Il fumo passivo al lavoro puo’ essere causa di inabilità permanente
Categoria : medicina_legale
Data : 29 gennaio 2012
Autore : admin
Intestazione :
La Cassazione ha confemato una sentenza delle Corti di merito che riconosceva la possibile relazione tra l'esposizione al fumo passivo in ambiente lavorativo e i sintomi respiratori cronici, respingendo il ricorso dell’ INAIL e riconoscendo il diritto alla rendita. Cassazione Sezione Lavoro, sentenza 3227 del 10 febbraio 2011).
Testo :
I fatti:
Un geometra dipendente comunale aveva solto la sua attivita’ lavorando per cinque ore al giorno, per un trentennio, in un locale non areato e aperto al pubblico, insieme ad altro collega fumatore, costretto quindi ad una prolungata inalazione di fumo passivo.
I magistrati di primo grado avevano escluso che vi fossero elementi sufficienti per affermare un nesso causale giuridicamente rilevante tra l’ inalazione di fumo passivo durante l’attività lavorativa e le patologie polmonari riscontrate.
La sentenza era stata riformata in Appello, ove la Corte dichiarava il diritto del lavoratore alla rendita per inabilità permanente nella percentuale del 47% sulla base della CTU che diagnosticava “asma bronchiale intrinseca ed enfisema polmonare" giudicando tali condizioni attribuibili verosimilmente all'esposizione protratta per diversi decenni al fumo passivo.
L’ INAIL ricorreva in Cassazione ma questa respingeva il ricorso dell' Istituto ritenendo che la Corte d'Appello si fosse "uniformata agli approdi ermeneutici di legittimità secondo cui: a) la tutela antinfortunistica del lavoratore si estende alle ipotesi di cd. rischio specifico improprio, definito come quello che, pur non insito nell'atto materiale della prestazione lavorativa, riguarda situazioni ed attività strettamente connesse con la prestazione stessa all'attività lavorativa); b) la nozione di rischio ambientale comporta che è tutelato il lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto quello reso presso le macchine, essendo la pericolosità data dall'ambiente di lavoro; c) i fattori di rischio per le malattie non tabellate comprendono anche quelle situazioni di dannosità che, seppure ricorrenti anche per attività non lavorative, costituiscono però un rischio specifico per l'assicurato". Daniele Zamperini
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