Rossi: Gli studi sperimentali e le meta-analisi sulla terapia farmacologica dell'ipertensione sono così numerosi che sarebbe impossibile anche solo citarli. Mai come in questo campo è evidente quanto si diceva a proposito dello screening mammmografico: gli studi e le meta-analisi ci danno dei numeri ma la loro interpretazione è spesso fonte di divergenze. Lo studio ALLHAT [3] ne è un esempio lampante. In questo storico RCT (sicuramente il più importante sulla terapia antipertensiva sia per la durata sia per il numero di pazienti) furono arruolati oltre 33.000 soggetti ipertesi > 55 anni con almeno un fattore di rischio cardiovascolare associato. I pazienti furono randomizzati in tre gruppi: un gruppo assumeva un diuretico tiazidico (clortalidone), un gruppo assumeva un calcio-antagonista (amlodipina) e il terzo gruppo assumeva un ace-inibitore (lisinopril). Lo studio dimostrò che non vi erano differenze tra i tre trattamenti per l'end-point primario (infarto fatale e non fatale) ma che il tiazidico era superiore agli altri trattamenti per qualche end-point secondario (scompenso cardiaco per il calcio-antagonista e scompenso cardiaco, stroke ed eventi cardiovascolari combinati per l'ace-inibitore).
Ressa: E dire che i medici che trattavano i pazienti, in primis, col diuretico, venivano etichettati come “parrucconi”, per non dire peggio. Un bel bagno di umiltà, ogni tanto, non fa male.
Rossi: Pensa che lo studio ALLHAT originariamente prevedeva anche un quarto gruppo (clortalidone versus doxazosina) che però venne interrotto anticipatamente dal comitato etico perché un'analisi ad interim aveva dimostrato un eccesso di ricoveri per scompenso cardiaco nel gruppo in terapia con l'alfa-bloccante, scatenando non poche polemiche tra gli studiosi.