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Depressione
Inserito il 26 febbraio 2006 alle 13:03:00 da R. Rossi. | stampa in pdf | Commenta questo capitolo | Consulta il tutorial pdf su come navigare il manuale al meglio
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APPENDICE. ANTIDEPRESSIVI E RISCHIO DI SUICIDIO


La querelle circa il possibile aumento del rischio di suicidio associato all'uso degli antidepressivi e in particolare degli SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina) non è nuova.
Nel 2005 tre studi pubblicati dal BMJ non avevano consentito di trarre conclusioni certe [1,2,3].
Una revisione sistematica di RCT [1] in cui gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina erano stati paragonati a placebo o ad altre terapie (702 RCT per oltre 87.000 pazienti) aveva trovato che l'uso degli SSRI era associato ad un rischio doppio di suicidio o di tentativi non riusciti di suicidio rispetto al placebo o ad altri trattamenti diversi dai triciclici ma non c'erano differenze tra SSRI e triciclici. Tuttavia gli autori avvertivano che gli studi esaminati potevano avere numerose limitazioni e non stimare correttamente il rischio.
Una seconda meta-analisi [2] che aveva considerato anche trials non pubblicati (477 trials per un totale di 40.000 pazienti) concludeva che non possono essere esclusi nè importanti benefici degli SSRI rispetto al placebo nè importanti pericoli di aumento del rischio di suicidio: vi è una certa evidenza di aumento del rischio di autolesionismo non fatale, ma nessuna prova di un aumento dei suicidi; comunque la durata degli studi è troppo breve per poter arrivare a dati definitivi circa gli effetti a lungo termine.
In un terzo studio [3], di tipo caso-controllo, con una coorte di oltre 146.000 pazienti, si suggeriva che chi usa SSRRI non ha un rischio suicidario superiore a chi usa triciclici, ma risulta una evidenza debole che questo rischio possa essere aumentato nei pazienti più giovani (età < 18 anni).
Nel 2005 l'EMEA dava mandato ad un comitato di esperti di esaminare il profilo di sicurezza degli SSRI ed SNRI. Il comitato concludeva che questi farmaci non devono essere usati nei bambini e negli adolescenti, eccetto che per le indicazioni approvate per queste età, in quanto vi può essere un aumento dei comportamenti aggressivi e di tendenza al suicidio rispetto al placebo [4].Tuttavia una metanalisi recente di RCT concludeva che nei bambini il rischio di tentato suicidio è inferiore ai benefici ottenibili con gli antidepressivi [11].
Sempre nel 2005 la rivista elettronica BMC Medicine pubblicava uno studio norvegese su 1.500 pazienti da cui sarebbe risultato che la paroxetina aumentava il rischio di suicidio rispetto al placebo [5]. La ditta produttrice del farmaco contestò lo studio affermando che si trattava di dati vecchi di 15 anni mentre l'EMEA, dopo aver esaminato la documentazione disponibile sul farmaco, riaffermava il profilo favorevole di paroxetina nel trattare depressione e disturbi correlati all'ansia.
La stessa EMEA nel 2006 autorizzava l'uso di fluoxetina nei bambini e negli adolescenti ma solo in caso di fallimento della psicoterapia (almeno 4-6 sedute); la dose iniziale deve essere di 10 mg da aumentare eventualmente a 20 mg/die; se non ci sono benefici clinici dopo 9 settimane il trattamento deve essere riconsiderato [9].
Ma la storia non è finita qui perchè la ditta produttrice di paroxetina, nel marzo 2006, ha informato la FDA dei risultati di una sua analisi sui dati a sua disposizione affermando testualmente. " Negli adulti con MDD (major depressive disease) vi è un incremento statisticamente significativo dei comportamenti suicidiari nei pazienti trattati con paroxetina rispetto al placebo" [6]. In seguito la stessa ditta inviava una lettera ai medici in cui si sottolineava che è difficile stabilire una relazione di tipo causa-effetto tra paroxetina e suicidio negli adulti a causa del numero esiguo degli eventi , della natura retrospettiva dell'analisi e della presenza di possibili fattori di confondimento associati ai sintomi stessi della malattia trattata.
Uno studio caso-controllo [7] riapre di nuovo la contesa arrivando a suggerire (sappiamo che le evidenze derivanti dagli studi caso-controllo vanno prese con molta cautela) che gli SSRI sono associati ad un aumento del rischio di suicidio negli anziani.
Un altro contributo alla vicenda [8] rende ancora più intricata la questione: i dati epidemiologici sarebbero a favore dell'uso degli SSRI perchè, dalla loro commercializzazione, la frequenza di suicidi non solo non è aumentata ma si è progressivamente ridotta, negli USA, mentre era rimasta sostanzialmente stabile nei 15 anni precedenti. E' possibile che questa riduzione sia dovuta non all'uso degli SSRI ma per esempio al miglioramento in genere dei servizi psichiatrici oppure a qualche altro fattore che non conosciamo? Difficile a dirsi anche se non lo possiamo escludere. Sta di fatto che l'associazione tra riduzione dei suicidi e prescrizione degli SSRI è molto suggestiva. Gli autori comunque sono prudenti: anche se i loro risultati indicano che l'introduzione di questi farmaci nel mercato ha contribuito a ridurre la frequenza di suicidi negli USA non escludono che in piccole sottopopolazioni di pazienti possano invece aumentare tale rischio.
Da ricordare anche uno studio di coorte su oltre 15.000 soggetti il quale suggerisce da una parte un aumento dei tentativi di suicido in chi usa antidepressivi ma dall'altra una riduzione significativa dei suicidi riusciti e della mortalità totale per riduzione delle morti cardio-cerebrovascolari durante la terapia con SSRI [10], due studi osservazionali che evidenziano come il rischio di suicidio sia maggiore prima che dopo l'inizio della terapia [12,13] e una rivalutazione dei trials pediatrici [14] che avanza il dubbio che le stime dei tentativi di suicidio effettuate a suo tempo dalla FDA siano errate per eccesso. Continuano comunque ad essere pubblicati lavori su questo argomento: così uno studio osservazionale, peraltro criticato, suggerisce che negli USA e in Danimarca la riduzione delle prescrizioni di SSRI avvenuta dopo l'alert della FDA risulterebbe associata ad un contemporaneao aumento dei suicidi nei giovani [15].
In attesa di nuovi sviluppi che portino ulteriori elementi per fare chiarezza come dovrebbe comportarsi il medico pratico?
Due dovrebbero essere le regole a cui conformarsi.
La prima è quella di trattare con un antidepressivo solo chi ne ha effettivamente bisogno: spesso i pazienti visti nella pratica di tutti i giorni non soffrono di drepressione maggiore ma di un disturbo sotto-soglia legato a momentanee difficoltà in famiglia o nel lavoro oppure ad eventi stressanti (un lutto, una separazione, ecc.) in cui una modesta reazione depressiva è del tutto normale; può essere allora sufficiente il counseling, la disponibilità all'ascolto ed un attento monitoraggio in modo da cogliere subito eventuali peggioramenti che indichino la necessità di un trattamento farmacologico. La seconda regola è di seguire scrupolosamente i pazienti in trattamento con antidepressivi, soprattutto quelli più impegnativi.
Questi soggetti richiedono un' attenzione particolare sia da parte del medico che dei familiari che possono essere chiamati a collaborare con i sanitari.




AGGIORNAMENTO 2009

Secondo una metanalisi di RCT presentati alla FDA il rischio di suicidio nei pazienti in trattamento con antidepressivi è strettamente legato all'età: in chi ha meno di 25 anni tale rischio sembra simile a quello visto nei bambini e negli adolescenti. L'effetto degli antidepressivi sembra neutro o protettivo nei pazienti di 25-64 anni e decisamente protettivo negli anziani > 65 anni.

Stone M et al. Risk of suicidality in clinical trials of antidepressants in adults: analysis of proprietary data submitted to US Food and Drug Administration. BMJ 2009 Aug 22;339:b2880
http://www.pillole.org/public/aspnuke/newsall.asp?id=4767



REFERENZE

1. Fergusson D et al. BMJ 2005 Feb 19; 330:396
2. Gunnel D et al. BMJ 2005 Feb 19; 330:385
3. Martinez C et al. BMJ 2005 Feb 19; 330:389
4. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=1709
5. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=1838
6. BMJ 2006 May 20;332:1175
7. Juurlink DM, et al. The risk of suicide with selective serotonin reuptake inhibitors in the elderly. Am J Psychiatry 2006;163: 813-21
8. Licinio J et al. PLoS Med (Public Library of Science Medicine journal) 2006; 3:e190
9. BMJ 2006 Jun 17; 332:1407
10. Tiihonen J et al. Antidepressants and the Risk of Suicide, Attempted Suicide, and Overall Mortality in a Nationwide Cohort. Arch Gen Psychiatry. 2006 Dec; 63:1358-1367.
11. Bridge JA et al. Clinical Response and Risk for Reported Suicidal Ideation and Suicide Attempts in Pediatric Antidepressant Treatment. A Meta-analysis of Randomized Controlled Trials. JAMA. 2007 Apr 18;297:1683-1696.
12. Simon GE and Savarino J. Suicide attempts among patients starting depression treatment with medications or psychotherapy. Am J Psychiatry 2007 Jul; 164:1029-34.
13. Gibbons RD et al. Relationship between antidepressants and suicide attempts: An analysis of the Veterans Health Administration data sets. Am J Psychiatry 2007 Jul; 164:1044-9.
14. Posner K et al. Columbia Classification Algorithm of Suicide Assessment (C-CASA): Classification of suicidal events in the FDA’s pediatric suicidal risk analysis of antidepressants. Am J Psychiatry 2007 Jul; 164:1035-43.
15. Gibbons RD et al. Early Evidence on the Effects of Regulators’ Suicidality Warnings on SSRI Prescriptions and Suicide in Children and Adolescents. Am J Psychiatry 2007 Sept; 164:1356-1363.
 
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