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Quella aspirina negata |
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pag 1
75 anni, affetto da ipertensione, sarcoma di Kaposi primitivo, diverticolosi e poliposi colica, è in terapia con irbesartan con buon compenso. Causa la sua professione è a contatto con molti papaveri della medicina uno dei quali, in una megacena “di lavoro”, sentenzia che “una bella aspirinetta alla tua età non fa male, anche perché sei iperteso e quindi più a rischio”; questa opinione mi viene riferita in studio dal paziente con una richiesta di prescrizione. È un personaggio MOLTO insistente e si sa che sono i peggiori perché ti fanno lavorare male, ma quel giorno la permalosità meridionale prevalse e gli dissi che non c’era ragione di prenderla, il paziente si seccò perché “caro dottore, un aspirinetta che male mi può fare?”; il discorso poi ritornò nei controlli successivi e, non so come, si riuscì a convincerlo a non insistere. Un mese fa subisce un trauma stradale, accompagnato al P.S. gli vengono riscontrate solo delle contusioni multiple e nient’altro. Pochi giorni fa Falchetto viene chiamato perché il paziente (vedovo senza figli, vive da solo) è stato trovato dal portiere a terra, è cosciente ma ha un deficit del lato destro del corpo con disartria, ha perso le urine; dopo una buona mezz’ora si riesce a convincerlo al ricovero urgente perché “dobbiamo fare un accertamento per valutare il danno al cervello”. Andando a casa Falchetto si macera l’animo pensando a quanto è stato stupido a negargli una prescrizione così banale, è stato un momento bruttissimo, gli scrupoli aumentavano e non riusciva a rimuoverli con nessuna giustificazione mentale; ha pensato anche a quante volte avrebbe dovuto bere l’amaro calice col paziente che gli avrebbe rinfacciato, a vita, quella dannata “aspirina negata per una giusta prevenzione”. Oggi finalmente la catarsi, viene la sorella a riferire che il paziente aveva un’enorme ematoma cerebrale subdurale la cui origine è stata fatta risalire al trauma di un mese orsono. Falchetto, di colpo, si leva un fardello che gli opprimeva l’animo e ha pensato che in questo caso anche una aspirinetta poteva essere un aggravante forse fatale e ha anche riflettuto sul fatto che vivendo da solo il paziente poteva benissimo morire di un “apparente ictus”, con relativi scrupoli di coscienza a vita, per il medico. Arte difficile, quella medica, perché a volte situazioni e giudizi si ribaltano di 180 gradi.
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