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Quello strano diabete |
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pag 1
75 anni, maschio, affetto da più di vent’anni da diabete mellito di tipo 2, è in discreto compenso glicemico con antidiabetici orali, però da alcuni anni accusa parestesie agli arti inferiori, nessuna lesione ai piedi. Cretinetti parte per le vacanze estive, quando torna, ascolta gli aggiornamenti del collega sostituto il quale lo informa che il suddetto paziente, da circa una ventina di giorni, si è aggravato. Egli ha chiesto una consulenza al centro diabetologico dove è stata fatta diagnosi di polineuropatia sensitivo motoria e consigliato il passaggio alla terapia insulinica che “Lei avrebbe dovuto cominciare anni fa, ai primi segni di questo problema, LO DICA al suo medico di BASE”. Il paziente si presenta in studio da Cretinetti, accompagnato dai due figli che lo reggono sotto le ascelle, deambula lentissimamente, barba lunga, eloquio lento, si siede di botto sulla poltrona e dice che si sente uno straccio, non ha appetito, è dimagrito di qualche chilo, gli fa male la testa: “Sono sicuro che ci ho un cancraccio, ho capito che me manca poco, ma vojo morì a casa mia.” Mostra il profilo glicemico del giorno precedente che è praticamente normale, come pure l’emoglobina glicata, dice che ha aspettato il ritorno di Cretinetti per avere conferma della giustezza del cambio di terapia orale con insulina, che non ha ancora iniziato; i figli, invece, insistono per un ricovero ospedaliero “per fare una TACCHE”. Cretinetti sta per avvallare il tutto, comincia a scrivere la minuta dell’impegnativa ma qualcosa però non lo convince, si accende una lampadina: spiega al paziente il suo sospetto diagnostico, gli chiede di eseguire prima del ricovero alcune analisi del sangue, queste, per fortuna, confermano l’illuminazione. Rimosso un tenacissimo scetticismo del paziente e dei figli, si inizia una nuova terapia orale per la malattia sospettata, a causa di questo trattamento il giorno dopo si richiede l’inizio anche della terapia insulinica. Dopo dieci giorni il moribondo si ripresenta in studio, da solo e tirato a lucido, magnificando le virtù diagnostiche di Falchetto. Non crede di essere migliorato in così poco tempo, imbonisce il pubblico in sala di attesa esclamando in romanesco che “Nun me riuscivo manco più a alzamme da la sedia e a famme la barba!!, ma Lui ce ha pensato a la diagnosi gggiusta”. Falchetto si affaccia alla porta della sua stanza e, colpito da una crisi di delirio diagnostico e di autostima, chiama ad alta voce “LAZZARO” il paziente, tra il tripudio dei servili mutuati, ma ha la coscienza sporca perché anni prima aveva formulato, in un caso simile, una goffa diagnosi che gli era costata una SONORA REVOCA della paziente e di tutta la sua famiglia. *
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