più alta nei pazienti inizialmente trattati con più di 15 mg/d dopo il primo e il secondo anno di trattamento, sebbene la dose iniziale non avesse influenzato recidive o sospensioni di trattamento. In una serie di casi in cui si era usato prednisolone alle dosi iniziali di 15 mg/d era stato trovato che meno dell’1% dei pazienti aveva avuto bisogno di dosi maggiori di 15 mg/d per il controllo dei sintomi. In un unico trials randomizzato nel quale un regime di prednisolone era stato iniziato con 10 mg/d o 20 mg/d per 4 settimane con rapido “decalage” in 2 mesi, I pazienti che avevano ricevuto inizialmente 20 mg/d avevano avuto un minor numero di recidive di quelli che ne avevano ricevuto 10 mg/d, e il 30% dei pazienti che avevano preso 10mg/d avevano dovuto incrementare a 15 e a 20 mg/d per il controllo dei sintomi. Basandosi su questi risultati, meno dell’1% dei pazienti con PMR trattati inizialmente con prednisolone alla dose di 15 mg/d aveva richiesto dosi più elevate per controllare i propri sintomi. Dosi di prednisolone di 10 mg/d o più alte sono sembrate controllare inizialmente la PMR in maniera più efficace di dosi più basse, e dosi di 15 mg/d o più basse sono apparse altrettanto efficaci di dosi più alte. Pertanto, la migliore evidenza disponibile sembra indicare che 15 mg/d di prednisone come dose iniziale potrebbero essere efficaci nella maggior parte dei pazienti con PMR.
Riduzione delle Dosi durante la Fase di Mantenimento
I dosaggi di glucorticoidi in genere vengono ridotti in accordo alle risposte cliniche e di laboratorio (in genere livelli di VES e PCR). Gonza´lez-Gay e coll. hanno trovato che un tasso ridotto a meno di 1 mg/mese era associato a recidive di febbre in misura maggiore rispetto a riduzioni superiori ad 1 mg/mese partendo da dosi iniziali di prednisone dai 10 ai 20 mg/d. Simili risultati sono stati riscontrati da altri autori. Due studi hanno usato prednisolone a 15 mg/d seguiti da una graduale riduzione fino a raggiungere dosi di mantenimento dagli 8 mg/d ai 10 mg/d, con conseguenti riduzioni di 1 mg ogni 2 mesi fino alla sospensione del trattamento. Entrambi questi studi hanno mostrato un controllo ottimale dell’attività di malattia durante il periodo in studio. Viceversa, regimi di riduzione più veloce erano associati con più scarsi risultati. Questi ritrovati indicherebbero che una volta raggiunta una dose giornaliera stabile di 10 mg dopo una iniziale remissione, una ulteriore riduzione della dose dovrebbe essere più piccola di 1 mg/mo (ad es., 1 mg ogni 2 mesi).
Impatto a Lungo Termine del Trattamento Iniziale
Sospensione della Terapia e Tassi di Recidiva
Per i regimi di prednisone iniziati con dosaggi dai 10 ai 20 mg/d, sono stati riportati tassi di sospensione variabili dal 41% al 50% dopo 2 anni, del 70% dopo 3 anni, dell’82% dopo 4 anni, dal 16 al 91% dopo 11 anni. Quando i regimi sono stati iniziati con dosaggi di 10 mg/d o più bassi o di 12.5 mg/d o più bassi, il 70% dei pazienti ha sospeso la terapia dopo 4 anni di follow-up. In uno studio con una dose iniziale di prednisone di 20 mg/d, il 33% dei pazienti ha sospeso il trattamento in meno di 1 anno. Alcuni studi hanno paragonato l’effetto di differenti dosi iniziali di glucocorticoidi sulla durata del trattamento e/o sul tasso di recidive. Quando si sono paragonate dosi di prednisone inferiori a 15 mg/d, con dosi di 15 mg/d o superiori non si sono avute differenze significative in alcun esito. I tassi di sospensione del trattamento con prednisone erano simili quando dosi di iniziali di 10 mg/d o inferiori venivano paragonate con dosi iniziali dai 15 ai 20 mg/d e quando dosi iniziali di 10 mg/d (range, 7-12 mg/d) venivano paragonate con dosi iniziali di 24 mg/d (range, 15-30 mg/d).
I pazienti che assumevano 10 mg/d tendevano ad avere un maggior numero di recidive rispetto ai pazienti che assumevano dosi iniziali più elevate. Dosi iniziali più elevate di 15 mg/d erano associate con un più alto rischio di eventi avversi relativi a glicocorticodi senza benefici aggiuntivi.
In genere le recidive si presentavano in una percentuale dal 23% al 29% dei pazienti durante l’intero periodo di follow-up, nel 33% dei pazienti durante il primo anno. Il più alto tasso di recidive (55%) è stato riportato da uno studio retrospettivo in cui era stato usato un ampio range di prednisone (1-100 mg/d; dose media, 15 mg/d). L’unico studio che aveva valutato differenze relative al sesso in casi di nuova diagnosi di PMR ha trovato che le donne avevano avuto più recidive, avevano ricevuto dosi cumulative più elevate, ed avevano avuto un numero di eventi avversi maggiore degli uomini.
Nonostante i differenti dosaggi iniziali ed i diversi schemi di riduzione del regime terapeutico, sembra che dosi di prednisone tra 10 e 20 mg/d controllino bene l’esordio iniziale della malattia e, soprattutto consentano la sospensione del trattamento corticosteroideo in circa il 50% dei pazienti a 2 anni.
Deflazacort e Metilprednisolone nella PMR
Tre trials randomizzati hanno paragonato deflazacort con altri glucocorticoidi in termini di efficacia nel controllare l’attività di malattia durante un periodo di follow-up di 12 mesi o meno. Quando usato agli stessi dosaggi, il deflazacort aveva una potenza inferiore a quella del prednisone, del prednisolone e del 6-metilprednisolone. Il trattamento con deflazacort a dosaggi iniziali superiori ai 20 mg/d si è dimostrato efficace in casi di PMR di nuova diagnosi, anche se questi risultati si basano soprattutto su di un singolo studio osservazionale. Due trials randomizzati, in doppio cieco, controllati, hanno analizzato l’efficacia e la safety del trattamento con metilprednisolone per via intramuscolare e del metilprednisolone somministrato per iniezione locale nel cingolo scapolare nel trattamento della PMR. Uno studio di 1 anno ha comparato una preparazione depot di metilprednisolone acetato per via i.m. (120 mg ogni 2 settimane per 12 settimane seguito da iniezioni mensili con riduzione delle dosi di 20 mg ogni 3 mesi) con un regime terapeutico di prednisolone orale (15 mg/d gradualmente ridotto a 10 mg/d) in casi di nuova diagnosi di PMR. La riduzione delle dosi veniva fatta sotto i 10 mg/d riducendo di 1 mg ogni 8 settimane. Sebbene entrambi i glucocorticoidi inducessero e mantenessero la remissione di malattia, il prednisolone tendeva a controllare i sintomi in maniera più rapida e consistente ma mostrava anche tassi più alti di sospensione del trattamento glicocorticoide rispetto al metilprednisolone i.m. Comunque, i pazienti che assumevano prednisolone avevano ricevuto dosi cumulative più elevate ed avevano più eventi avversi. Uno studio aveva valutato il trattamento con 6-metilprednisolone somministrato per iniezione bilaterale nelle spalle ogni 4 settimane in casi di nuova diagnosi di PMR limitata al cingolo scapolare. Il dolore alle spalle e i sintomi sistemici si erano inizialmente risolti in tutti i pazienti, e questo effetto si era mantenuto dopo 14 mesi nel 50% dei pazienti. Questi risultati limitati e la necessità di ripetere procedure invasive suggerisce che le iniezioni routinarie di metilprednisolone (i.m. o nelle spalle) non rappresentano un trattamento pratico della PMR e si dovrebbero prendere in considerazione per pazienti ad alto rischio di eventi avversi correlati a glucocorticoidi (iniezioni i.m.) e in casi di PMR limitati al cingolo scapolare.
Farmaci Risparmiatori di Glucocorticoidi
Trattamento Iniziale Tre studi clinici randomizzati hanno valutato i regimi terapeutici a base di methotrexate in casi di PMR di nuova diagnosi.Dosi di methotrexate orale 7.5 mg/settimana più 20 mg/d di prednisone non hanno offerto grandi benefici rispetto al prednisone da solo in tutti gli esiti dopo 2 anni di follow-up. Tuttavia, questi risultati possono essere stati mal interpretati perché dosi di methotrexate di 7.5 mg/sett.sono insufficienti ad esercitare effetti di risparmio glucocorticoidi e il 15% dei pazienti inclusi aveva GCA, che in genere richiede dosaggi più elevati di prednisone per controllare l’attività di malattia. Il methotrexate orale ed i.m. ad una dose di 10 mg/sett, quando aggiunto al prednisone, ha mostrato effetti di risparmio dei glucocorticoidi a paragone con il prednisone da solo, riguardanti i tassi di recidiva, i tassi di sospensione del trattamento con prednisone, la durata della terapia con prednisone e la dose cumulativa di prednisone. Il trattamento intramuscolare con methotrexate era stato sospeso a 18 mesi da tutti i pazienti che avevano sospeso la terapia con prednisone 6 mesi prima. Eventi avversi da gli corticoidi ed una significativa riduzione della densità minerale ossea erano stati osservati soltanto in pazienti che avevano ricevuto prednisone da solo. Uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato vs placebo ha testato l’efficacia dell’infliximab come agente risparmiatore di glucocorticoidi in casi di PMR di nuova diagnosi. Non si sono osservate differenze tra i gruppi nella proporzione di pazienti senza recidive in 52 settimane (end point primario), nel numero di recidive, nella durata e nelle dosi cumulative di prednisone o nei tassi di sospensione del trattamento con prednisone. Pertanto, mentre l’infliximab non può essere considerato un farmaco utile come risparmiatore di glucocorticoidi in pazienti di nuova diagnosi di PMR, l’aggiunta di methotrexate orale o i.m. ad un regime terapeutico di 10 mg/settimana o più, sembra ridurre le recidive, i dosaggi di prednisone necessari, e gli eventi avversi correlati a glucocorticoidi.
Fase di Mantenimento
Dosi orali di methotrexate di 7,5 mg/sett. (aumentati a 10,0 o 12,5 mg/sett., secondo la risposta clinica) usate come co-trattamento per il mantenimento della remissione in pazienti con PMR che precedentemente avevano ricevuto prednisone ( la maggior parte a dosaggi di 20 mg o più) per 3 mesi non ha mostrato benefici clinici né biochimici dopo 9 mesi di follow-up. Comunque, l’inefficacia del methotrexate in questa sottoserie di soggetti che avevano bisogno di in maniera inusuale di dosi alte di glucocorticoidi non si può ritenere generalizzabile ad una popolazione più ampia di PMR. Gli effetti a lungo termine del methotrexate orale sono stati analizzati retrospettivamente in uno studio di coorte. 59 mesi dopo l’inizio della terapia, un modesto effetto del methotrexate si era mantenuto in quel numero di pazienti in cui le infiammazioni per paziente erano ridotte, ma non vi erano differenze in altri esiti di malattia. L’unico studio (randomizzato, in doppio cieco, controllato vs placebo) che ha usato azatioprina (150 mg/d) durante la fase di mantenimento della PMR ha mostrato un’alta frequenza di eventi avversi correlati a farmaco, e il 35% dei pazienti aveva sospeso (44% nel gruppo azatioprina e il 27% nel gruppo placebo). Dopo 52 settimane, i pazienti che avevano ricevuto azatioprina avevano avuto bisogno di dosi cumulative di prednisolone più base rispetto al gruppo placebo. Il numero ristretto di quelli che avevano portato a temine la terapia e le alte proporzioni di pazienti inclusi con GCA rendono I risultati difficili da interpretare.
Farmaci Antinfiammatori Non-Steroidei
L’aggiunta di NSAIDs ai regimi terapeutici di glucocorticoidi per il trattamento di pazienti con PMR non ha mostrato alcun vantaggio rispetto ai glucocorticoidi da soli nella durata della terapia o nelle dosi giornaliere o cumulative, ed ha prodotto più eventi avversi. Tuttavia, alcuni pazienti con PMR possono mantenere remissioni sostenute con gli NSAIDs. Aneddoticamente, è stato trovato che gli effetti del tenidap, un NSAID non immesso in commercio, studiato durante la fase di mantenimento della PMR, non dava risparmio di glucocorticoidi ed il farmaco aveva un alto profilo tossico. Sebbene queste conclusioni fossero basate su di una bassa qualità di evidenza, si può concludere che il trattamento con NSAIDs da solo può alleviare i sintomi in una minoranza di pazienti con PMR, ma può anche dare effetti avversi indesiderabili quando somministrata a lungo termine insieme ai glucocorticoidi.
CONCLUSIONI DEGLI AUTORI
Sebbene gli studi che hanno valutato il trattamento della PMR non associata a GCA abbiano significative variazioni cliniche e metodologiche (notevole l’ eterogeneità), e la qualità dell’evidenza non segua specifiche raccomandazioni terapeutiche, la migliore evidenza disponibile suggerisce che:
• il prednisone o i suoi equivalenti, ad una dose iniziale di 15 mg/d, possono controllare l’attività di malattia nella maggior parte dei pazienti, anche se dallo 0 al 13% dei pazienti può ancora aver bisogno di dosi iniziali più elevate per il controllo dei sintomi. • Sono state effettuate riduzioni della dose iniziale di prednisone di 2.5 mg al mese o ogni 2 settimane fino a raggiungere la dose di 10 mg/d.. Si possono provare riduzioni successive di 1 mg/mese o meno (ad es., di 1mg ogni 6-8 settimane) fino alla sospensione.
• Poiché le recidive si presentano, quando la dose di prednisone viene ridotta a 10 mg/d o a 5 mg/d, nei primi 3 mesi dalla riduzione della dose, è ragionevole effettuare visite di controllo ogni 3 mesi.
• La nostra esperienza si fonda sul mantenimento del dosaggio minimo di prednisone che riesce a controllare l’attività di malattia.
• Si dovrebbe decidere se continuare solo con i glucocorticoidi o aggiungere un agente risparmiatore di glucocorticoidi dopo aver considerato i rischi e i benefici della terapia a lungo termine con glucocorticoidi e le controindicazioni alla terapia adiuvante.
• Dei farmaci risparmiatori di glucocorticoidi, il methotrexate orale ad una dose di almeno 10 mg/sett. sembra essere di aiuto in PMR di nuova insorgenza, anche se casi recidivati o trattati con prednisone a lungo termine alle dosi di 10 mg/d o più elevate possono richiedere dosi più elevate di methotrexate. Dell’aggiunta iniziale di methotrexate ai regimi terapeutici a base di prednisone potrebbero giovarsi pazienti ad alto rischio di eventi avversi correlati a glucocorticoidi, pochè i regimi combinati hanno mostrato una riduzione degli eventi avversi rispetto al prednisone da solo.
• L’aumento del beneficio associato alla riduzione degli eventi avversi del methotrexate i.m. o sottocutaneo rispetto a quello per via orale nel trattamento dell’artrite reumatoide suggerisce che il methotrexate sottocutaneo può essere preso in considerazione anche nel trattamento della PMR.
• Si dovrebbe tentare la sospensione della terapia con methotrexate da 6 a 12 mesi dopo la sospensione del trattamento con glucocorticoidi.
• Si raccomanda la profilassi della osteoporosi con bifosfonati, calcio orale e vitamina D.
• Gli eventi avversi correlati a terapia cortisonica sono riportati con percentuali variabili in pazienti affetti da PMR, con range variabili dal 3,6% al 58% fino al 91%; si verificano in genere dopo 1 anno di trattamento; sono più frequenti in pazienti con maggior numero di recidive ed in quelli che ricevono dosi più elevate di cortisonici e per un tempo maggiore.
• E’ difficile identificare pazienti con PMR con maggiore resistenza alla terapia e quelli che possono trarre beneficio da una strategia di trattamento adeguata. Alti livelli di VES, di PCR (e di interleuchina) al momento della diagnosi sono correlati con un aumento del rischio di recidiva, o con un maggior bisogno di dosi elevate di cortisonici, specialmente se i valori anormali persistono durante il trattamento. Alti livelli di emoglobina e bassi di VES sono associati ad una migliore risposta alla terapia cortisonica nella PMR. Le donne sembrano avere una malattia più resistente, a paragone con gli uomini, un maggior numero di recidive, la necessità di maggiori dosi cumulative di glicocortiocidi ed un numero maggiore di eventi avversi.
Patrizia Iaccarino
Riferimento bibliografico
1) Treatment of Polymyalgia Rheumatica A Systematic Review Jose´ Herna´ndez-Rodrı´guez, MD, PhD; Maria C. Cid, MD, PhD; Alfons Lo´pez-Soto, MD, PhD; Georgina Espigol-Frigole´, MD; Xavier Bosch, MD, PhD ARCH INTERN MED/VOL 169 (NO. 20), NOV 9, 2009 WWW.ARCHINTERNMED.COM
Commento di Luca Puccetti
C’è ben poco da aggiungere a questa bella messa a punto sulla PMR. Si può concordare su quasi tutti gli aspetti puntualizzati dalla revisione. Ancora adesso la malattia è poco conosciuta dai medici ed il paziente arriva ad una diagnosi quasi sempre dopo un consulto specialistico. E’ da ricordare che i sintomi possono essere anche allarmanti (per la presenza di febbre, anemizzazione, depressione dimagrimento) ed insidiosi, oppure manifestarsi in modo iperacuto, possono iniziare al cingolo scapolare o a quello pelvico e poi estendersi al collo e alla radice delle cosce. Tipica è la grande rigidità mattutina, l’incapacità a lavarsi e pettinarsi al risveglio. I dolori sono presenti la notte, a riposo, ciò costituisce sul piano clinico una differenza fondamentale tra patologia meccanica ed infiammatoria. La malattia entra in diagnosi differenziale specialmente con l’artrite reumatoide ad esordio tardivo, che tipicamente interessa più spesso le articolazioni delle spalle rispetto a quanto si verifica nelle forme ad esordio più giovanile e con la sindrome Rs3Pe (Remitting seronegative symmetrical synovitis with pitting edema) una condizione caratterizzatta da una sinovite delle metacarpofalangee, polsi, gomiti, spalle, ginocchia, caviglie, simmetrica, con edema del dorso delle mani e dei piedi con fattore reumatoide negativo che risolve più prontamente con i corticosteroidi rispetto a quanto osservato con la PMR. Sia la PMR che la RS3Pe possono essere espressioni paraneoplastiche e quindi laddove la risposta al trattamento steroideo sia torpida o incoerente è opportuno procedere ad uno screening per cancro occulto. Di particolare importanza il coinvolgimento bilaterale dei polsi che deve sempre far pensare ad una AR ad esordio senile. L’arterite a cellule giganti (GCA) si caratterizza sul piano clinico per la presenza di cefalea e talora febbre e claudicatio mascellare, ma possono essere colpiti, sia pur raramente, anche altri distretti ed in tal caso le manifestazioni cliniche possono essere correlate alla sede colpita. Sia nella PMR che nella GCA c’è una imponente reazione di fase acuta, con valori anche elevatissimi della VES, della PCR, del fibrinogeno e, per converso, una diminuzione della pre-albumina. Prima di intraprendere una terapia con steroidi è opportuno indagare per la presenza anamnestica di antecedenti specifici ed in tal caso può essere utile associare una terapia antitubercolare preventiva con isoniazide. Quanto all’azione di risparmio steroideo essa appare utile ,in pratica, solo laddove ci siano gravi controindicazioni al trattamento con steroidi, ad esempio nel diabete mellito scompensato, oppure in gravi casi di glaucoma o nelle osteoporosi con gravi cedimenti vertebrali. Infatti i farmaci chemioterapici verrebbero impiegati in soggetti anziani in cui l’insorgenza di eventi avversi temibili può essere più elevata rispetto a quanto si verifica nei pazienti più giovani e spesso le conseguenze di tali eventi avversi possono essere drammatiche per la mancanza di un contesto familiare ed ambientale affidabile al fine di ridurre al minimo i rischi connessi con tali terapie. Nella GCA le dosi di steroide inizialmente devono essere molto più elevate rispetto a quanto occorre nella PMR con dosi di prednisone-equivalenti di 0,5-1 mg/ proKg die. I FANS e gli analgesici sono del tutto inefficaci sul piano della modifica dell’andamento della malattia e scarsamente efficaci sul controllo dei sintomi. L’ultima osservazione è correlata con la velocità del “decalage” degli steroidi, che, come osservato anche nella revisione, deve essere tanto più lenta quanto più bassa è la dose somministrata al fine di minimizzare il rischio di recidive che solitamente si presentano con un quadro clinico meno acuto e pronunciato, sia per quanto concerne i sintomi che i dati di laboratorio. Nelle ricadute è raro dover ricorrere a dosi di steroidi prednisone equivalenti superiori a 10 mg/die. Lo steroide deve essere somministrato al mattino presto dopo colazione per coincidere con l'orario del picco di increzione endogena di cortisolo in modo da incidere il meno possibile sull'andamento circadiano dell'increzione ormonale. Se somministrato da solo, ossia senza essere associato ad antinfiammatori non steroidei, il potenziale gastrolesivo dello steroide è modesto, tuttavia, laddove emergano elevati profili di rischio per eventi avversi sul tratto gastroenterico (pregresso evento g-i, età avanzata, concomitante utilizzo di anticoagulanti/aspirina, disabilità) può essere appropriato associare una gastroprotezione con PPI.
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