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Morbo di Basedow
Inserito il 26 febbraio 2006 alle 07:23:00 da A. Dalla Via. | stampa in pdf | Commenta questo capitolo | Consulta il tutorial pdf su come navigare il manuale al meglio
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CONSIGLI PER LA GESTIONE DEL PAZIENTE CON MORBO DI BASEDOW

La terapia del morbo di Basedow nasconde talora alcune insidie, che possono essere facilmente risolte e che richiedono solo un po’ di attenzione e qualche ricordo di fisiopatologia e di farmacologia.
- La terapia con Tiamazolo non è probabilmente solamente una terapia tireostatica, anche se il dato è ancora controverso; il farmaco agirebbe infatti anche sul sistema immunitario, riducendo l’espressione di determinanti HLA di classe 2° sui tireociti, probabilmente coinvolti nei fenomeni immunitari della malattia. L'effetto immunomodulante non è così rapido come quello sulla sintesi ormonale e questo potrebbe spiegare perché la terapia debba essere prolungata nel tempo per ridurre la possibilità di recidive, non infrequenti nella storia clinica della malattia.
- La terapia va proseguita, poiché numerosi studi hanno dimostrato un minor numero di recidive, per 18 mesi o più.
- I farmaci tireostatici possono causare, a dosaggi elevati, ipotiroidismo, con conseguente aumento della secrezione di TSH, che stimola non solo la secrezione ormonale ma anche l’accrescimento ghiandolare (e forse anche l’espressione sui tireociti di determinanti HLA di classe 2°).
Quindi, in caso d'aumento delle dimensioni del gozzo durante terapia con dosi anche minime di Tiamazolo (ad esempio ½ compressa al giorno) non si può ridurre ulteriormente o sospendere il tireostatico; conviene associare un dosaggio minimo efficace di L-Tiroxina (spesso sono sufficienti 0.75 mcg/Kg/die, ad esempio una compressa da 50 mcg per una persona adulta di 70 Kg.) per inibire il TSH.Si tratta di un accorgimento terapeutico tuttora oggetto di discussione; nel 1991 uno studio giapponese dimostrò una marcata riduzione di recidive in Pazienti trattati contemporaneamente con L-Tiroxina e Tiamazolo.Indagini successive non confermarono il dato, ma la terapia d’associazione entrò comunque nella pratica terapeutica corrente.
 
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