Effetti avversi su scompenso ed aterosclerosi dei farmaci non cardiovascolariCategoria : cardiovascolare Data : 21 aprile 2010 Autore : admin Intestazione : La maggior parte dei farmaci non sono usati per trattare malattie cardiache. Tuttavia, tali farmaci non-cardiovascolari possono avere spesso effetti cardiovascolari. Testo : In questa revisione, vengono trattate alcune manifestazioni cardiovascolari di farmaci usati per indicazioni non-cardiovascolari. Vengono anche trattati gli effetti cardiovascolari che derivano da farmaci non-cardiovascolari per interazioni farmacologiche che possono portare ad un decremento o ad un incremento delle concentrazioni dei farmaci cardiovascolari. 11. Interazioni Farmacologiche: Farmaci Non-Cardiovascolari possono influire su Farmaci Cardiovascolari:Aspirina e Ibuprofene CYP3A4 e CYP3A5 CYP2D6 CYP2C9 CYP2C19 Glicoproteina P Colestiramina Erbe Medicinali Cardiomiopatia e Scompenso Cardiaco La cardiotossicità da antracicline può limitare l’uso di questi chemioterapici altamente efficaci. La cardiotossicità cronica da antracicline è dipendente dalla dose cumulativa del farmaco, con tassi di <0.2% con dosi di doxorubicina <400 mg/m2, ma del 18% con dosi >700 mg/m2 (59). I fattori di rischio per cardiotossicità comprendono la combinazione di chemioterapia e di un’età giovane al tempo dell’esposizione (42). I bambini possono sviluppare tossicità a dosi cumulative più basse di antracicline di quelle degli adulti (60). I meccanismi sottostanti il danno cardiaco non sono completamente conosciuti, ma sono ritenuti importanti la formazione di radicali liberi e la perossidazione dei lipidi (61). Il dexrazoxane, un radicale libero scavenger, può ridurre la cardiotossicità antraciclino-indotta ed il suo uso è stato raccomandato quando il rischio di cardiotossicità è alto (62). Anche la ciclofosfamide, un agente alchilato che viene usato in molti regimi di trapianto di midollo osseo, può causare cardiotossicità dose-dipendente. Può anche essere fatale in più dell’11% dei casi (63). Il fluorouracile, un derivato pirimidinico, può causare cardiotossicità acuta nell’1–18% dei pazienti (63). Le manifestazioni comprendono angina pectoris, infarto del miocardio, ipotensione e aritmia atriale o ventricolare (63). Il trastuzumab è un anticorpo monoclonale contro il recettore umano del fattore di crescita epidermico (HER-2) ed è un punto di forza della terapia dei cancri mammari over-expressing HER-2 (42). Il trastuzumab è associato con un’incidenza di scompenso cardiaco variabile dal 2.6% (come prima linea farmacologica) all’8.5% quando usato dopo altri farmaci chemioterapici (inclusi derivati antraciclinici) (64). La vasta maggioranza di pazienti con scompenso cardiaco sintomatico in seguito a trastuzumab ha favorito la successiva sospensione del farmaco. Il sunitinib, un inibitore della tirosina chinasi, aumenta la sopravvivenza dei pazienti con carcinoma metastatico a cellule renali e di certi tumori gastrointestinali. Molteplici reports (65–67) documentano disfunzione ventricolare sinistra sintomatica e scompenso cardiaco congestizio, nel 10–15% dei pazienti trattati con sunitinib. Danno mitocondriale e apoptosi cardiomiocitaria sono state riscontrate in topi trattati (66). L’imatinib, un anticorpo monoclonale che inibisce la proliferazione delle cellule ematopoietiche con espressione BCR-ABL, ha rivoluzionato il trattamento della leucemia mieloide cronica. Atallah e coll., di recente, hanno riportato sintomi dovuti a scompenso cardiaco sistolico in 22/1276 pazienti (1.7%), soprattutto anziani e con precedente malattia cardiaca (68). Gli antagonisti del tumor necrosis factor (TNF) vengono usati comunemente per trattare disordini quali l’artrite reumatoide. Inizialmente, la speranza che l’infliximab, un antagonista del TNF, potesse migliorare il corso dello scompenso cardiaco ha portato a studi randomizzati in pazienti con scompenso cardiaco di classe NYHA III o IV (69). Questi trial hanno mostrato un incremento dose-dipendente della mortalità o delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, con un incremento significativo di 2.8 volte del rischio nel gruppo che aveva ricevuto la più alta dose di infliximab (10 mg/kg). Il farmaco, ed altri antagonisti del TNF, attualmente sono controindicati in pazienti con scompenso cardiaco severo e dovrebbero essere usati con cautela anche in pazienti con scompenso cardiaco di media gravità. Vi sono anche case reports di miocardite e di cardiomiopatia dilatativa dopo trattamento con interferone-α (70), clorochina (71) o interleuchina-2 (72). Altri farmaci possono precipitare lo scompenso cardiaco per effetti sul volume di espansione o sulla ritenzione di sodio. Oltre a favorire ipertensione, la ritenzione renale di sodio indotta-da-NSAID e l’espansione dell’acqua totale corporea possono precipitare lo scompenso cardiaco. Anche i glicocorticoidi possono peggiorare lo scompenso cardiaco attraverso la stimolazione dei recettori mineralcorticoidi. Studi epidemiologici hanno trovato che l’uso corrente di un glicocorticoide era associato ad un aumento del rischio di scompenso cardiaco con un range variabile da 1.5-volte a 3.7-volte (73,74) e che vi era una relazione dose-dipendente (74). In maniera simile, la liquirizia (45) può favorire il carico liquido e precipitare lo scompenso cardiaco, oltre ad incrementare la pressione arteriosa. I tiazolidinedioni, usati per trattare il diabete di tipo 2, portano a ritenzione liquida (75), e d un aumentato rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco (76). Ciò probabilmente è dovuto alla stimolazione indotta dai PPAR-γ dei canali del sodio epiteliali che favoriscono l’assorbimento di sale (77) con conseguente incremento dell’acqua totale corporea. Sindrome Metabolica e Accelerata Arteriosclerosi da Farmaci Antipsicotici Alcuni tradizionali farmaci antipsicotici (ad es., clorpromazina) e alcuni nuovi antipsicotici “atipici” favoriscono l’aumento di peso e la sindrome metabolica. I pazienti schizofrenici sono più obesi delle persone senza schizofrenia (78), ed è stato ipotizzato che questo sia dovuto, almeno in parte, ai farmaci antipsicotici. Nel Clinical Antipsychotic Trials of Intervention Effectiveness (CATIE) Schizophrenia Trial, l’olanzapina era associata ad un significativo aumento di peso di 9.4 1bs, con il 30% di pazienti che riportavano un aumento di peso >7 lbs (79). La quetiapina era associata con un significativo aumento ponderale del solo 1.1 lbs, ma il 16% dei pazienti ha riportato un aumento di peso >7 lbs. Questo aumento ponderale è stato associato con la resistenza insulinica, con alti livelli di glucosio e con diabete mellito di tipo II. Vi era un alto tasso di sindrome metabolica nello studio CATIE a paragone con la National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) III di popolazione generale sia negli uomini (36.0% vs. 19.7%; P<0.0001) sia nelle donne (51.6% vs. 25.1%; P<0.0001) (80). Il tasso di sindrome metabolica è ancora più alto per la clozapina, un altro farmaco antipsicotico atipico (81). I farmaci antipsicotici atipici possono portare anche ad alterata regolazione del glucosio indipendente dall’aumento di peso. Uno studio ha confrontato pazienti per età e adiposità, ha trattato i pazienti con vari farmaci antipsicotici (o con nessun trattamento), e poi ha preparato un modello di valutazione dell’omeostasi da un test di tolleranza al glucosio orale; 82 pazienti che assumevano olanzapina e clozapina avevano maggiore resistenza all’insulina rispetto a quelli che assumevano farmaci antipsicotici tipici o nessun trattamento. Un altro studio ha supportato questi ritrovati ed ha trovato anche che olanzapina e clozapina hanno causato una rimarchevole riduzione dell’indice di sensibilità all’insulina rispetto a risperidone, un altro nuovo antipsicotico (83). Recentemente, dei ricercatori hanno dimostrato che olanzapina e clozapina aumentano in maniera acuta sia la resistenza all’insulina sia la produzione epatica di glucosio prima che inizino l’aumento di peso e la dislipidemia (83). Un American Diabetes Association Consensus Statement ha riportato che clozapina e olanzapina sono i farmaci antipsicotici che hanno più probabilità di portare aumento ponderale, dislipidemia ed una significativo aumento di peso, ma è stato riportato che esse hanno il più basso rischio di disregolazione metabolica (85). HIV e Accelerata Arteriosclerosi Vi è stata una riduzione della cardiomiopatia e della pericardite correlate ad HIV con la contemporanea più elevata attività della terapia antiretrovirale (HAART), ma resta un problema la prematura arteriosclerosi coronarica correlata a farmaci antiretrovirali (86). Alcuni nucleosidi inibitori della transcriptasi inversa (NRTI) sono associate con un aumentato rischio di infarto del miocardio. L’aumento di infarto del miocardio è stato visto con didanosina (rischio relativo aggiustato [RR] = 1.49; 95% CI 1.14–1.95) e con abacavir (RR aggiustato =1.89, 95% CI 1.47–2.45), ma non con zidovudina, stavudina, o lamivudina (87). L’uso di terapia antiretrovirale combinata (che include un inibitore della proteasi o un non nucleoside inibitore della transcriptasi inversa [NNRTI]) è stato associato ad aumento del rischio di infarto miocardico (RR aggiustato =1.26, 95% CI 1.12–1.41) (88). Ulteriori analisi hanno trovato che il rischio di infarto miocardico era aumentato con inibitori delle proteasi (RR aggiustato =1.10, 95% CI 1.04–1.18) ma non con NNRTI (RR aggiustato =1.00, 95% CI 0.93–1.09) (89). Uno studio prospettico ha trovato che l’incidenza annuale di infarto miocardico era più alta in pazienti positivi all’HIV trattati con un inibitore delle proteasi (5.1/1000 pazienti-anno) rispetto ad un NNRTI (0.4/1000 pazienti-anno; P<0.001) (90). Diversi meccanismi possono contribuire a queste scoperte. Più del 50% dei pazienti che ricevono inibitori delle proteasi sviluppano lipodistrofia (91), con deperimento dei grassi delle estremità, con accumulo centrale di grassi lungo le natiche (86). E’ stato trovato che alcuni inibitori delle proteasi (inclusi ritonavir, indinavir e amprenavir) up-regolano il CD36, un recettore che media la captazione del colesterolo nei macrofagi, fornendo un meccanismo diretto per la formazione di aterosclerosi (92). Gli inibitori delle proteasi danneggiano pure la vasodilatazione endotelio-dipendente (93) ed aumentano lo spessore dell’intima-media carotidea (94). Vi è anche un potenziale per l’interazione con farmaci ipolipemizzanti. Molte statine (per es., simvastatina, atorvastatina e lovastatina) sono metabolizzate dal CYP3A4, che è inibito da alcuni inibitori delle proteasi (ad es., delaviridina, indinavir, nelfinavir e ritonavir). Quando si somministra ritonavir, le concentrazioni dell’area sotto la curva (AUC) di simvastatina aumentano del 3000%, di atorvastatina aumentano del 79% e di prava statina si riducono del 50% (95). E’ stata riportata rabdomiolisi relativa a statine (96) probabilmente derivata da elevati livelli di simvastatina (97). Riferimento Satish R Raj, C. Michael Stein, Pablo J. Saavedra, and Dan M. Roden: Effetti Cardiovascolari di Farmaci Non-Cardiovascolari. NIH Public Access Author manuscript; available in PMC 2009 November 5. A cura di Patrizia Iaccarino Commento di Patrizia Iaccarino Nel loro sommario gli autori sostengono:” Farmaci che non sono primariamente usati per trattare malattie cardiovascolari hanno comunemente effetti cardiovascolari. Alcuni effetti sono comuni ed il loro meccanismo è conosciuto, altri sono rari, non provati o non ben conosciuti. Inoltre, le interazioni farmacologiche tra farmaci cardiovascolari e non-cardiovascolari possono influenzare le risposte terapeutiche. Pertanto, la consapevolezza terapeutica dei cardiologi ha bisogno di abbracciare un range di farmaci in genere non ritenuto avere conseguenze cardiovascolari..” Da queste parole si evince che si iniziano a comprendere due concetti fondamentali: il primo concetto è riconoscere sempre più l’importanza per i clinici della conoscenza, della metabolizzazione e della applicazione dei dati derivanti dalla Farmacovigilanza, sia in fase diagnostica (per la diagnosi di patologia farmaco-indotta) sia in fase terapeutica (per le eventuali possibili controindicazioni esistenti o interazioni farmacologiche) e il secondo è sottolineare che lo specialista non dovrebbe, soprattutto nel momento terapeutico, limitarsi a trattare la patologia senza valutare il paziente nella sua interezza. Il medico di medicina generale, per suo ruolo avvezzo a tale tipo di approccio al paziente, resta, a parere di chi scrive, il primo attore nella valutazione degli effetti dannosi dei farmaci, sia in fase diagnostica sia in fase terapeutica, con una particolare attenzione volta proprio al coordinamento delle terapie specialistiche e alla valutazione di loro eventuali controindicaziioni e di loro possibili interazioni. L’incremento della segnalazione degli eventi avversi potrebbe contribuire a far luce sempre più sulla incidenza (il famoso “denominatore” mal valutabile degli eventi avversi, per le mancate rilevazioni e/o segnalazioni) degli eventi avversi, sui loro meccanismi poco conosciuti e sulle interazioni che si verificano tra farmaci. Non dimentichiamo che l’allarme “talidomide” fu lanciato dalla segnalazione di un pediatra di base! Bibliografia 59. Von Hoff DD, Layard MW, Basa P, Davis HL Jr, Von Hoff AL, Rozencweig M, Muggia FM. 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