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Pregi e difetti dell'Intelligenza Artificiale in Medicina

Categoria : Medicina digitale
Data : 25 dicembre 2025
Autore : admin

Intestazione :

Quale può essere il ruolo dell'Intelligenza Artificiale nella pratica medica di oggi?



Testo :

Per gran parte del Novecento la medicina ha costruito i suoi straordinari successi adottando un approccio prevalentemente biomedico, concentrato sul corpo e sui meccanismi biologici della malattia. Questo modello ha consentito enormi progressi diagnostici e terapeutici, ma ha spesso trascurato la dimensione psicologica e sociale dell’esperienza di malattia, riducendo il paziente a un insieme di organi, parametri ed esami. La svolta concettuale è arrivata nel 1977 con George Engel, che ha proposto il modello biopsicosociale, riconoscendo la malattia come il risultato di un’interazione dinamica tra fattori biologici, psicologici e sociali e restituendo centralità alla persona nella sua interezza. Su questa scia si inserisce la medicina narrativa, sviluppata da Rita Charon, che valorizza la storia individuale del paziente come strumento fondamentale per comprendere più a fondo la malattia e per costruire un’alleanza terapeutica solida, basata sull’ascolto e sul riconoscimento reciproco.

Oggi questo quadro si arricchisce dell’ingresso dell’Intelligenza Artificiale, che sta trasformando profondamente la pratica medica grazie a strumenti capaci di supportare diagnosi, chirurgia, monitoraggio e gestione dei percorsi di cura. L’IA promette maggiore efficacia, rapidità ed efficienza, ma solleva anche il timore di una possibile disumanizzazione del rapporto medico-paziente. In realtà, il modello biopsicosociale e l’IA non sono in contraddizione: l’IA può essere un potente alleato tecnologico, straordinariamente efficace nell’analisi dei dati e nella formulazione rapida di ipotesi diagnostiche, ma resta priva di coscienza, intenzionalità ed empatia. Proprio per questo il ruolo del medico non viene ridimensionato, bensì ridefinito e rafforzato: al professionista spetta il compito di integrare competenze cliniche avanzate con capacità comunicative ed emotive, offrendo ciò che nessun algoritmo può replicare, ovvero una presenza umana autentica, una connessione profonda, supporto e compassione.
L’IA, infatti, non è in grado di riconoscere e validare le emozioni del paziente né di comprendere appieno le sue preoccupazioni personali, come il peso di una storia familiare di tumori o la paura che accompagna l’attesa di un esame. Può suggerire gli accertamenti necessari per escludere patologie gravi, ma solo il medico sa bilanciare le ipotesi più allarmanti con una rassicurazione realistica, fondata sull’esperienza clinica e su una valutazione statistica comprensibile. È il medico che riesce a contestualizzare le informazioni cliniche all’interno di un dialogo che non è semplice scambio di dati, ma anche condivisione emotiva e sostegno. In questo senso, mentre l’IA informa, il medico prende in carico la persona, curando non solo il corpo ma anche lo spirito, offrendo un antidoto potente all’ansia amplificata dall’era digitale.
I punti di forza dell’IA in medicina sono evidenti soprattutto nella capacità di elaborare diagnosi differenziali in tempi estremamente rapidi. Di fronte a sintomi sfumati, sovrapposti o aspecifici, l’IA può confrontare migliaia di scenari clinici, analizzare correlazioni tra sintomi, anamnesi ed esami, suggerendo ipotesi che potrebbero sfuggire all’occhio umano, soprattutto in condizioni di stress o urgenza. Per il medico questo significa avere un assistente instancabile, un secondo sguardo che stimola la riflessione clinica e può ridurre il rischio di errore; per il paziente può rappresentare uno strumento di maggiore consapevolezza, capace di favorire un dialogo più informato e partecipativo. L’IA può inoltre supportare il medico nella gestione dei casi complessi, nell’aggiornamento continuo, nel rispetto delle linee guida, nel monitoraggio dei parametri in tempo reale, nel miglioramento del triage e nella semplificazione della burocrazia, rivelandosi un alleato prezioso in un sistema sanitario sotto pressione.

Tuttavia, per quanto potente, l’IA resta uno strumento privo di coscienza. Può simulare un linguaggio empatico, ma non comprende davvero la sofferenza; può suggerire un trattamento, ma non coglie la singolarità emotiva del paziente; può ridurre gli errori tecnici nelle attività ripetitive, ma non può sostituire l’esame obiettivo né l’intuizione clinica che nasce dal contatto diretto. Inoltre, gli algoritmi non sono neutrali: riflettono i bias e le disuguaglianze presenti nei dati su cui sono addestrati e, in caso di errore, la responsabilità ricade sempre sul medico. L’IA è veloce ma cieca, efficiente ma priva di giudizio, potente ma opaca.

Il medico, al contrario, incarna la dimensione umana della cura. È colui che sa ascoltare il non detto, interpretare i segni e i sintomi all’interno di una vita concreta fatta di relazioni, paure e speranze. Attraverso un gesto semplice, come una mano sulla spalla, può trasmettere fiducia e contenimento emotivo; attraverso la sua esperienza clinica può dare senso ai dati e trasformarli in cura.


Renato Rossi



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stampato il 22/12/2025 alle ore 21:53:26