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Ipertensione - la terapia |
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Ressa: Nel capitolo dedicato all'inquadramento diagnostico avevi proposto una tabella che, in base ai valori di pressione e alla valutazione del rischio cardiovascolare a 10 anni, suggeriva il comportamento da tenere e quando considerare il trattamento.
Rossi: Attualmente si tende, infatti, a personalizzare la terapia non considerando più solo il parametro pressione in sé, ma valutando il paziente nel contesto del rischio globale (vedi il capitolo relativo). Questo concetto sta alla base delle attuali linee guida, che variano nei dettagli ma non nella filosofia di fondo (anche se per la verità questo aspetto è meno approfondito nelle ultime linee guida americane).
Ressa: Quale valore di pressione raggiungere?
Rossi: La terapia deve tendere a portare i valori di pressione al di sotto di 140/90 mmHg. Per i diabetici e i nefropatici viene consigliato un target inferiore a 130/80 ( o 130/85) mmHg. Mentre per il diabete esistono prove che trattando aggressivamente la pressione si riducono le complicanze cardiovascolari [1], non altrettanto si può dire per i nefropatici. Anzi, uno studio in pazienti affetti da nefropatia ipertensiva non è riuscito a dimostrare che la riduzione della pressione a valori inferiori a 130/80 mmHg riduce il peggioramento della funzionalità renale, l'insufficienza renale terminale e i decessi rispetto a chi aveva una pressione media di 140/85 mmHg [2]. Ovviamente uno studio negativo non significa che sia errato cercare di raggiungere un target più basso nei nefropatici. Questo vale probabilmente anche per gli ipertesi con rischio elevato (per esempio quelli con scompenso cardiaco congestizio o con cardiopatia ischemica) anche se vi sono poco evidenze derivanti da studi sperimentali [14,15].
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