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Il problema delle metastasi e il follow up
Inserito il 19 febbraio 2006 alle 12:45:00 da M.Grassi-G.Ressa. | stampa in pdf | Commenta questo capitolo | Consulta il tutorial pdf su come navigare il manuale al meglio
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Ressa:
Superata la fase del primo “incontro” col cancro, con le sue conseguenze terapeutiche, chirurgiche, chemioterapiche, radianti, singole o combinate tra loro, scatta la seconda fase: quanto vivrà il paziente?.
Fino a poco tempo fa era sul volume del cancro che vertevano le discussioni tra medici e pazienti, la domanda “Quant’è grande?” la faceva da padrone; nel tempo essa è stata sostituita dal “Quanto è brutto?” perché è oramai chiaro che non è tanto il volume, quanto la malignità biologica cellulare che conta, passando dagli estremi di cancro “Grande e fesso” a cancro “Piccolo e fetente” ove per “fetente” si intende la sua capacità di diffondersi nell’organismo precocemente, prima cioè della sua primitiva scoperta, dando le temute metastasi.
Nessuno, poi, sa il perché alcuni tumori diano recidive a distanza anche dopo 25 anni dal trattamento primitivo. Quelli più rischiosi, da questo punto di vista, sono quelli ormono dipendenti (mammella, prostata, ecc.) mentre quelli “ormono indifferenti” si possono ragionevolmente considerati guariti dopo 10 anni “silenti” dalla presentazione iniziale, con i primi 5 anni statisticamente più pericolosi per una recidiva.
Il fatto è che non sappiamo con certezza perché una metastasi stia “dormiente” anche per molto tempo e poi si faccia clinicamente manifesta, le ipotesi sono molte ma nessuna convincente, presa singolarmente.
Detto questo si fa pressante il problema di stabilire l’utilità dei controlli a distanza, dovrebbero essere ritenuti necessari solo se la scoperta anticipata delle metastasi aumenti la sopravvivenza del paziente, altrimenti gli infelicitiamo solamente il tempo che gli è rimasto da vivere.
Per la maggior parte dei tumori, la scoperta della metastasi coincide, infatti, con la caduta della speranza di una guarigione “definitiva” e si può solo aumentare la sopravvivenza, anche se spesso non la qualità della vita residua che viene passata in gran parte in compagnia di medici e trattamenti.

 
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