Meglio avere più generalisti che specialisti ?
Data : 24 marzo 2005
Autore : admin
Pagina: 1 - meglio qualche gp in più?
A cura di Renato Rossi
Nell'ultimo decennio il ricorso alla medicina specialistica ha avuto un incremento esponenziale in tutti i paesi occidentali mentre la medicina di base tende, almeno in Italia, ad occupare sempre più una posizione subalterna. Questo comporta un aumento delle spese per i servizi sanitari ma comporta anche benefici sulla salute? Uno studio messo online il 15 marzo 2005 da Health Affaires, un giornale che si occupa di problematiche di politica sanitaria pubblicato solo sul web, lascia emergere più di qualche ragionevole dubbio. In questo studio i ricercatori hanno valutato il numero di decessi per 1.000 abitanti nel periodo 1996-2000 di oltre 3000 contee statunitensi (il 99.9% di tutte le contee degli USA) mettendoli in relazione con il numero di medici di medicina di base e di medici specialisti presenti in ogni singola contea. I dati sono stati corretti per vari fattori di confondimento come il reddito, il livello occupazionale, la disoccupazione, la località (zona metropolitana o rurale), presenza di anziani e di afro-americani. Alla fine i risultati appaiono sorprendenti: le contee con una percentuale più elevata di medici di cure primarie mostrano una mortalità più bassa ma, quello che è peggio, avere una quantità maggiore di specialisti non sembra portare agli stessi effetti positivi. Non è detto che quanto risulta da questo studio sia valido per paesi diversi e con un'organizzazione medica differente da quella USA, ma si tratta comunque di dati su cui dovrebbero riflettere i responsabili di politica e di economia sanitaria. Soprattutto se a questo studio se ne affianca un altro, di due anni fa (Ann Int Med 2003 Feb 18; 138: 273-87), in cui si dimostrò che gli anziani che vivono in alcune regioni degli Stati Uniti in cui l'uso delle risorse sanitarie è più elevato non hanno più probabilità di avere dei benefici maggiori in termini di salute rispetto a chi vive in regioni in cui si spende meno. Insomma spendendo di più in cure mediche e privilegiando la medicina specialistica si ottengono degli esiti migliori? Pur con il beneficio del dubbio i risultati trovati indicano che può anche non esserci una relazione lineare tra spesa elevata e medicina specialistica e benefici ottenuti. Questo, a pensarci bene, potrebbe non essere così sorprendente se si pensa che la medicina specialistica, oltre ad essere più costosa, tende ad un maggior ricorso a farmaci nuovi il cui profilo di sicurezza è meno noto, a procedure chirurgiche e ad accertamenti invasivi che possono portare ad un incremento degli eventi avversi di natura iatrogena. Forse è tempo di ripensamenti : dirigire la prua verso una medicina più soft e meno invasiva potrebbe alla fine rivelarsi vincente.
Commento di Luca Puccetti
Vincente! Per chi ? Qual'è il punto di vista? Quali sono le prospettive?
La medicina non specialistica usa mezzi meno tecnologici, induce un minor aumento di costi, e riduce i danni iatrogeni, ma ... ma c'è un ma. Essa produce soprattutto ottimizzazione delle conoscenze. Non rappresenta una molla economica, anzi per la propensione all'utilizzo limitato di risorse tecnologiche costituisce un deterrente agli investimenti tecnologici. La progressione delle conoscenze nella nostra era è molto meno legata all'intuizione del singolo o alla serendipity. Le procedure di good clinical practice, lo stesso sviluppo della EBM e di tutta una serie di norme di garanzia per il paziente sospingono verso una ricerca programmata e disegnata a tavolino che comporta l'utilizzo di risorse enormi che il pubblico non ha. La medicina non specialistica ottimizza le conoscenze, ma non attira investimenti, almeno secondo l' attuale strutturazione del lavoro. Nelle realtà dove la medicina generale è svincolata sia dal ricatto delle ricusazioni che dagli adempimenti inutili ed impropri, (vedi lo psicodramma collettivo dell'influenza che ogni anno si ripete stancamente o le assolutamente inutili visite domiciliari, retaggio del costume dei medici di medicina generale italiani del passato per i quali la domiciliare rappresentava una formidabile tentazione di reddito) e si è strutturata con una organizzazione che comporta tutta una serie di figure di raccordo ed ausialiarie, di tipo tecnico ed infermieristico, anche la MG è fonte di conoscenze come dimostrato dalle sempre più frequenti pubblicazioni su riviste con impact factor primario di ricerche cliniche effettuate su dati di pazienti reali inseriti dei databases dei GP inglesi. Tali conoscenze sono certamente importantissime, ma rappresentano per lo più conferme od ottimizzazioni di conoscenze, almeno per la maggior parte. E' la medicina tecnologica che apre nuove strade in sinergia con la biologia molecolare e con le scienze ingegneristiche. Insomma è la medicna tecnologica che apre nuove frontiere e che attira capitali per la prospettiva dei redditi che possono derivarne. Mi sorge un dubbio di base sulla ricerca in oggetto. Gli specialisti si insediano dove maggiore è la prospettiva di guadagno, pertanto la maggiore mortalità potrebbe essere legata allo stress, notoriamente più elevato nelle zone a maggior reddito. Sono assai dubbioso che si siano veramente valutati adeguatamente gli innumerevoli confounding factors che possono entrare in gioco. Infine una notazione che da tempo amo ricordare, la medicina tecnologica nella economicità del morire assorbe un numero estremamente elevato di risorse che vengono sempre impiegate negli ultimi 12 mesi e che pertanto conferiscono un aumento di speranza di vita minimo. Se fosse possibile spalmare le risorse più omogeneamente durante la vita dell'individuo esse produrrebbero effetti migliori in quanto agirebbero in fasi di malattia meno avanzate. Insomma meno cure per le fasi terminali e più cure durante le fasi di apparente salute dell'individuo.
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