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Il paziente anziano |
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pag 1
Ressa:
Argomento caldo questo, visto che la vita media si è allungata e abbiamo pazienti che superano abbondantemente gli 80 e talora i 90 anni.
Rossi:
Soprattutto se si tiene conto che i pazienti con più di 65 anni, e soprattutto quelli oltre i 75, sono anche quelli che più spesso consultano il medico, ed è naturale che sia così perché con l'invecchiamento cresce la probabilità di ammalarsi, anzi direi di pluriammalarsi (se mi passi il termine), perché di solito si ha a che fare con malati che presentano più di una patologia contemporaneamente. Dal punto di vista epidemiologico possiamo già tracciare un primo quadro: sono più le donne che gli uomini, spesso sole e con scarse possibilità di accedere ai servizi sanitari.
Ressa:
Vi sono vari aspetti che concorrono a rendere particolare il paziente anziano...
Rossi:
Gli anziani buggerano sempre, hai detto in un'altra parte del Manuale. In effetti i sintomi in questi pazienti possono manifestarsi in maniera più sfumata, non specifica o francamente equivoca; inoltre i meccanismi omeostatici di compenso sono limitati e questo li rende particolarmente fragili di fronte a patologie acute, il metabolismo dei farmaci è rallentato e questo fa aumentare la probabilità di effetti collaterali. Da ricordare ancora che essendo "plurimalati" assumono anche molti farmaci, con interazioni imprevedibili.
Ressa:
Quali sono gli aspetti da valutare di fronte ad un anziano che visitiamo per la prima volta?
Rossi:
Direi che dobbiamo focalizzare l'attenzione sui seguenti aspetti: lo stato fisico, lo stato mentale, le capacità funzionali. A questo aggiungerei anche una valutazione sommaria dell'ambiente in cui vive, della famiglia e del suo stato socio-economico. E' ovvio che un ottantenne senza problemi economici, che vive in una famiglia che può fornire un adeguato supporto (badante, infermiere, ecc) è diverso da un paziente che vive da solo, con la pensione minima, senza familiari che siano disposti o che possano occuparsi di lui.
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