SANITARI AGGREDITI: IL PARERE DELLO PSICOLOGO
Categoria : professione
Data : 04 ottobre 2024
Autore : admin
Intestazione :
Alla luce delle recenti notizie riguardo l’aggressione avvenuta a Foggia diviene un imperativo morale riflettere sulle condizioni del personale sanitario e sull'aggressività rivolta loro da pazienti e parenti di questi ultimi. Questo episodio, drammatico come tanti altri che lo hanno preceduto, ha riportato l’attenzione pubblica su un fenomeno preoccupante e in continua crescita: le aggressioni fisiche e verbali nei confronti degli operatori sanitari.
Testo :
Lungi dall’essere un evento isolato, esso fa parte di una catena di violenze che coinvolge sempre più frequentemente medici, infermieri, e altro personale ospedaliero e che ha visto in altri episodi ancora più recenti, come quello accaduto al policlinico Gemelli di Roma (Grbic, 2024), quello al pronto soccorso di Prato ad opera di un quindicenne (Natoli, 2024) e l’ultimo a Pescara nel reparto di oncologia (Marceca, 2024), il concretizzarsi di un aspetto umano atroce, in cui emozioni quali la paura, la rabbia, l’incertezza, pongono l’individuo in uno stato di disorientamento, portandolo a compiere gesti talvolta estremi verso colui, medico o infermiere, che incarna il volto di queste emozioni negative proiettate all’esterno. Afferma, pertanto, alla luce dei fatti, Roberto Cesario, segretario territoriale del Nursind: «Nonostante le rassicurazioni fornite durante l’ultimo incontro in Prefettura niente è cambiato nel corso delle ultime settimane» (Natoli, 2024).
La crescente tensione sociale, le carenze strutturali dei servizi sanitari, unita alla frustrazione per i lunghi tempi d’attesa, all’insoddisfazione per il trattamento ricevuto -a causa di errori o omissioni da parte del personale sanitario, dovuto alle numerose ore di lavoro- e le aspettative spesso irrealistiche dei pazienti sono solo alcuni dei fattori che contribuiscono a rendere gli ospedali, che dovrebbero essere luoghi di cura e protezione, dei potenziali teatri di scontro. Le cause che scatenano queste aggressioni sono, infatti, molteplici e complesse. Spesso, dietro queste reazioni estreme, vi è un profondo senso di impotenza, di paura per la salute del proprio caro o per la propria vita, amplificato dall'incertezza che caratterizza molti percorsi sanitari e dalla percezione di una mancanza di empatia da parte del personale medico (Leźnicka & Zielińska-Więczkowska, 2024). Vi sono poi alcuni casi in cui l’aggressività da parte dei pazienti verso il personale sanitario, viene, invece, dettata dall’effetto di sostanze stupefacenti o in presenza di disturbi psichiatrici (Hüfner et al., 2020). Tale situazione, inoltre, sembra essere peggiorata in seguito alla crisi pandemica, che ha posto l’individuo in una condizione di incertezza estrema (Leźnicka & Zielińska-Więczkowska, 2024b).
Ad essere colpiti sono soprattutto i reparti psichiatrici (ibid.) ed oncologici (Granek et al, 2019), anche se i maggiori episodi si verificano all’interno del pronto soccorso (Civilotti et al. 2021). Inoltre, si registra una differenza tra le varie regioni italiane (ibid.), probabilmente dovute al contesto sociale e culturale: nei luoghi in cui vi sono confini interpersonali più labili e un maggior orientamento al concetto di famiglia, unito a mancanza di risorse da parte del personale e un accesso limitato alle cure palliative, i tassi di incidenza di episodi aggressivi a carico dei pazienti e delle loro famiglie, sono più elevati (Granek et al, 2019b).
Le forme più comuni di violenza sono soprattutto quella verbale, seguita dalla aggressione fisica e, in taluni casi, molestie sessuali e razziali, bullismo e intimidazione (MA & Thomas, 2023; D’Ettore et. al, 2020). Tali gesti sono compiuti soprattutto dai pazienti e dalle loro famiglie.
Da un punto di vista psicologico, è essenziale comprendere le dinamiche relazionali e sociali che portano a queste esplosioni di violenza. Secondo la psicologia sociale, uno dei fattori chiave è il fenomeno della "disumanizzazione" del personale sanitario. In situazioni di stress elevato, i pazienti e i loro familiari tendono a non vedere più i medici e gli infermieri come persone dotate di emozioni e limiti, ma piuttosto come semplici esecutori di ordini o come ostacoli da superare per ottenere cure migliori. Questo processo disumanizzante può essere aggravato dalla depersonalizzazione che talvolta si verifica nelle strutture sanitarie, dove l’efficienza operativa e le procedure burocratiche rischiano di sovrastare l'ascolto e l'empatia. Ciò comporta una ridotta comunicazione tra personale sanitario e pazienti, non permettendo la costruzione di una relazione terapeutica fondata sulla fiducia (Hüfner et al., 2020b).
La crescente aggressività verbale e fisica non può essere, tuttavia, giustificata né sottovalutata, poiché mina la sicurezza degli operatori e crea un ambiente di lavoro psicologicamente insostenibile. Di fatti, nonostante esista uno specifico Codice, che attua una risposta coordinata del personale sanitario e della sicurezza verso un possibile atto o minaccia di aggressione verbale e fisica, è pur vero che tali episodi vengono spesso gestiti, attenuandoli verbalmente dal personale. È per questo che le evidenze sottolineano l’importanza di misure realmente efficaci e preventive per gli eventi di Codice nero (Davids et al., 2021).
Nel campo della ricerca, pertanto, numerosi sono gli studi che si focalizzano sullo sviluppo di interventi organizzativi per prevenire e ridurre al minimo l'aggressività sul posto di lavoro (Spelten et. al, 2020; D’Ettore et. al, 2020; Lòpez-Ros et al., 2023; de Barbieri et al., 2024). Tra le misure preventive più efficaci, la formazione del personale sanitario gioca un ruolo cruciale (Hüfner et al., 2020). In molte strutture ospedaliere, si stanno già sviluppando corsi specifici di gestione del conflitto, di comunicazione assertiva e di de-escalation delle situazioni potenzialmente violente.
Questi programmi hanno l’obiettivo di fornire agli operatori strumenti concreti per riconoscere i segnali di tensione e intervenire prima che la situazione degeneri. Un altro aspetto fondamentale è la formazione sull’empatia e sulla comunicazione emotiva, che può ridurre il senso di frustrazione dei pazienti, promuovendo un rapporto più umano e collaborativo tra medico e paziente. In tal senso, è emblematico l’approccio promosso dal campo della medicina narrativa, con la quale si indica «modalità di affrontare la malattia tesa a comprenderne il significato in un quadro complessivo, sistemico, più ampio e rispettoso della persona assistita» (Virzi, 2011). Attraverso l’ascolto e la relazione con il paziente nella sua totalità (psicofisica, storica e sociale), infatti, viene consentita « un'elaborazione cognitiva in cui è probabile che lo sviluppo di una narrazione coerente aiuti a riorganizzare e strutturare ricordi traumatici, generando schemi interni più adattabili e meno oscuri» (Baikie, 2005) pertanto “la narrazione della storia da parte dei pazienti è un atto terapeutico fondamentale, perché trovare le parole per contenere il disordine e le relative preoccupazioni dà forma e controllo sul caos stesso della malattia” (Charon, 2001).
In tal senso, coinvolgere il paziente e la sua famiglia, in un dialogo costruttivo fondato sull’ascolto attivo ed empatico, a dare un senso alle sue esperienze e a collocarle a livello spazio-temporale, in modo da farlo diventare un meccanismo terapeutico. Dall'altra parte aiuterebbe il curante a conoscere la persona che ha davanti, a costruire percorsi di cura condivisi e a migliorare la compliance, ossia l'adesione ai trattamenti proposti dal terapeuta. Ciò ridurrebbe significativamente sia gli episodi di aggressività che il ricorso ad una medicina difensiva. Dal punto di vista pratico, esistono molte possibili declinazioni di questo concetto incentrate sul paziente, sul medico, sul lavoro di gruppo o individuale, sul dialogo, la scrittura, o su forme espressive diverse.
Oltre alla formazione, è importante anche l'adozione di misure strutturali e organizzative. Gli ospedali dovrebbero essere dotati di sistemi di sicurezza adeguati, con personale addetto alla vigilanza e all’intervento immediato in caso di aggressioni (D’Ettore et. al, 2020b). Inoltre, le campagne di sensibilizzazione rivolte al pubblico possono contribuire a diffondere una maggiore consapevolezza dell'importanza di rispettare il lavoro del personale sanitario (Verdonk, 2022). Infine, è necessario un cambiamento culturale più ampio, che miri a ricostruire la fiducia nel sistema sanitario e a promuovere una maggiore comprensione delle difficoltà che i medici e gli infermieri affrontano quotidianamente. Difatti, nonostante l’efficacia di questi interventi, alcune evidenze mostrano che questi non possono eliminare tali situazioni spiacevoli, riducendo l’aggressività nei confronti del personale sanitario, in maniera parziale (Spelten et. al, 2024b). Questo può avvenire solo attraverso un dialogo aperto e onesto tra le istituzioni sanitarie, i pazienti e i loro familiari, e una maggiore attenzione alle problematiche del lavoro in sanità da parte dei media e dell'opinione pubblica.
La tutela della professione sanitaria, dunque, non riguarda solo la prevenzione di aggressioni fisiche, ma include anche la promozione di un ambiente lavorativo sicuro dal punto di vista psicologico. Lo stress cronico e l’ansia per la propria sicurezza possono compromettere gravemente l'efficacia e il benessere degli operatori, portando a sindromi da burnout, disturbi del sonno, depressione e nei casi di aggressioni avvenute, di disturbo post-traumatico da stress (Hüfner et al., 2020b). È fondamentale, quindi, implementare politiche di protezione e supporto psicologico che non solo intervengano dopo che un episodio di violenza è avvenuto, ma che lavorino anche sulla prevenzione. In particolare, tali misure includono la riduzione del carico di lavoro generale, con l’assunzione di più professionisti della salute mentale, avendo traduttori disponibili in loco per aiutare con le barriere linguistiche, riducendo gli oneri amministrativi e incorporando ampiamente le cure palliative per aiutare con la cura psicosociale e fisica dei pazienti e delle famiglie (Granek et al. 2019c).
Bisogna poi porre l’attenzione anche sull’approvazione di normative che tutelino il personale sanitario. A questo proposito è da citare la recente disposizione Decreto-legge (ANSA, 2024) che prevede l'arresto obbligatorio in flagranza, anche differito, per chi commette atti di violenza contro gli operatori sanitari. Questo significa che un aggressore può essere arrestato fino a 48 ore dopo l'atto di violenza, se documentato da video o fotografie. Nello specifico, la recente modifica all'articolo 380 del codice di procedura penale ha ampliato i casi di arresto obbligatorio in flagranza, includendo anche le condotte che rientrano nel «delitto di lesioni personali a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali», oltre al «delitto di danneggiamento». La modifica all'articolo 382-bis, invece, estende l'arresto in flagranza differita anche ai reati «per i quali è previsto l'arresto in flagranza» commessi «all'interno o nelle pertinenze delle strutture sanitarie o socio-sanitarie residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, in danno di persone esercenti una professione sanitaria o socio-sanitaria».
Il decreto, inoltre, autorizza l'installazione di sistemi di videosorveglianza nelle strutture sanitarie, previa adozione di linee guida da parte del ministro della Salute, in collaborazione con quello dell'Interno. «È un primo passo importante», ha commentato Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, riguardo all'approvazione del decreto legge da parte del Consiglio dei Ministri (ibid.).
In conclusione, la violenza nei confronti del personale sanitario rappresenta un problema complesso e multifattoriale, che richiede un approccio integrato e multidisciplinare. La formazione del personale, l’adozione di misure di sicurezza, il supporto psicologico e la sensibilizzazione del pubblico sono solo alcune delle soluzioni necessarie per affrontare questo fenomeno. Tuttavia, è essenziale che ogni intervento venga accompagnato da un profondo cambiamento culturale, che promuova il rispetto e la collaborazione reciproca, restituendo al personale sanitario la dignità e la sicurezza che meritano.
Annamaria Ascione Psicologo Psicoterapeuta Valentina Cirillo Psicologo Anima Iris – Consulenza Integrata in Psicologia Clinica ASSIMEFAC (Ass.Società Scientifica Interdisciplinare di Medicina Generale e di Comunità)
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