Schizofrenia anni 2000: una diagnosi poco utile e forse dannosa
Categoria : psichiatria_psicologia
Data : 26 giugno 2016
Autore : admin
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Il termine “Schizofrenia” fu coniato dallo psichiatra svizzero Bleuler nel 1908, che intendeva sottolineare la scissione nella mente dell'individuo ( il termine deriva dal greco σχίζω (schizo, diviso) e φρήν (phren, cervello),anche se i sintomi caratteristici di questi pazienti, più che la scissione sono le allucinazioni, i deliri, la disorganizzazione del pensiero e del linguaggio, i disturbi del comportamento. La diagnosi di schizofrenia in quegli anni era sinonimo di gravità,cronicità, inguaribilità, evoluzione sfavorevole: i pazienti presentavano i classici deliri fantastici e drammatici descritti nella letteratura psichiatrica del ‘900; le allucinazioni,specie uditive, erano spesso angosciose ed insopportabili; la vita di questi sfortunati soggetti ne era sconvolta: per loro era impossibile lavorare e mantenere rapporti sociali, anche perché comparivano disturbi comportamentali ora verso la iperattività afinalistica, ora verso la aggressività paranoide, ora verso la abulia e l’immobilismo catatonico. Il termine si diffuse fra tutti gli psichiatri dell'Occidente grazie al prestigio della scuola psichiatrica Svizzera, che aveva operato una felice sintesi delle innovative ricerche cliniche degli psichiatri tedeschi e francesi. Dai primi anni del Novecento il nome schizofrenia si diffuse e si affermò in tutto il mondo occidentale superando barriere etniche, culturali, linguistiche, politiche e militari. In tutta Europa, in Urss e nelle Americhe essa divenne quindi sinonimo di malattia psichiatrica grave, cronica, a prognosi sfavorevole. Negli anni 50 la sintesi della clorpromazina aprì nuove inaspettate prospettive nel trattamento di queste forme; questo primo farmaco fu presto seguito da altri psicofarmaci che consentirono di controllare questa grave malattia modificandone il decorso. Dagli anni 70 anche alcune tecniche psicoterapeutiche registrarono notevoli progressi e, con il diffondersi dei servizi psichiatrici che iniziarono ad intercettare forme più precoci di psicosi ed a trattarle sistematicamente con l'aiuto degli psicofarmaci, si giunse a significativi miglioramenti della prognosi: attualmente la schizofrenia come la descrisse Bleuler è una malattia piuttosto rara e le psicosi sono da considerarsi malattie sempre curabili e talora guaribili, se trattate precocemente ed adeguatamente (1,2,3,4). La schizofrenia “classica” è dunque quasi scomparsa nella realtà ma è ancora la protagonista della letteratura psichiatrica : in PubMed a novembre 2015 erano registrati 51 675 articoli che trattavano di questa affezione (5). Del resto anche l'attuale aggiornatissimo DSM-5 dedica un capitolo alla Schizofrenia e distingue la “Schizofrenia” il “Disturbo Schizoaffettivo” il “Disturbo Schizofreniforme” il “Disturbo Schizotipico di Personalità” il “Disturbo Delirante” il “Disturbo Psicotico Breve” il “Disturbo Psicotico indotto da Sostanze” ed il “Disturbo psicotico dovuto ad una condizione medica”(6).
Per la diagnosi di schizofrenia il DSM- 5 ritiene sufficiente la presenza per almeno un mese di almeno uno dei sintomi principali ovvero Deliri Allucinazioni Eloquio Disorganizzato e di almeno uno dei sintomi secondari ovvero Comportamento Grossolanamente Disorganizzato o Catatonico e Sintomi negativi cioè Diminuzione della Espressione delle emozioni o Abulia
Nella pratica clinica tuttavia non vi sono confini ben delimitati tra le varie forme di psicosi e la stessa diagnosi è spesso incerta in quanto si basa su i sintomi riferiti dal paziente e quindi soggettivi, e sui segni rilevabili dal medico, variabili a seconda del medico e del momento di osservazione. Esperti psichiatri (5) hanno fatto notare che utilizzando i criteri adottati dal DSM-5 uno stesso caso clinico può venire diagnosticato come “disturbo schizoaffettivo” se manifesta disturbi dell'umore e sintomi psicotici ; spesso tuttavia i sintomi psicotici, se trattati precocemente, tendono a rispondere prontamente alla terapia e quindi la stessa persona può ricevere in questa fase la diagnosi di “disturbo bipolare”; se con il tempo i disturbi dell'umore si attenueranno ma compariranno spunti deliranti magari con qualche allucinazione la medesima persona potrebbe essere regolarmente inquadrata come “schizofrenica”: l’esempio non è puramente accademico in quanto spesso nella pratica clinica gli psichiatri sono giustamente restii ad apporre etichette che sembrano falsare la complessità della mente umana.
Quanto sia difficile ed aleatoria la diagnosi di schizofrenia lo ha dimostrato un famoso e discusso studio pubblicato nel 1973 su Science: “On Being Sane In Insane Places”; in questo studio sperimentale 8 persone sane( sperimentatori) si presentarono in 12 differenti reparti psichiatrici di 5 Stati USA affermando di udire voci che pronunciavano parole vuote o senza senso. Furono tutti trattenuti in reparto psichiatrico per almeno una settimana: nonostante il comportamento assolutamente normale in 7 casi fu posta diagnosi di schizofrenia ed in un caso di psicosi maniaco depressiva. L'arcano venne svelato dai ricercatori suscitando fortissime polemiche e grande imbarazzo nella comunità degli psichiatri; per risposta gli sperimentatori comunicarono che nei mesi successivi avrebbero inviato in un importante ospedale psichiatrico americano altri pseudo pazienti, mentre si guardarono bene dal farlo. Nei tre mesi successivi su 193 veri pazienti psichiatrici che si presentarono all’ospedale 41vennero valutati come simulatori e 42 come sospetti simulatori(7). Dagli anni 70 il rigore diagnostico è verosimilmente aumentato e minori sono le possibilità di clamorosi errori: tuttavia eminenti psichiatri hanno evidenziato come l'uso della diagnosi di schizofrenia sia poco utile per il medico e continui ad essere uno stigma di malato grave ed inguaribile per pazienti che invece possono essere spesso adeguatamente curati e che talora possono raggiungere una completa guarigione(8,9,10). Negli ultimi decenni la ricerca neurofisiologica e neuro-genetica ha da un lato evidenziato una base organica ed ereditaria per molte forme di psicosi(11), dall'alto non ha confermato la peculiarità della schizofrenia rispetto ad altre forme psicotiche che verosimilmente costituiscono un ventaglio di malattie che sfumano l'una nell'altra senza confini ben definiti, o forse più semplicemente una unica malattia con diverse manifestazioni … Autorevoli esperti per questi motivi hanno proposto di modificare una nosografia ormai secolare e non idonea a descrivere le psicosi del ventunesimo secolo (8,9,10). Per il medico pratico l'importante è saper individuare precocemente i segni di una psicosi inviandola tempestivamente alla cura specialistica: è opportuno sospettare un delirio e/o la presenza di allucinazioni e ricercarli con cura in tutti i pazienti che presentano disturbi del linguaggio e del comportamento. Conclusioni: Dare un nome alle cose, che siano oggetti materiali, idee o malattie mentali, è una prerogativa naturale della specie umana. Platone nel “Cratilo” esortava a scegliere nomi che richiamassero almeno alcune caratteristiche di ciò che è nominato. Il termine “schizofrenia” malgrado le buone intenzioni del grande psichiatra Bleuler, era probabilmente inadeguato anche rispetto alle riflessioni di Platone: ad un secolo di distanza le ricerche ci orientano più verso un ventaglio di forme psicotiche che sfumano l’una nell’altra che verso la classica ed ormai scomparsa “schizofrenia” degli inizi del ‘900. Anche l’uso di nomi adeguati alla realtà che si intende descrivere può aiutare i medici a capire ed i pazienti a guarire.
Riccardo De Gobbi
Bibliografia
1 ) Howes OD, Murray R M Schizophrenia: an integrated sociodevelopmental-cognitive model www.thelancet.com Published online December 6, 2013 http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(13)62036-X 2) Stafford M R, Jackson H et Al.: Early interventions to prevent psychosis: systematic review and meta-analysis BMJ 2013;346:f185 doi: 10.1136/bmj.f185 (Published 18 January 2013) 3) Kuipers E., Yesufu-Udechuk A et Al.: Management of psychosis and schizophrenia in adults: summary of updated NICE guidance BMJ 2014;348:g1173 doi: 10.1136/bmj.g1173 (Published 12 February 2014 4) Kendall T., Hollis C et Al.: Recognition and management of psychosis and schizophrenia in children and young people: summary of NICE guidance BMJ 2013;346:f150 doi: 10.1136/bmj.f150 (Published 23 January 2013) 5) Jim van Os “Schizophrenia” does not exist BMJ 2016;352:i375 doi: 10.1136/bmj.i375 (Published 2 February 2016) 6) DSM-5 Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali Raffaello Cortina Ed. Milano 2014 7) Rosenhan D.: On Being Sane In Insane Places http://www.demenzemedicinagenerale.net/mens-sana/le-grandi-ricerche/95-quanto-conta-l-effetto-cornice-framing-effect-ovvero-il-primo-inquadramento-del-paziente-in-psichiatria 8 ) Lasalvia A, Penta E, Sartorius N, Henderson S. Should the label “schizophrenia” be abandoned? Schizophr Res 2015;162:276-84. 9) Moncrieff J, Middleton H. Schizophrenia: a critical psychiatry perspective. Curr Opin Psychiatry 2015;28:264-8. 10) George B, Klijn A. A modern name for schizophrenia (PSS) would diminish self-stigma. Psychol Med 2013;43:1555-7 11 ) Elliott Rees1 , Michael C O’Donovan: Genetics of schizophrenia Current Opinion in Behavioral Sciences 2015, 2:8–14
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