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Diagnosi precoce dell'Alzheimer

Categoria : neurologia
Data : 24 aprile 2025
Autore : admin

Intestazione :

Una breve panoramica sulle attuali possibilità di diagnosi precoce della demenza di Alzheimer.



Testo :

Fino a pochi anni fa la diagnosi di demenza di Alzheimer si basava sulla presenza di segni clinici di deterioramento cognitivo. Tuttavia oggi è possibile una diagnosi in fase precoce grazie al dosaggio di alcuni biomarcatori che permettono di identificare la malattia in fase pre-clinica, anche anni prima che compaiano i sintomi. Tali marcatori vengono attualmente dosati nel liquido cerebrospinale (LCS).

Anzitutto si ha una diminuzione dell'Aβ42 (beta-amiloide 42) che risulta inferiore a 500 - 550 pg/ml. Questa diminuzione è indicativa di accumulo di placche amiloidi nel tessuto cerebrale.

Un altro marcatore utile a una diagnosi precoce la proteina tau totale (t-tau): un aumento > 450 - 500 pg/ml indica danno neuronale aspecifico. Invece l'aumento della tau fosforilata (p-tau181 e p-tau217) è più specifico e indica formazione di grovigli neurofibrillari.

In pratica livelli elevati di t-tau e p-tau e bassi livelli di beta-amiloide 42 nel LCS risultano fortemente correlati all'Alzheimer e consentono una diagnosi già in presenza di sintomi lievi (MCI = Mild Cognitive Impairment).

Il dosaggio di questi biomarcatori richiede però la puntura lombare per il prelievo del LCS per cui negli ultimi anni l'attenzione dei ricercatori si è spostata verso esami ematologici che sono molto meno invasivi (per esempio il dosaggio nel plasma della p-tau217 e della p-tau231) ha dimostrato una performance simile a quella ottenibile con il dosaggio nel LCS.

Non va dimenticato poi che la diagnosi precoce può giovarsi anche dell'imaging radiologica. Per esempio potrebbe trovare applicazione pratica la PET con l'uso di traccianti per beta-amiloide o per tau. Con questa tecnica è possibile visualizzare direttamente i distretti cerebrali caratterizzati da depositi patologici.

Il National Institute of Aging - Alzheimer's Association ha elaborato un modello diagnostico conosciuto con l'acronimo AT(N) che consente una valutazione biologica:
- A sta per amiloide: diminuzione della Aβ42 nel LCS o placche amiloidi visibili alla PET amiloide;
- T sta per tau fosforilata: aumento p-tau181 o p-tau217 nel LCS o presenza di grovigli neurofibrillari alla PET tau;
- (N): neuro-degenerazione (aumento della tau totale nel LCS, atrofia nella regione dell'ippocampo alla RMN, ipometabolismo temporo-parietale alla PET con fluorodesossiglucosio o FDG-PET).

I profili ottenibili permettono una diagnosi di Alzheimer certa (positività per A,T (N)) o in fase iniziale (positività solo per A e T). Nel caso di sola positività di A si parla di fase molto precoce in cui forse vi è un rischio futuro di sviluppare l'Alzheimer. Se è positivo solo l'indicatore (N) si parla di neurodegenazione non-Alzheimer.

Se è possibile quindi, di fronte a sintomi lievi e iniziali, diagnosticare precocemente l'Alzheimer rimane la domanda: esistono terapie efficaci che si possono usare nelle fasi precoci in grado di impedire o almeno rallentare l'evoluzione verso forme più gravi?

Negli ultimi anni sono stati approvati (soprattutto negli USA) i farmaci modificanti la malattia (DMTs = Disease-Modifying Therapies). Si tratta di anticorpi monoclonali anti-amiloide (lecanemab, donanemab, aducanumab). Questi farmaci sono in grado di rimuovere o ridurre la formazione di placche amiloidi e nelle forme iniziali possono rallentare il deterioramento cognitivo valutato mediante scale cliniche. Il loro uso richiede conferma diagnostica con PET o con dosaggio dei biomarcatori nel LCS e non sono attualmente disponibili per la pratica clinica in Italia. Devono essere somministrati per via endovenosa e non sono esenti da effetti collaterali (microemorragie, edema cerebrale).

Sono poi disponibili trattamenti sintomatici come gli inibitori della colinesterasi (donezepil, rivastigmina, galantamina) che possono rivelarsi efficaci nel ritardare il peggioramento clinico ma è dubbio se siano utili a modificare la progressione della malattia. La memantina (un antagonista dei recettori del glutammato) può offrire un beneficio clinico modesto nelle fasi moderate-gravi ma non è consigliata nelle forme lievi.
Importanti nelle fasi precoci sono gli interventi non farmacologici ma la cui trattazione va oltre gli scopi di questa pillola.


Renato Rossi


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