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Osteoporosi post-menopausale
Inserito il 18 febbraio 2006 alle 16:21:00 da R. Rossi. | stampa in pdf | Commenta questo capitolo | Consulta il tutorial pdf su come navigare il manuale al meglio
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Ressa:
In conclusione quali sono le scelte?

Rossi:
Di fronte ad una paziente con fratture vertebrali o con pregresse fratture da fragilità la scelta dovrebbe privilegiare i bifosfonati (alendronato e risedronato). Il raloxifene può essere una buona alternativa se i bifosfonati sono controindicati o non tollerati, considerando che, per ora, il farmaco ha dimostrato di ridurre le fratture vertebrali ma non quelle di femore; potrebbe essere prescritto anche in donne a rischio di cancro mammario perchè due studi hanno dimostrato un'efficacia del farmaco in prevenzione primaria [38,39].
Una terapia farmacologica può essere proposta anche nelle donne senza pregresse fratture con età superiore ai 60-65 anni e con multipli fattori di rischio e/o una diagnosi densitometrica di osteoporosi. Più difficile fornire raccomandazioni nelle donne più giovani, nelle quali l'uso degli estrogeni per periodi prolungati ha un profilo di rischio sfavorevole.
In tutti i casi, alla terapia devono essere associati calcio e vitamina D in quanto, in tutti gli studi clinici, questa combinazione veniva somministrata insieme ai farmaci.
Per il momento il paratormone rimane un trattamento con dati ancora preliminari e di seconda scelta, limitato ai pazienti con osteporosi grave ed elevato rischio di fratture che non possono fare altri trattamenti [22].
A livello di popolazione potrebbe essere utile invece una strategia preventiva che si basa sulla somministrazione di vitamina D per os ad alte dosi negli anziani (per esempio una somministrazione annuale di 400.000 UI in occasione della vaccinazione antinfluenzale). In realtà esiste un unico studio recente (100.000 UI di vitamina D3 ogni 4 mesi per 5 anni) in cui sia stata dimostrata una riduzione delle fratture [31], ma il trial è stato criticato soprattutto perché la frequenza delle fratture era autoriferita dai partecipanti. Gli autori affermano che molti dei partecipanti erano medici che verosimilmente sono stati accurati nel riportare le fratture e queste non differivano rispetto a quelle riscontrate tra i partecipanti non medici, il che rende improbabile un bias diagnostico, ma ammettono che si tratta di un trial pilota troppo piccolo per trarre conclusioni. La strategia della somministrazione unica annuale di dosi elevate potrebbe comunque ridurre il rischio fratturativo magari di poco ma in molti soggetti a rischio medio-basso e quindi i risultati ottenibili sarebbero quantitativamente molto superiori a quelli che si possono avere con interventi mirati su pochi soggetti a rischio elevato, interventi tra l'altro molto più costosi. Peraltro le due modalità di approccio non sono tra loro in contrasto.

Ressa:
Quanto deve durare la terapia?

Rossi:
Non lo sappiamo. Gli studi che hanno valutato l'efficacia dei vari farmaci sulle fratture hanno avuto una durata di alcuni anni ma è stato dimostrato che l'effetto positivo dell'alendronato sulla BMD si mantiene fino a 10 anni [19]; alla sospensione la perdita ossea riprende ma sembra non in modo accelerato. Non sappiamo neppure se possa essere utile la terapia ciclica. Le opinioni degli esperti infatti su questi punti sono divergenti e solo studi futuri ci potranno dare una risposta.
Vi è solo uno studio [42], che è un proseguimento del FIT, che suggerisce che proseguire l'alendronato per 10 anni potrebbe ridurre il rischio di fratture vertebrali cliniche (ma non di quelle vertebrali morfometriche e di quelle non vertebrali), ma il dato richiede conferme.

Ressa:
Per finire: cosa dicono le linee guida più recenti?

Rossi:
Nel 2008 sono state pubblicate le linee guida dell’American College of Physicians [51] che sostanzialmente non si discostano da quanto abbiamo detto.

Ressa:
Ci sono novità dell’ultima ora?

Rossi:
Il desonumab è un anticorpo monoclonale che inibisce una citochina (detta RANKL) necessaria all’attività degli osteoclasti. Si è dimostrata in grado di aumentare la massa ossea e ridurre le frattute sia in uomini con cancro prostatico in terapia androgenosoppressiva sia in donne in post menopausa con osteoporosi [53,54]. Tuttavia mancano per ora studi di paragone con gli altri trattamenti e dati sulla sicurezza a lingo termine. Staremo a vedere quali saranno gli studi futuri.





 
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