Osservazioni dell'EpaC Onlus sulla consensus su screening per HCV
Data : 02 settembre 2005
Autore : admin
Pagina: 1 - Il ruolo di EpaC
Il Comitato EpaC (a breve diverrà Associazione Onlus) è stato costituito nel 1999, opera nel settore delle malattie epatiche in particolare sull’epatite C. Siamo quindi un realtà not for profit e monotematica. Da sempre le nostre attività sono dirette alla tutela del paziente attraverso: • Counselling personalizzato • Educazione • Informazione • Prevenzione • Recentemente, erogando finanziamenti per studi di ricerca mirati Operiamo a livello nazionale, a favore dei malati, familiari, operatori sanitari, e cittadini comuni. La tutela è destinata al paziente infetto: consapevole ma anche inconsapevole dell’infezione. Poiché esiste un numero cospicuo (ma tutt’ora imprecisato) di pazienti infetti e/o malati, ma che devono ancora scoprire di essersi infettati, uno dei nostri obiettivi principali è sempre stato quello di “fare emergere il sommerso” dei malati inconsapevoli, come primaria forma di tutela. In questo contesto, siamo assolutamente interessati all’argomento trattato, ovvero modalità e linee giuda con le quali effettuare screening su gruppi o sottogruppi particolarmente a rischio di avere contratto l’infezione.
Pagina: 2 - Background
Background Abbiamo sempre incontrato enormi difficoltà nell’ottenere attenzione sulla problematica dello screening. Siamo nel 2000. La classe epatologica, attraverso i propri “opinion leader”, lanciava messaggi molto espliciti durante convegni o manifestazioni pubbliche sull’argomento; l’idea di fondo era più o meno questa “Non è conveniente fare screening sulla popolazione poiché non abbiamo cure adeguate e rischiamo di creare una domanda che non riusciamo a soddisfare”. Ugualmente, La posizione del Ministero della Salute, nell’anno 2001, era triste e sconfortante. Durante un nostra visita a Roma, alcuni alti funzionari facenti capo al dipartimento della prevenzione ci comunicarono il loro punto vista sulla opportunità di fare degli screening sull’epatite C e fummo molto amareggiati nel sentirci dire che “ non era proficuo fare screening poiché molte persone con l’epatite C erano anziane, non potevano essere curate, e quindi sarebbero state prese dalla depressione scoprendo l’infezione”. In sintesi, primeggiava il concetto del “non ne vale la pena”. L’introduzione degli interferoni peghilati, ed il conseguente aumento dei successi terapeutici registrati negli ultimi 2-3 anni, ha fatto riflettere sulla opportunità di fare screening mirati ed abbiamo colto segnali importanti leggendo e ascoltando dichiarazioni di noti specialisti in Epatologia che manifestavano la necessità di aiutare i Medici di Medicina Generale a scoprire il paziente infetto da epatite C, (case finding) in quanto strategia indispensabile per poter guarire le persone o nella peggiore delle ipotesi rallentare la progressione delle cirrosi e prevenire gli epatocarcinomi (in preoccupante ascesa). La nostra percezione, quindi, è che l’orientamento attuale sia mutato in “qualcosa si può e si deve fare”. In questo scenario, rivendichiamo un ruolo di primo piano nell’avere introdotto il concetto di “something can be done about” già da diversi anni; siamo stati pionieri nella comunicazione sociale sull’epatite C, attraverso i nostri spot televisivi incisivi e concreti, mai allarmistici o comunque pacati. Abbiamo dimostrato che qualcosa si può fare, che si possono educare ed informare i cittadini ed anche gli operatori sanitari senza creare drammi o preoccupazioni, smentendo clamorosamente tutti coloro che sostenevano il contrario (e ne abbiamo incontrati tanti) più preoccupati di non allarmare, che di informare i cittadini a rischio ed i Medici di Famiglia. D’altra parte lo abbiamo capito subito: screenare parte della popolazione significa lavorare di più e spendere più denaro, un binomio poco popolare in Italia che favorisce politiche conservative.
Pagina: 3 - Impressioni preliminari
Premesso che non ho alcun titolo accademico per poter competere con relazioni di un così alto spessore tecnico-scientifico, provo a sintetizzare le impressioni ricavate da una lettura preliminare degli elaborati; • Si, esistono gruppi e/o sottogruppi a rischio potenziali candidati per uno screening dell’HCV. • Nella pratica clinica quotidiana solo una modesta percentuale di pazienti infetti potrà beneficiare di una terapia antivirale. • Non esistono prove sufficientemente condivise che le terapie antivirali siano efficaci nel medio e lungo termine al fine di prevenire la cirrosi, l’HCC ed eventuali complicanze. Pare evidenziato che numerosi lavori scientifici, (for profit), abbiano adottato criteri talmente selettivi da falsare la realtà della pratica clinica quotidiana e di conseguenza si sollevano dubbi e riserve sulle conclusioni degli stessi lavori scientifici o di buona parte di essi. La logica conseguenza di tali risultanze potrebbe essere una palese sconvenienza nell’esecuzione degli screening.
Pagina: 4 - Osservazioni specifiche
Tentiamo qui di fare il nostro lavoro di Associazione, e porre questioni diverse da quelle meramente scientifiche, assolutamente centrali ma non per questo le uniche da prendere in considerazione. Una breve premessa per liberare il campo da possibili equivoci. L’associazione EPAC è gestita, in via formale ed informale, al 100% dai pazienti, il 90% dei quali colpito duramente dalla malattia. I membri del Consiglio Direttivo non percepiscono denaro da Aziende farmaceutiche ed i contributi liberali delle stesse non superano il 25% del totale del nostro bilancio. Per essere chiari, totale indipendenza nel formulare le nostre osservazioni ed esenti dal “sentirsi in obbligo di compiacere”. Peraltro, noi portiamo avanti la battaglia per l’emersione del sommerso sin dal 1999.
Scopo della Consensus
La prima osservazione riguarda il titolo della Consensus: “Nella popolazione adulta italiana, vi sono soggetti nei quali è giustificato effettuare lo screening per infezione da HCV?” La sensazione è che stiamo circumnavigando alla questione centrale. Ci pare il caso di porsi la domanda che risponda al vero problema: il costo economico di un screening per l’HCV di alcune gruppi o sottogruppi di cittadini, può giustificare il beneficio che ne può derivare nel breve, medio e lungo periodo? In buona sostanza, parliamo del COSTO – BENEFICIO, di cui sorprendentemente non si trova traccia nei lavori. Non staremmo a discutere tanto se non ci fossero problemi economici. Nessuno di noi desidera sprecare denaro pubblico, soprattutto in un contesto attuale di sofferenza economica nella quale versa il nostro paese. Proprio per questo, ci pare naturale affrontare direttamente il problema con maggiore pragmatismo:
A) Elaborando stime adeguate degli attuali costi socio sanitari causati dall’epatite C B) Elaborando stime adeguate sui costi economici degli screening C) Elaborando stime adeguate sui benefici economici (risparmio) nel medio e lungo termine derivanti dal un incremento di infezioni scoperte, in parte curate e in parte monitorate D) Incrociando tutte queste informazioni e facendo una valutazione obbiettiva
Ci pare doveroso ricordare che nei costi socio economici vanno incluse molte voci quali: a. esami bioumorali b. costi di terapia c. costi di follow up d. costi gestione cirrotici e. costi gestione epatocarcinomi f. costi trapianti g. costi di invalidità civili e permanenti h. ore lavorative perse per malattia
Tanto per citarne alcuni.
Gli elementi di valutazione A nostro modesto avviso, una valutazione complessiva bene fatta, dovrebbe tenere in considerazione 4 fattori determinanti:
Benefici clinici Benefici economici Il diritto del cittadino di essere curato Il dovere delle Istituzioni di mettere i cittadini nelle condizioni di sapere, prevenire e limitare il danno. Il dovere delle Istituzioni di impedire la diffusione di virus infettivi e tutelare le persone che sono a contatto con il soggetto portatore di infezione.
I lavori presentati sono tutti centrati sul primo punto. Gli eventuali benefici clinici. Non ci sono proiezioni concrete di eventuali benefici economici, così come non si tiene conto di altri fattori di natura squisitamente etica, giuridica e costituzionale che affronteremo più avanti.
Gruppo 1: Quale è la prevalenza di infezione cronica da HCV nella popolazione generale italiana? In Italia esistono sottogruppi di soggetti con maggiore prevalenza di infezione?
Può venire utile prendere in considerazione anche una recente review come quella di S. Bellentani et al Minerva Gastroenterol Dietol. 2005 Mar;51(1):15-29 che offre ottimi spunti di confronto. Sembrerebbe emergere ampia convergenza sul fatto che alcune categorie o gruppi/sottogruppi di persone possono essere considerate “a rischio” quali:
• Chi ha ricevuto organi da trapiantati da soggetti antiHCV positivi, (prima del 92) • Tossicodipendenti • Chi ha fatto uso droghe endovena in passato • emodializzati • Storia di trasfusioni di sangue (prima del 92) [inclusi talassemici ed emofilici,] • Conviventi persone infette • Pz. con manifestazioni extraepatiche (Linfoma NH, crio, dermatologiche, ecc.) • Soggetti con alterazioni enzimi epatici • Chi ha una condotta sessuale promiscua
Restano controverse le conclusioni per: • Carcerati (15-45%), • Operatori della salute per contatto con sangue e derivati infetti (media 1.8%)
Non sembrano essere state prese in considerazione queste categorie: • Alcolisti (15-25%) • Storia di chirurgia maggiore (21%)
Gruppo 2: Quali sono la validità ed i limiti di test di screening per infezione da HCV?
Nessun commento.
Gruppo 3: Quali sono le caratteristiche e i rischi dei test necessari ad una valutazione del soggetto con infezione cronica da HCV in previsione di una terapia antivirale? Quanti soggetti con infezione cronica da HCV identificati mediante screening risultano candidati al trattamento antivirale?
Relazione affascinante che ha catturato la nostra attenzione. Il lavoro esordisce con questa premessa:
La decisione di trattare un paziente affetto da epatite cronica da HCV (con l’obiettivo di ottenere una risposta virologica sostenuta) si basa da un lato sulla valutazione del rischio che il singolo paziente ha di avere morbilità aumentata o aspettativa di vita ridotta a causa dalla malattia epatica [1-5,7-21] e dall’altro sull’analisi dei fattori che possono condizionare la probabilità di successo terapeutico [1-5,6, 22-24].
Questa affermazione apre la porta ad un tema a noi molto caro, ovvero la QUALITA’ DELLA VITA (QoL). Se da un punto di vista clinico è vero quanto viene affermato, si trascura sistematicamente l’aspetto sociale. Numerosi studi scientifici hanno ormai stabilito come l’infezione da epatite C, anche in forme lievi:
a) Interferisca drammaticamente nelle normali relazioni sociali e familiari (stigma e paure di varia natura) riducendo la qualità di vita. [1-2] b) riduca in maggiore o minore misura le capacità neurocognitive del paziente [3-4]
Lavori scientifici a parte, a fronte delle nostre 35000 consulenze effettuate sinora a chi si è rivolto alla nostra Associazione, possiamo confermare ma soprattutto aggiungere molti dettagli sugli handicap psicofisici causati dall’infezione e quanto una SVR sia una vera liberazione anche per un paziente che tutto sommato non ha aspettative di vita ridotte nel medio periodo. Questo si evidenzia maggiormente nei portatori di ALT Normali, soprattutto giovani / di media età che da una parte vivono una vita sociale disagiata ma dall’altra si vedono negare le terapie. Auspichiamo quindi che la QoL, (incluse le motivazioni del paziente) entri a far parte come criterio fisso nelle valutazione per decidere chi trattare. Vale la pena ricordare, infine, che la motivazione del paziente è molto spesso uccisa da false informazioni, miti e leggende metropolitane assurde che dipingono il trattamento antivirale come una calvario inenarrabile, che non offre certezze di guarigione né lati positivi cui fare riferimento. Gran parte delle nostre migliaia di ore di counselling la spendiamo a sfatare questi miti e motivare il paziente indeciso.
Il lavoro prosegue con questa affermazione:
“In una ottica di screening di popolazione, i soggetti di età >65 anni potrebbero essere esclusi a priori, dal momento che sarebbero individuati soggetti con alta probabilità di non essere trattati a causa dell’età avanzata.”
Anche questo è un tema che vale la pena approfondire. Nella sua innegabile verità, questa affermazione offre un strumento potente per i sostenitori del “non vale la pena fare screening”. Guardiamo la faccenda, con un’altra chiave di lettura che non sia strettamente clinica e troveremo che:
1. Un cittadino >65 anni ha pari diritti rispetto ad uno < 65 (Art. 3 costituzione Italiana) [6] 2. Un cittadino ha il sacrosanto diritto di conoscere il suo stato di salute poiché la consapevolezza di essere portatori del virus lo aiuta a porre in essere tutte le misure preventive del caso, e gli consente di rielaborare stili di vita consoni a rallentare il decorso dell’infezione. (Art. 32 Costituzione Italiana) [7] 3. Le Istituzioni hanno il dovere di fare tutto ciò che è nelle loro possibilità per Impedire la diffusioni di virus, agenti patogeni e fare prevenzione in questa direzione, tutelando i cittadini che vengono a contatto con i portatori del virus. In questa ottica, le fasce di età dei cittadini portatori inconsapevoli del virus è irrilevante. (Art. 32 Costituzione Italiana) [8]
Misure preventive Un esempio tipico: riceviamo numerose richieste di counselling da parte di genitori di bambini che vengono lasciati ai “nonni” portatori Di HCV. I genitori sono alquanto preoccupati poiché spesso queste persone, causa età, hanno lacerazioni delle pelle, labbra screpolate, gengive sanguinanti, e, in generale, poca attenzione alle normali precauzioni da prendere ma viceversa una spiccata propensione (del tutto naturale) a contatti fisici ripetuti con i nipotini a loro affidati.
Pensiamo anche a tutte quelle occasioni nelle quali gli operatori sanitari, estetici, ecc. vengono a contatto con il sangue delle persone anziane: luoghi di ricovero permanente, dentisti, ecc. Da parte nostra forniamo il counselling necessario, ma ci chiediamo: preso atto che il contagio intrafamiliare è tutt’altro che azzerato, che sono stimati 2500 nuovi casi di infezione ogni anno, quanto può incidere il fatto che i soggetti “anziani” spesso non vengono presi in considerazione per lo screening?
Stili di vita “L’epatite C ed i suoi cattivi compagni”. E’ un titolo felice di una conferenza cui ho partecipato. Per cattivi compagni s’intendono i co-fattori che influenzano, talvolta pesantemente, il decorso dell’infezione (Alcol, alimentazione, stile di vita, co-infezioni, ecc.) Ebbene, la consapevolezza di avere una infezione, ed un corretto counselling, sono elementi decisivi per sbarazzarsi dei “cattivi compagni” o quantomeno eliminare quelli sui cui si può intervenire. Senza contare la possibilità di assumere epatoprettori che, per quanto abbiano una efficacia “cosmetica” sugli enzimi epatici, a fini della QoL rivestono particolare importanza. Indipendentemente dall’età, la scoperta dell’infezione può essere decisiva per allungare la vita di un paziente infetto da epatite C. Poco o tanto che sia.
In estrema sintesi, ai fini di uno screening, gli argomenti appena elencati ci paiono altrettanto rilevanti tanto quanto l’impossibilità di trattare pazienti >65
Di notevole stimolo, il lavoro conclude: Per un possibile incremento della quota dei trattabili occorre orientarsi verso le categorie di esclusi più rappresentate e per le quali sia plausibile un recupero. Si può ipotizzare un allargamento delle indicazioni ai soggetti con ALT persistentemente normali (con malattia epatica significativa istologicamente dimostrata? con genotipo favorevole? a tutti?) ed il recupero di una quota di non di non aderenti attraverso un protocollo di counseling
Siamo assolutamente favorevoli all’allargamento delle indicazioni soprattutto nei soggetti con ALT persistentemente normali, avendo larga esperienza sui disagi lamentati da questa categoria di pazienti. Noi diciamo: allarghiamo a tutti, con preferenza a coloro che sono motivati, previa verifica di false informazioni che possano bloccare il paziente dal prendere una decisione adeguata sulla proposta terapeutica.
Gruppo 4 Quali effetti collaterali e quale impatto su indicatori laboratoristici di malattia (viremia, transaminasi, istologia epatica) hanno gli attuali trattamenti anti-HCV?
Prendiamo atto delle conclusioni: Va, tuttavia, rilevato che i risultati terapeutici emersi nei trials solo ipoteticamente sono estendibili ad una popolazione derivante da uno screening di massa, peraltro con caratteristiche epidemiologiche come quelle italiane: - perchè da studi di coorte emerge che i pazienti effettivamente trattati nella pratica clinica sono diversi da quelli inclusi nei trials sperimentali per età (mediamente più avanzata), associazione di fattori di comorbilità (coinfezione da HBV, sovrappeso, consumo di alcolici) e condizioni cliniche comunque condizionanti negativamente il trattamento (diabete, ipertensione ecc); - perché in tale popolazione esiste un’ampia quota di soggetti con transaminasi normali in cui l’utilità del trattamento è ancora largamente da valutare.
Vogliamo ribadire il nostro sostanziale disaccordo nel valutare l’opportunità di uno screening basandosi unicamente sulla possibilità di trattare farmacologicamente. In aggiunta agli argomenti da noi descritti, va detto che:
A. un paziente può non essere idoneo al trattamento in quel momento, ma lo può essere in futuro. Un portatore di ALT normali potrebbe andare incontro ad una riattivazione dell’infezione, o attendersi una estensione delle indicazioni terapeutiche (cosa che sta accadendo). B. Alla stessa stregua, un soggetto >65 può aspirare a nuovi farmaci meno tossici, estendibili alla sua fascia di età (inibitori?). C. I soggetti con fattori di comorbilità possono, in alcuni casi, eliminare o attenuare questi stessi fattori, per arrivare ad uno status di paziente trattabile (es. perdita di peso, cessare di assumere alcol, cessare di assumere droghe, cessare di assumere altri farmaci, ecc.)
Gruppo 5 Quali caratteristiche sono associate ad una maggiore probabilità di clearance virale in corso di terapia anti-HCV? Il miglioramento degli indicatori laboratoristici indotto dalla terapia antivirale è correlato ad un rallentamento nella progressione clinica della malattia da HCV? Quale impatto su indicatori clinici di malattia (progressione in cirrosi, scompenso epatico, insorgenza di epatocarcinoma, mortalità) hanno i trattamenti anti-HCV?
Le conclusioni di questo gruppo, ci hanno sorpreso. L’analisi della letteratura è critica al punto da mettere in discussione numerosi studi che sostengono gli effetti benefici della terapia nel prevenire o rallentare cirrosi ed HCC.
La conclusione finale riporta: L’aspetto più rilevante evidenziato da questa revisione, tuttavia, è che i dati disponibili sull’esito a lungo termine della terapia antivirale per l’epatite da HCV non sono adeguati per trarre conclusioni valide, perché provengono da studi disegnati in modo non appropriato per questo scopo. Pertanto la prevenzione della cirrosi nell’epatite cronica, e dello scompenso e dell’HCC e la riduzione della mortalità nei pazienti trattati che raggiungono una risposta virologica sostenuta, rimangono ipotesi biologicamente plausibili ma non ancora scientificamente provate.
Sempre in tema di QoL: E’ un delitto non ricordare che, ad un soggetto con SVR, la vita cambia completamente, in meglio: torna a vivere una vita normale, è più attivo socialmente, più produttivo, più estroverso. Si riappropria della vita. [9] E non è poco. E, infine, se da una parte non siamo certi degli esiti a lungo termine della terapia antivirale, siamo certi che il non farla sarebbe un disastro totale. E’ molto difficile pensare che senza terapie antivirali le cose resterebbero invariate come si può largamente ipotizzare dal grafico sottostante che riporta il decremento dei casi di cirrosi negli ultime anni (slide gentilmente concessa da Prof. Ascione)
Gruppo 6 Quale impatto ha il counseling (riduzione del consumo alcolico, dieta, vaccinazione anti-epatite A e B, informazione sulle vie di trasmissione di HCV) sulla progressione clinica della malattia da HCV e sulla diffusione del virus?
Nessun commento
Pagina: 5 - Conclusioni
La nostra posizione
In qualità di Associazione a tutela del malati di epatite C, il nostro punto di vista sugli screening HCV è facilmente riassumibile:
1) Escludiamo “screening di massa” inteso come screening su tutta la popolazione. 2) Sosteniamo incondizionatamente l’identificazione di gruppi o sottogruppi di cittadini a rischio e l’ampia divulgazione ai Medici di Famiglia con raccomandazioni dettagliate. 3) Bocciamo qualsiasi forma di discriminazione in base all’età ed alla possibilità di beneficiare delle opzioni terapeutiche attuali. 4) Sosteniamo l’introduzione de “l’aumento della Qualità della vita” come criterio valutativo nelle proposte terapeutiche e negli screening. A questo proposito, ci pare ragionevole offrire una scelta terapeutica al malato, piuttosto che decidere a priori “cosa è meglio fare per lui”.
Pagina: 6 - Spunti di riflessione
Spunti di riflessione Vogliamo proporre infine, spunti di riflessione in parte già descritti con l’unico fine di ampliare i criteri di valutazione per un tema così delicato.
Una valutazione complessiva bene fatta, dovrebbe tenere in considerazione 5 fattori determinanti:
Benefici clinici. Benefici economici. Il diritto del cittadino di essere curato. Il dovere delle Istituzioni di mettere i cittadini nelle condizioni di sapere, prevenire e poter limitare il danno. Il dovere delle Istituzioni di impedire la diffusione di virus infettivi e tutelare le persone che sono a contatto con il soggetto portatore di infezione.
Vale la pena anche porsi alcune domande molto importanti poiché la loro risposta può fornire ulteriori informazioni utili nell’adempimento di un compito arduo ma possibile.
QUANTI SONO, IN ITALIA, I PAZIENTI INFETTI MA TUTTORA INCONSAPEVOLI DI ESSERE PORTATORI DI INFEZIONE DA HCV? Ci pare un punto di partenza essenziale, per stabilire quanto serio, dispendioso e impegnativo può essere il lavoro.
QUANTI SONO OGNI ANNO I DECESSI RICONDICIBILI ALL’EPATITE C? Rispondere a questa domanda aiuta a capire con quale fenomeno ci stiamo misurando. Noi di EPAC abbiamo tentato di ricostruire questa informazione secondo alcune informazioni disponibili. Tab. allegata.
UNO SCREENING PUO’, NEL MEDIO E LUNGO PERIODO, RIDURRE I COSTI SOCIO ECONOMICI CAUSATI DALL’EPATITE C? IN ALTRE PAROLE, UNA EPATITE C SCOPERTA QUANTO COSTA E QUANTO PUO’ COSTARE NON SCOPRIRLA? Approfondimento indispensabile, per fare una valutazione coerente
DA UN PUNTO DI VISTA ETICO E MORALE, E’ ACCETTABILE ESCLUDERE DAGLI SCREENING CATEGORIE DI PAZIENTI PER CALCOLI ECONOMICI? Comprendiamo che tale quesito è fuori luogo ma non per questo, ci si può sottrarre. Non possiamo sottrarci all’etica ed alla morale, sarebbe come rinnegare le basi del nostro vivere quotidiano.
ESISTONO ELEMENTI DI VALUTAZIONE PER STABILIRE UN MODELLO ACCETTABILE DI “COSTO BENEFICO”? Su questa domanda vogliamo indicare un modello operativo adottato dal Ministero della Salute che non può non fare testo. Prendiamo in esame il modello adottato per lo screening della BSE (meglio conosciuta come “Mucca Pazza”). Il Ministero della Salute, sostiene di avere effettuato negli anni 2001, 2002, 2003, 1.490.000 test per scoprire nuovi casi di BSE. http://www.ministerosalute.it/alimenti/sicurezza/bse.jsp?lang=italiano&label=bsea&id=228& I casi diagnosticati al 2003 sono stati 101. Questo significa un rapporto di 14750 a 1. Ovvero, per diagnosticare un caso di BSE sono stati eseguiti 14750 test. Considerato che il Ministero della Salute ritiene positiva questa attività di sorveglianza, senza badare troppo al “costo-beneficio” ci pare un elemento di partenza molto interessante per lavorare e stabilire quali categorie a rischio screenare per l’epatite C e soprattutto quale sia il “margine di tolleranza consentito” per questo genere di sorveglianza epidemiologica.
“Attualmente, in Italia, il virus dell’Epatite C è la causa del più alto numero di decessi tra le malattie infettive conosciute” Decessi in un anno per malattie infettive
** COA, Not Ist. Super Sanità 2003; 16 (11) Suppl 1 *stime HCV da Dati ISTAT 2000 + Rapporti ISTISAN 00/32
Pagina: 7 - Bibliografia
(1)Chronic hepatitis C. Imp Heitkemper M, Jarrett M, Kurashige EM, Carithers R.lications for health-related quality of life.Gastroenterol Nurs. 2001 Jul-Aug;24(4):169-75; quiz 176-7. (2)Chronic hepatitis C virus infection causes a significant reduction in quality of life in the absence of cirrhosis. Foster GR, Goldin RD, Thomas HC. Hepatology. 1998 Jan;27(1):209-12. (3)Central nervous system involvement in hepatitis C virus infection. Forton DM, Thomas HC, Taylor-Robinson SD. Metab Brain Dis. 2004 Dec;19(3-4):383-91.
(4)Subclinical impairment of brain function in chronic hepatitis C infection. Kramer L, Bauer E, Funk G, Hofer H, Jessner W, Steindl-Munda P, Wrba F, Madl C, Gangl A, Ferenci P. J Hepatol. 2002 Sep;37(3):349-54. (5)Impaired health-related quality of life in Romanian patients with chronic viral hepatitis before antiviral therapy. (6)Art. 3. COSTITUZIONE ITALIANA. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (7-8) Art. 32. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. (9) Pojoga C, Dumitrascu DL, Pascu O, Grigorescu M, Radu C, Damian D.Eur J Gastroenterol Hepatol. 2004 Jan;16(1):27-31.
Pagina: 8 - Posizione finale -argomenti generali
Gentile Alfonso Mele
Ho appena ricevuto il documento finale della Consensus.
Con tutta la stima e l’affetto, mi dispiace ma l’Associazione EpaC Onlus si dissocia dalle risultanze e non può dare il proprio consenso a quanto è stato stabilito. Di più: per quello che ci riguarda, la Consensus dovrebbe essere annullata.
Motivazioni
Le nostre posizioni sono state esposte esaurientemente nel documento preliminare che ho inviato prima della riunione, e che ho continuato a ribadire durante la discussione. Ma aggiungo qui un’ ulteriore argomentazione. Traccio comunque una sintesi:
In generale
In linea di principio riteniamo che le risultanze della Consensus siano parziali poiché:
A) Le nostre osservazioni e proposte di cambiamenti non sono state prese in considerazione. Noi rappresentiamo i malati (consapevoli e inconsapevoli) e cioè coloro che più di tutti avrebbero il diritto di essere ascoltati.
B) Non era presente in via ufficiale l’AISF - Associazione Italia Studio Fegato (i cui associati sono la maggior parte degli esperti in epatologia).
C) Non era presente in via Ufficiale, il Ministero della Salute, (in particolare il dipartimento che si occupa di prevenire le malattie infettive e prevenire la diffusione di virus e agenti patogeni).
D) Non era presente in via ufficiale alcuna rappresentanza di Associazioni di Medici di famiglia (coloro che gli screening li devono fare).
Tutto ciò in violazione, tra l’altro, del MANUALE METODOLOGICO “COME PRODURRE, DIFFONDERE, E AGGIORNARE RACCOMANDAZIONE PER LA PRATICA CLINICA”. Manuale adottato per il PNLG, (Programma Nazionale Linee Giuda) tra i cui redattori compaiono, sorprendentemente, 3 dei 4 membri del Comitato Promotore della Consensus: Mele, Bianco, e Sagliocca.
Abbiamo riscontrato alcuni punti violati. In particolare, annotiamo il punto 2.3
<< Il metodo delle conferenze di consenso, inizialmente messo a punto dai National Institutes of Health (NIH) statunitensi….consiste nella stesura di raccomandazioni da parte di una giuria al termine di una presentazione e consultazione di esperti che sintetizzano le conoscenze scientifiche su un dato argomento. La giuria, composta da specialisti e non specialisti (solitamente coordinata da un presidente non esperto del settore) ascolta le relazioni di esperti su alcune domande o aspetti controversi della malattia o procedura in questione. L’analisi critica della letteratura, condotta preliminarmente dal comitato promotore, permette alla giuria un confronto tra prove disponibili e pareri o relazioni degli esperti. Al termine delle relazioni la giuria si riunisce e, a porte chiuse, definisce le risposte sui quesiti principali per una presentazione pubblica….>>
Alla Consensus non c’era giuria, ed il Presidente era un noto specialista delle Malattie del fegato del quale tutto possiamo dire eccetto che sia inesperto.
Punto 2.6 La produzione di raccomandazioni attraverso una conferenza di consenso può essere invece più indicata quando: - il tema da trattare è limitato e può essere suddiviso in pochi quesiti principali; - il tema da trattare è controverso e necessita di un dibattito pubblico sulle diverse posizioni e una presa di posizione da parte di una giuria multiprofessionale. La controversia è data generalmente dalle prove disponibili che possono essere contraddittorie, frammentarie o insufficienti per sostenere in modo chiaro uno specifico intervento sanitario che tende invece a diffondersi in modo accelerato o inappropriato.
Ancora, non c’era giuria, tantomeo multiprofessionale
Tanto basta, a noi, per chiedere di invalidare la Consensus.
Tuttavia, anche nei capitoli 4 (Multidisciplinarietà), capitoli 5 (considerazioni di bioetica) troviamo spunti interessanti per rivendicare l’inappropriatezza della conduzione della Consensus, ma ci fermiamo qui.
In sintesi, dal nostro punto di vista una Consensus non è tale se non partecipano in via ufficiale tutti gli organismi parte in causa e soprattutto non danno il loro consenso. Inoltre, se se è prevista una giuria composta in un certo modo, non vediamo il motivo per omettere deliberatamente questo passaggio.
Pagina: 9 - Posizione finale - argomenti di merito
A) Il documento ci pare, così come si presenta, troppo confuso. Soprattutto per un Medico di Famiglia che deve districarsi tra concetti comprensibili solo alla classe specialistica che ha redatto il documento.
Ci pare altamente improbabile, ed anche molto inverosimile, che un Medico di famiglia per proporre un test debba riflettere su questi concetti:
A. Se il soggetto è sintomatico o asintomatico B. Se il soggetto ha una età sopra i 65 anni o nato dopo il 1950 C. Se il soggetto è potenzialmente eleggibile per il trattamento antivirale
Abbiamo le prove SCRITTE di numerose testimonianze che ci sono giunte, che molti pazienti hanno scoperto l’epatite C in stato avanzato (se non già in cirrosi), poiché il medico di famiglia non è stato in grado o non ha dato peso ad alcune spie e indizi che potevano ricondurre ad una infezione epatica da virus HCV (es. transaminasi alterate, manifestazioni extraepatiche, ecc.)
E’ sconcertante, quindi, che si possa credere che un Medico di famiglia abbia una tale padronanza della materia da poter addirittura distinguere “se il soggetto è potenzialmente eleggibile al trattamento” quando, e lo devo ricordare, gli stessi specialisti danno pareri diversi su un medesimo soggetto per un eventuale trattamento antivirale (e anche qui abbiamo centinaia di lettere scritte a conferma).
Tra l’altro Non è chiaro, se i soggetti di età sopra i 65 anni e nati dopo il 1950 debbano essere screenati. A pagina 2 viene posto questo “veto” mentre nelle raccomandazioni ciò non è menzionato. Ciò pone un dubbio amletico di fondo, e che dubbio.
In sintesi, siamo in disaccordo che la Consensus prenda in esame lo screening solo per i soggetti asintomatici e ciò accresce la confusione e scoraggia inevitabilmente lo screening stesso.
B) Siamo alquanto perplessi sulle modalità con le quali si etichettano gruppi da prendere in considerazione rispetto ad altri da non prendere in considerazione. Ad esempio, ci chiediamo con quale criterio si affermi che la percentuale di infezioni nei soggetti nati dopo il 1950 sia “molto bassa” (< 1,5%) o per altri sottogruppi l’infezione è “elevata” (> 10%).
Noi riteniamo che le malattie infettive vanno combattute indipendentemente dalle “percentuali di diffusione” e che comunque le percentuali prospettate giustificano in qualsiasi caso test di screening nei gruppi e sottogruppi a rischio, in quei soggetti che ancora non si sono sottoposti al test.
D. E’ assolutamente ambigua la frase del documento che afferma: << Non è provato, ma biologicamente plausibile, che alla SVR possa conseguire una riduzione degli eventi di morbosità e mortalità>>.
Ci chiediamo, allora, in qualità di pazienti, a cosa servano le terapie. Servirebbe una risposta chiara: o servono, oppure non servono. L’ambiguità e pericolosa e fonte di scoraggiamento.
E. Contestiamo senza mezzi termini il concetto per cui: << In linea generale il panel ritiene che il test per anti-HCV possa essere proposto al soggetto asintomatico solo se si prevede che egli possa ottenere un beneficio dall’eventuale diagnosi di infezione>>.
Come abbiamo già esaurientemente esposto una valutazione complessiva bene fatta, dovrebbe tenere in considerazione 5 fattori di pari importanza:
Benefici clinici. Benefici economici. Il diritto del cittadino di essere curato. Il dovere delle Istituzioni di mettere i cittadini nelle condizioni di sapere, prevenire e poter limitare il danno. Il dovere delle Istituzioni di impedire la diffusione di virus infettivi e tutelare le persone che sono a contatto con il soggetto portatore di infezione.
Stiamo trattando una malattia infettiva trasmissibile, e pertanto ogni ragionamento va fatto sempre e comunque tenendo conto di questo aspetto. Mai e poi mai aderiremo a questo concetto se preso come unica base per decidere a chi fare screening.
In altre parole contestiamo il fatto che L’Istituto Superiore di Sanità nella persona degli organizzatori della Consensus (e in coloro sottoscrivono il documento finale), si autoproclami l’unico Entità in grado di decidere se un cittadino deve sapere o non sapere della sua infezione basandosi unicamente su un criterio di beneficio terapeutico senza tenere conto di altri aspetti, esigenze, necessità come ad esempio la tutela dei cittadini.
F. Contestiamo in toto anche questo passaggio:
<< Altri obiettivi appaiono poco rilevanti quali fattori contributivi ad una decisione di screening. Non si può escludere, infatti, che l’essere a conoscenza di avere un’infezione cronica da HCV possa aumentare l’aderenza alle indicazioni di un counseling appropriato che miri a ridurre i cofattori di danno epatico e la trasmissione del virus; ma uno stile di vita che riduca il consumo di alcool ed i fattori di rischio metabolico e cardiovascolare e l’adozione delle misure finalizzate a prevenire le infezioni a trasmissione parenterale si associano a benefici sullo stato di salute indipendentemente dalla presenza di infezione da HCV e sono, quindi, di universale raccomandazione.>>
Lo consideriamo un sabotaggio al counselling. Si vorrebbe far credere, che le “raccomandazioni universali degli stili di vita” siano talmente incisive sulla vita dei cittadini italiani da essere parificate al counselling comportamentale appropriato e personalizzato quale:
o EVITARE DI INTRODURRE ALCOLICI IN QUALSIASI FORMA o VACCINARSI PER L’EPATITE A e B NEL CASO NON VI SIANO ADEGUATE COPERTURE ANTICORPALI o COUNSELLING SPECIFICO SULLE MODALITA’ DI TRASMISSIONE SESSUALE E INTRAFAMILIARE. o REGIME ALIMENTARE E STILI DI VITA APPROPRIATI ALLA GRAVITA’ DELLA MALATTIA (riduzione del peso, ecc.) o ASSUNZIONE DI FARMACI O ALTRE SOSTENZE IN CORSO DI MALATTIA o CHIARIMENTI DETERMINANTI SU NOTIZIE FUORVIANTI CHE APPAIONO DI TANTO IN TANTO SUI MEDIA.
E’ la richiesta pressante di counselling da parte dei pazienti che ha determinato il nostro successo, (possiamo portare a prova migliaia di lettere) e quindi mai e poi mai potremo sottodimensionare l’importanza del couselling personalizzato, in molti casi in grado di aumentare la qualità di vita ed incidere sulla longevità stessa dell’individuo, checchè se ne dica. Se il counselling è irrilevante e sostituibile con le raccomandazioni universali degli stili di vita, allora bisogna smantellare tutte i servizi di counselling sulle malattie croniche, compreso il numero verde sull’AIDS
G. In questo passaggio:
Si ritiene che queste limitazioni di eleggibilità e di “effectiveness” rendano inappropriato uno screening generalizzato in questa fascia di età, indipendentemente da una valutazione di costo-efficacia, che potrebbe essere sfavorevole e di per sé sufficiente a sconsigliare uno screening universale>>.
1) Siamo d’accordo sul fatto che non è giustificato un screening di massa. 2) Siamo in disaccordo su:
<< la conoscenza dello stato di infezione nei soggetti asintomatici non candidati o non responsivi al trattamento, che sarebbero la maggioranza, può indurre un significativo peggioramento nella qualità di vita >>.
Questo è un falso problema, perché attraverso un counselling appropriato si risolve abbondantemente. E’ un problema rimediabile, si tratta solo di rimboccarsi le maniche – ergo – aiutare il paziente a capire ed affrontare il problema.
<< i soggetti HCV positivi eventualmente individuati dallo screening sarebbero prevalentemente caratterizzati da transaminasi persistentemente normali, nei quali verosimilmente l’epatopatia da HCV ha una progressione estremamente lenta ed un impatto incerto sulla speranza di vita;>>
Questo è discutibile, anche perché a breve potrà essere prescritto il trattamento antivirale ai soggetti con ALT normali con specifiche caratteristiche – argomento oggetto di discussione. Infine, abbiamo già fatto presente (ma invano a quanto pare) quando una SVR incida notevolmente sulla qualità di vita, migliorandola in tutti i suoi aspetti.
H) Raccomandazioni
<< Lo screening per infezione da HCV non è giustificato: - nei soggetti che debbano subire un intervento medico invasivo (ad esempio: chirurgia, endoscopia) o altra pratica invasiva, in quanto le precauzioni igieniche universali relative alla contaminazione ematica devono essere sempre rispettate con la massima attenzione, indipendentemente da un’eventuale infezione virale dimostrata; - In gravidanza, in quanto al momento non esistono presidi in grado di ridurre il rischio di trasmissione verticale di HCV>>.
Contestiamo: così come si evince dai dati SEIVA, le infezioni nosocomiali sono tra i primi posti tra le cause di nuove infezioni. Ma anche senza i dati SEIVA, possediamo numerose lettere di cittadini che si sono infettati e continuano ad infettarsi negli ospedali. Perciò è demagogico affermare che le precauzioni igieniche dovrebbero essere rispettate: di fatto non lo sono. E ci sono le prove.
Per quanto riguarda la gravidanza a noi pare ci si dimentichi del fatto che all’interno di questa categoria ci sono ancora soggetti che hanno ricevuto trasfusioni nei primi anni di vita e quindi infette, oppure ex tossicodipendenti, ecc. Insomma soggetti che fanno parte di categorie a rischio e pertanto ci pare più logico mantenere uno screening nelle donne in gravidanza che fanno parte di gruppi a rischio.
<< Il panel raccomanda di effettuare il test per infezione da HCV nelle seguenti categorie a maggior rischio, in particolare nei soggetti potenzialmente eleggibili al trattamento antivirale: - soggetti che fanno o hanno fatto uso di stupefacenti per via endovenosa; - emodializzati; - soggetti che hanno ricevuto emotrasfusioni o trapianti d’organo prima del 1992; - soggetti che hanno ricevuto fattori della coagulazione emoderivati prima del 1987; - conviventi attuali o pregressi dei soggetti con infezione da HCV; - soggetti con attività sessuale promiscua che presentano una storia di lesioni genitali erosive. Il panel giudica eticamente obbligatorio il consenso informato all’effettuazione del test dei soggetti candidati, che devono essere posti a conoscenza del significato e dei possibili vantaggi e svantaggi dell’eventuale diagnosi di infezione da HCV.>>
Ci pare utopistico che un Medico di Famiglia possa accertare “una storia di lesioni genitali erosive” Ma cosa più importante, restano escluse alcuni sottogruppi importanti, quali:
• Soggetti con alterazioni enzimi epatici • Soggetti. con manifestazioni extraepatiche (Linfoma NH, crio, dermatologiche, ecc.) • Carcerati • Operatori della salute per contatto con sangue e derivati infetti • Alcolisti • Storia di chirurgia maggiore
Infine, ma non meno trascurabile, per ciò che riguarda i “soggetti che hanno ricevuto fattori della coagulazione emoderivati prima del 1987” va sottolineato che sono circolati in Italia Lotti infetti di antitetaniche (prodotti da Tetanum Berna, I.G., Tetano, Sclavo, ecc.) sino al 1993, anno in cui il Ministero ne ha ordinato il ritiro dal commercio, tale disposizione non fu TOTALMENTE ESEGUITA e i lotti furono trovati contaminati da RNA in quantità elevate (Tansfusion vol 37 Set. 1997 Gentili, Pisani). Pertanto, ci pare quantomeno ragionevole estendere a “soggetti che hanno ricevuto fattori della coagulazione emoderivati prima del 1995”.
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Sintesi finale
Riteniamo ragionevoli le conclusioni di questa consensus solo ed esclusivamente se portate ad un tavolo di lavoro più ampio dove possano partecipare tutti i soggetti parte in causa e quindi la discussione possa proseguire tenendo conto degli aspetti strettamente scientifici. A queste condizioni possiamo aderire.
Riteniamo di non aderire se le conclusioni e raccomandazioni saranno diffuse ai medici di famiglia così come sono state elaborate (documento confuso e scoraggiante) senza tenere conto di altri pareri e di aspetti sociali e sanitari. In tal caso, cercheremo di portare la questione all’attenzione del Ministero della Salute sempre nel massimo rispetto del vostro lavoro, ma con la consapevolezza che i pazienti siamo noi, si discute della nostra pelle, e vogliamo avere un peso maggiore nelle decisioni.
Ivan Gardini Presidente Associazione EPAC Onlus
Per il Consiglio Direttivo
Vimercate, 03.06.2005
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