Le analisi di molteplici outcome sui pazienti randomizzati ai due bracci (= analisi di endpoint secondari) come le analisi di singoli o più outcome in strati del campione originale (= analisi per sottogruppi) rappresentano situazioni in cui si eseguono confronti multipli entro lo stesso campione, quello inizialmente arruolato nella ricerca. In primo luogo occorre ricordare che la numerosità dei soggetti da reclutare in un trial viene tarata solo sull' outcome primario. In pratica quando si studia l' incidenza di 'eventi' gli autori ipotizzano ex ante che alla fine della ricerca possa essere rilevata una precisa differenza tra i due bracci nell' incidenza dell' end-point primario e affidano al calcolo statistico la definizione di un sample size sufficiente a poterla dimostrare (2). In questo calcolo viene accettato un certo margine di errore, che può andare in due direzioni opposte. Esiste infatti sempre il rischio di identificare -erroneamente- differenze tra i due bracci quando in realtà non esistono (errore alfa: il livello accettato è di solito 5% ) e al contrario il rischio di non riuscire –erroneamente- a dimostrare differenze tra i due bracci quando queste in effetti esistono (errore beta: il livello accettato è di solito 10%-20%). Quando si analizza l’ incidenza di molteplici "outcome secondari" entro il campione originale il mancato riscontro di 'significatività statistica' per la differenza rilevata tra i due bracci nell’ incidenza di uno di questi deve essere interpretato con grande cautela. Infatti a volte ciò si verifica solo perchè -essendo la numerosità del campione originale tarata non su quell' endpoint ma sull' outcome primario- la differenza riscontrata tra i due bracci per quell' endpoint è troppo piccola per poter essere accompagnata da dimostrazione di "significatività". Il vero protagonista della ricerca è infatti l’ end-point primario: una volta scelto questo obiettivo tutta la potenza statistica dello studio viene spesa per le analisi ad esso riferite. Ecco allora che la 'non dimostrazione di significatività' statistica' per un outcome secondario può coincidere semplicemente con un errore "di tipo II" (errore beta, o 'falso negativo') ossia col non rilevare differenze tra i due bracci quando queste in effetti esistono. L' errore beta è tanto più frequente quanto più i confronti tra i due bracci vengono eseguiti in presenza di numerosità campionarie inadeguate. Questa situazione si realizza ancora più facilmente nelle "analisi per sottogruppi". In questi casi infatti l’ errore beta è in agguato non solo per i risultati che si riferiscono agli end-point secondari ma anche per quelli che riguardano l' end-point primario: quando i due bracci vengono confrontati entro il contesto di un "sottogruppo", ovviamente la numerosità di questo strato del campione è -per forza!- sempre minore di quella del campione originale. E' interessante notare che nello studio ASCOT-BPLA gli outcome secondari sono rappresentati per lo più da end-point compositi non tra di loro indipendenti e che le dimensioni del campione dello studio ASCOT-BPLA sono per il 62.5% (10/16) inferiori a quelle necessarie a dimostrare nei singoli casi le differenze rilevate tra un braccio e l' altro. Gli autori anzichè limitarsi a giustificare solo per l' outcome primario la possibilità di un sottocampionamento dovuto a precoce interruzione dello studio avrebbero dovuto pertanto esprimere incertezze anche per i risultati rilevati per gli outcome secondari.