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La prevenzione in medicina |
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pag 2
In questo capitolo faremo alcune considerazioni generali sugli screening oncologici, pratiche che si rivolgono a soggetti apparentemente sani con lo scopo di diagnosticare in una fase precoce le neoplasie, rinviando alle corrispondenti sezioni del libro per altri particolari su ogni singolo screening . Il razionale dello screening oncologico si basa sulla presunzione che scoprire anticipatamente un tumore dia più possibilità di trattarlo e aumenti le speranze di guarigione. Si tratta di un'idea assolutamente logica e ragionevole. In realtà per alcune neoplasie (per esempio i tumori prostatici e forse anche quelli polmonari) vi è il sospetto che lo screening porti solo ad una anticipazione della diagnosi ma non ad un reale beneficio in termini di riduzione della mortalità. Questo potrebbe dipendere dalla particolare caratteristica evolutiva di alcuni tumori, per cui scoprirli in una fase preclinica precoce (anche di alcuni anni) è ininfluente sulla prognosi. Un esempio servirà a chiarire questo aspetto. Supponiamo che un certo tipo di tumore si sviluppi all'età di 50 anni e che le sue caratteristiche evolutive siano tali per cui metastatizza subito, quando è ancora di dimensioni ridotte, per sue peculiarità intrinseche. Supponiamo ancora che queste metastasi rimangano nascoste e asintomatiche per 15 anni e poi comincino a svilupparsi autonomamente e portino al decesso del paziente dopo 5 anni. Un paziente che si sottopone allo screening avrà una diagnosi precoce, per esempio gli sarà scoperto il tumore a 58 anni, le metastasi diventeranno clinicamente evidenti a 65 anni e la morte avverrà a 70 anni. l contrario in un paziente che non si sottopone allo screening la diagnosi avverrà più tardivamente, per esempio a 61 anni, le metastasi si renderanno evidenti a 65 anni e la morte avverrà sempre a 70 anni. In questo ipotetico caso lo screening non avrà portato alcun reale beneficio, anzi renderà prima consapevole il paziente di avere una neoplasia. Se però qualcuno giudicasse la sopravvivenza dal momento della diagnosi potrebbe erroneamente pensare che lo screening è efficace perché nel primo caso il paziente, dopo la diagnosi, vive 12 anni, nel secondo caso ne vive 9. Si tratta di una pura ipotesi ma potrebbe spiegare perché gli studi in cui è stata usata la radiografa del torace per lo screening del cancro polmonare in soggetti a rischio (per esempio forti fumatori) non hanno finora dimostrato una riduzione della mortalità. Ed è per questo che una pratica di screening, per essere accettata come efficace, dovrebbe dimostrare di ridurre la mortalità e non di aumentare la sopravvivenza dopo la diagnosi.
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