L'OPINIONE SU... il certificato di intendere e volere
Categoria : professione
Data : 07 gennaio 2024
Autore : admin
Intestazione :
Sono un medico di famiglia. Mi viene richiesto di certificare che un mio assistito anziano e’ capace di intendere e di volere perche’ deve effettuare una compravendita e il notaio esige un tale certificato. Pero’ io non sono uno specialista. Conosco bene le condizioni del mio paziente, essendo il suo medico da anni, ma non corro rischi certificando condizioni di competenza specialistica?
Testo :
In linea di massima puo’ farlo tranquillamente, ovviamente certificando quanto corrisponde alla realta'.
La legge infatti non riserva a particolari categorie specialistiche (come psicologi, psichiatri o medici legali) l' esclusiva per questo tipo di certificazione. La norma generale prevede che per poter emettere questi certificati il medico deve essere in possesso della laurea in Medicina e Chirurgia, dell’abilitazione all’esercizio della professione e dell’iscrizione al rispettivo albo professionale. Quindi, ogni medico abilitato all’esercizio della professione e iscritto all’albo può rilasciare certificati, con qualche eccezione di cui parleremo in altra occasione.
Trattandosi sovente di pazienti anziani, essi sono affetti da multiple patologie legate anche all’ eta’, tuttavia, a scopi civilistici, non occorre una precisa diagnosi etiopatogenetica delle varie affezioni; la capacita’ di intendere e volere, a tali fini, non e’ legata a precise diagnosi di malattia o di disturbo mentale, ma va valutato soprattutto l’aspetto “funzionale”. Si dichiara cioe’ che il paziente, per quanto riguarda la sua capacita’ civile, (testamenti, cessione o acquisto di beni ecc.) e’ consapevole di cio’ che sta facendo e intende veramente farlo.
In moltissimi casi la condizione e’ indiscutibile: puo’ trattarsi di anziani lucidissimi o, al contrario, completamente avulsi dalla realta’, tuttavia (poiche’ in tali situazioni si innescano spesso contenziosi che mettono in dubbio la veridicita’ del certificato (soprattutto se a certificare e’ “solo” un medico generico) e’ bene non limitarsi alla sola dichiarazione della condizione di capacita’ o meno, ma e’ utile esplicitare le condizioni che supportano la diagnosi finale, approfondendo quanto riscontrato.
Il medico puo’ percio’ accertare (riportando il tutto nel certificato) la condizione del paziente con un colloquio preliminare e con una serie di domande tese a esplorare sia la capacita’ cognitiva del paziente (orientamento spaziale e temporale, il riconoscimento delle persone a lui vicino ecc.) sia la capacita’ volitiva (consapevolezza dell’atto civile che vuole compiere e conferma della volonta’ di volerlo fare). Per es: “ … appare orientato nel tempo e nello spazio, riconosce i presenti, appare consapevole dei motivi della visita ecc…”
Volendo, si possono anche applicare (non obbligatoriamente) dei test gia’ validati e di facile applicazione, quali lo SCAG o il MINIMENTAL TEST, riportandone poi i risultati.
Nei casi “border-line” (che possono portare a contenziosi magari giudiziari) puo’ essere effettivamente rischioso riportare una valutazione precisa, ed e’ quindi preferibile che il medico chieda una consulenza specialistica su cui basare le sue conclusioni, o trasmetta direttamente l’ incarico ad uno specialista. Questa prassi pero’, come gia’ detto, non e’ obbligatoria nei casi in cui il medico sia capace di raccogliere tali elementi da solo.
Trattandosi di una certificazione a fini tipicamente medico-legali, non compresa tra gli obblighi assistenziali gratuiti, e’ bene informare preventivamente gli interessati che la prestazione e’ a carattere oneroso.
Daniele Zamperini
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