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Ricerche bibliografiche e trasferibilità degli studi
Inserito il 25 gennaio 2006 alle 22:12:00 da R. Rossi. | stampa in pdf | Commenta questo capitolo | Consulta il tutorial pdf su come navigare il manuale al meglio
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Rossi:
Ormai manca poco.
Nel valutare la validità interna di uno studio e la sua trasferibilità bisogna considerare i risultati e la loro interpretazione. Per esempio, una volta stabilito che un risultato è significativo statisticamente il nostro lavoro non è terminato. Dobbiamo stabilire se esso ha una qualche rilevanza clinica. I due concetti, significatività statistica e clinica, non necessariamente coincidono e se stabilire la prima è semplice, valutare la seconda lo è meno.
Un esempio ci farà comprendere meglio: supponiamo un RCT in cui vengono arruolati 40.000 pazienti, 20.000 trattati con il farmaco "X" e 20.000 con il farmaco "Y". L'end-point dello studio era la comparsa di scompenso cardiaco che aveva reso necessario il ricovero. Dopo un follow-up di 5 anni si ebbero 15 ricoveri per scompenso cardiaco nel gruppo "X" e 30 ricoveri nel gruppo "Y". Si può correttamente dire che il farmaco "X" riduce il rischio di scompenso del 50% e che il dato è significativo dal punto di vista statistico. Ma qual è l'impatto clinico? Se si calcola l'NNT (cioè il numero di pazienti che dobbiamo trattare per evitare un evento) notiamo che è necessario trattare 1333 pazienti per ben 5 anni per evitare un ricovero da scompenso cardiaco. In altre parole trattiamo inutilmente 1332 pazienti, che non riceveranno nessun beneficio dalla terapia mentre saranno esposti alla possibile comparsa di effetti collaterali potenzialmente gravi.
Come si può vedere significatività statistica non vuol dire automaticamente studio clinico importante. Un esempio reale di quanto detto si può trovare negli studi sulle statine. Esaminiamo due di questi studi e prenderemo confidenza con il metodo che si può usare per valutare l'efficacia di un intervento farmacologico. Nello studio denominato 4S (studio di prevenzione secondaria) dopo 5 anni di trattamento con una statina di soggetti con cardiopatia ischemica si ebbero 8,2 decessi ogni 100 pazienti nel gruppo statina e 11,5 nel gruppo placebo. Si ottenne un NNT di 30. Nello studio WOSCOPS (studio di prevenzione primaria), dopo 4,9 anni di trattamento si ebbero 3,2 decessi ogni 100 pazienti nel gruppo statina e 4,1 nel gruppo placebo. Si ottenne un NNT di 111. L'esame di questi dati permette di affermare che , pur avendosi un beneficio in entrambi gli studi, la terapia è molto più efficace in prevenzione secondaria perché si trattano meno soggetti per evitare un evento: in caso di risorse economiche limitate è ovvio che la precedenza venga data al trattamento dei pazienti a rischio più elevato perché il rapporto costi/benefici è più favorevole.

Ressa:
Ma uno studio non dovrebbe valutare anche il bilancio tra rischi e benefici del trattamento?
 
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