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La spesa sanitaria e il medico di famiglia

Data : 15 marzo 2006
Autore : admin

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Errare, si dice, è umano.
Quando nell’errore si persevera, è però legittimo, e forse doveroso, chiedersi se si tratti di sbaglio o di volontà precisa. Mi sto riferendo al tema del “risparmio sulla spesa sanitaria”. Una premessa indiscutibile è che nessuno, salvo chi ne tragga lucro o sia in malafede, può pensare che sia bello sprecare le risorse. Il problema nasce sulle modalità più corrette per ottenere tale risultato. Un’altra premessa, anch’essa indiscutibile, è che la spesa sanitaria, per sua natura, dal momento che riguarda quanto ognuno ha di più caro, cioè la propria salute, è tendente all’infinito: nessuno si sottrarrebbe all’esecuzione quotidiana o settimanale di un accertamento (gratuito, indolore, innocuo) se da esso emergesse la possibilità di prevenire o di curare meglio ogni sorta di patologia. Che ciò sia impossibile economicamente, oltre che mera fantasia scientifica, è appunto un altro aspetto. Terzo elemento, da considerare accuratamente, è l’importanza della prevenzione, sia sotto il profilo del benessere soggettivo, sia sotto quello economico: è appena intuitivo che una protesi femorale ha un costo ben maggiore di qualche scatoletta di farmaco per l’osteoporosi. Last, but not least, dobbiamo considerare quale sia lo scopo della nostra professione: pur convinto che tra i medici vi siano, come per tutte le professioni, figure nobilissime ma anche figure egoiste e dedite solo al proprio tornaconto, credo comunque che nel mondo medico si coniughi mediamente molto bene la professionalità con le legittime aspirazioni ad una vita professionale colma di soddisfazioni, e che l’obiettivo della stragrande maggioranza dei medici sia quello di lavorare per la cura dei pazienti. Se prendiamo in esame la spesa sanitaria vediamo che la maggior quota di tale spesa è legata all’ospedalizzazione ed al personale (nel 2003 circa il 68% del totale) mentre la medicina di famiglia è meno del 6%, e la farmaceutica quasi il 14%. Assistiamo ad uno sforzo significativo per comprimere quest’ultima voce di spesa, ma non possiamo negare che alcune strade imboccate suscitano legittime perplessità: sappiamo che ogni ospedale è in grado di contrattare con le industrie farmaceutiche il prezzo dai farmaci da inserire nel proprio prontuario, ottenendone sconti fino al 50%.



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Osiamo definire “strano e curioso” che la maggiore azienda sanitaria (il SSN, o almeno ogni SSR) non batta la stessa strada e non elabori un prontuario (esisteva ai tempi dell’INAM, non dimentichiamocelo!) con validità annuale, all’interno del quale i medici hanno libertà di scelta secondo scienza e coscienza, il quale conterrà solo i farmaci per i quali l’ente ha spuntato il risparmio maggiore. Già: la scienza e la coscienza che ora potrebbero venir soffocati dall’impellente desiderio di “sottoprescrivere” pur di risparmiare. Suscita legittime perplessità l’assistere all’aggiornamento continuo dei farmaci, del loro prezzo, delle loro prescrivibilità, ma anche delle note CUF/AIFA. Forse semplificare e rendere annuale o semestrale tali aggiornamenti sarebbe, per sé, fonte di risparmio. Assistiamo poi ad altre stranezze: in certe regioni i medici che ordinano farmaci generici sono premiati con percentuali, anche significative, del risparmio regionale. Qui nascono due dubbi: da un lato è vietato al medico effettuare prescrizioni sulla base di un tornaconto economico (si configurerebbe un “comparaggio di stato”), dall’altra nessuno (o quasi) sembra accorgersi che tale manovra è una bufala incredibile: allorché si ordina un prodotto griffato o generico la spesa pubblica è rigorosamente identica, e la differenza è pagata dal cittadino. Dove risiede il risparmio? Ma se consideriamo più nella globalità la spesa sanitaria, vediamo uno sforzo realmente importante che mira a comprimere di una percentuale marginale la spesa farmaceutica: tale obiettivo è meritorio, ma forse modesto. A questo punto dell’analisi nasce una riflessione: se è corretto contenere la spesa sanitaria (benché essa incida sul PIL percentualmente quanto incide in Estonia, e molto meno della Germania e della Francia) perché governo e regioni non agiscono sulle maggiori fonti di spesa? Perché non si interviene calmierando, ad esempio, i DRG? Perché non si modula la specialistica? La risposta non è semplicissima, ma per dare un contributo – perfettibile – all’analisi, credo che sia utile partire da un concetto introdotto alcuni anni or sono: l’aziendalismo in sanità. Fino a pochi lustri or sono esistevano, nel mondo sanitario, solo aziende private (le quali, sia ben chiaro, erano molto attive, anche se talora condotte con sistemi che suscitavano legittimi dubbi (quante degenze protratte al tempo del pagamento per posto-letto, quanto personale sottopagato!). Il pubblico veniva remunerato a pié-di-lista, metodica che induceva talora a lavorare il meno possibile.



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Quando si è voluto dare una sferzata al sistema pubblico non si è però capito (forse qualcuno lo ha capito benissimo) che ogni azienda ha per finalità il profitto. In sanità per ottenere profitto esiste un sistema semplice: moltiplicare le prestazioni che, come visto, tendono all’infinito. In assenza di controlli è possibile, ad esempio, sottoporre a varicectomia chiunque abbia una pur modesta ectasia venosa nel territorio della safena perseguendo il miglior rapporto guadagno/tempo. Elemento propedeutico ai ricoveri è poi la diagnostica: recenti notizie di stampa indicavano, per la regione Lombardia, un incremento di cinquecento milioni (di euro) in un anno, pari al 16-17%: dagli esami specialistici. Per i ricoveri, poi, è legittimo chiedersi quante volte ad un paziente sia stato preferito un altro perché il suo DRG era più lucroso e non per impellenze cliniche. Controllando a campione una percentuale irrisoria delle cartelle cliniche (sia di enti pubblici che privati) sono emersi un numero incredibile di errori – quasi sempre in plateale eccesso - nell’indicazione dei DRG: sarebbe bastato controllare la congruità del DRG di una considerevole percentuale delle cartelle per ottenere un risparmio calcolato (allora) al 7-8% del totale. Tuttora vengono controllati solo il 5% dei DRG, mentre assistiamo alla volontà di controllare per via telematica ogni prescrizione del medico di famiglia: ci si chiede quale effettivo risparmio per il SSN deriverebbe dalla verifica di ogni DRG e di ogni spesa indotta dagli specialisti, per non parlare degli incrementi di volume di lavoro in alcune strutture. Questa dimenticanza fa nascere sospetti: abbattere di un miserabile 1% la spesa ospedaliera nel suo complesso darebbe incredibili vantaggi al SSN. Concludo questa analisi, forzatamente breve, con alcune proposte: è legittimo, e doveroso, evitare gli sprechi. Appare verosimile che (almeno osservando il volume d’affari) gli sprechi siano maggiori dove maggiore è il giro di soldi. Si può quindi indurre un sano risparmio introducendo la responsabilità personale degli accertamenti clinici: terminiamola con l’ipocrisia di “suggerire” al medico di famiglia certi esami, lavandosene precipitosamente le mani. Un controllo si impone poi sulla congruità dei ricoveri (e forse anche sulla durata, apparendo decisamente precipitose talune dimissioni che liberano il letto per il paziente successivo): una volta esistevano almeno i medici di controllo dell’INAM, che svolgevano un’azione per molti versi meritoria.



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E’ intuitivo che interventi come quelli descritti: prontuario annuale, verifiche di congruità sui DRG, controlli sull’induzione di accertamenti inutili da parte degli specialisti, controllo della spesa farmaceutica, determinerebbero un netto risparmio. Credo però che, se esiste la reale volontà di controllare la spesa sanitaria, sia superato il tempo dei piccoli interventi parcellari, ma che occorra una rivoluzione nel sistema.
I cardini di questa rivoluzione, a mio avviso, sono:
- centralità del paziente
- riduzione degli sprechi e delle duplicazioni inutili
- ripensamento dell’aziendalismo in sanità
Per rispondere a queste premesse va ripensato l’aziendalismo in sanità, perché non è eticamente accettabile che un ente, pubblico o privato, svolga speculazioni sulla salute del cittadino per implementare i guadagni. La metodologia, per rifondare la sanità pubblica in Italia, non può che vedere, al centro, la figura del medico di famiglia, unica figura sanitaria gradita ai cittadini, come hanno testimoniato recenti indagini di mercato, ed unico sanitario a prendere in considerazione la globalità del paziente e non solo la sua patologia. Il medico di famiglia quindi non solo come gatekeeper, come fonte di risparmio su voci marginali, come oggetto su cui scaricare attività non gradite ad altre figure, ma reale interfaccia tra sanità pubblica e cittadino.
Come si configura questa immagine è fondamentale (anche se un po’ offuscato in questi anni):
- il MdF è un professionista, che gode di un privilegiato rapporto biunivoco di fiducia col proprio paziente
- non è quindi eludibile la singolarità della sua azione, ben distinta, ad esempio, dal tipico lavoro collegiale e gerarchico della sanità ospedaliera
- per i MdF può essere studiata, ma col vincolo della libertà di adesione, la possibilità o l’opportunità di forme associative, modulabili come adesso (associazionismo semplice – medici in rete – medici che condividono il medesimo ambulatorio): l’associazionismo deve essere semplificato burocraticamente, nel senso di agevolare la possibilità di creare, sciogliere o modificare con regole chiare e semplici, l’associazione stessa.



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- compito primario del MdF è la diagnosi della patologia e la possibile cura del paziente, nei limiti delle proprie capacità: ne deriva la necessità di un rapporto organico con l’ospedale e le strutture diagnostiche sul territorio
- la metodologia di approccio al paziente è quella della medicina fisica, cui si possono aggiungere, ed incentivare, le possibilità di semplici interventi diagnostici, nella distinzione dei ruoli e delle necessarie specializzazioni.
- il collegamento con il SSN: apparirebbe che l’informatizzazione sembri un elemento preponderante tra gli obiettivi delle ASL. La motivazione, esplicitata dalle strutture pubbliche, è il controllo dell’attività del medico Lascia ampi dubbi che tale impellenza si svolgo solo verso (o contro?) il medico, mentre siamo totalmente privi, come abbiamo visto, di analoghi controlli sulle altre fonti di spesa. E’ una scelta da ritenersi utile soprattutto al servizio stesso, e quindi da svolgere a spese del SSN. La fornitura di computer, se necessaria, della linea telefonica preferenziale, del programma, deve essere evidentemente a carico del SSN. L’informatizzazione resta quindi come elemento da incentivare, ma da lasciare ancora alla libera adesione dei sanitari, con tutele molto più ampie di quanto esiste finora per ciò che concerne la privacy, sia del paziente che del medico.
- in questo rapporto, che non è olistico, ma sicuramente molto pregnante, il MdF, che è un libero professionista per esplicita scelta del potere centrale, deve vedere la sua posizione tutelata molto meglio sia dal punto di vista normativo che economico. E’ ormai passato, o almeno speriamo che sia passato, il tempo in cui i MdF hanno tutte le peggiori incombenze del professionista e nessuno dei vantaggi derivabili dalla dipendenza.

Maurizio Bruni, medico in Milano.




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