Bolognesi: Le linee-guida del NCEP ATP III, pubblicato nel 2001, insistono nell’indicare il colesterolo legato alle LDL come il principale bersaglio della terapia liporiducente, e nell’abbassare il livello massimo per l’LDL–C a 100 mg/dl per i pazienti ad alto rischio (con CHD, diabete mellito di tipo 2, o altre forme d’aterosclerosi non coronarica) e per individui senza CHD ma con alto rischio globale (rischio di CHD a 10 anni >20%). Le linee-guida dell’ATP III attribuiscono molta enfasi al livello dei trigliceridi sia come componente della sindrome metabolica (vedi capitolo relativo) che come elemento d’alto rischio di CHD. In presenza di coronaropatia o di rischio > 20% il colesterolo LDL deve essere inferiore a 100 mg/dL (per valori compresi tra 100 e 129 mg/dL) la terapia è opzionale; in presenza di 2 o più fattori di rischio ma con rischio inferiore al 20% il colesterolo LDL deve essere inferiore a 130 mg/dL; in presenza di uno o di nessun fattore di rischio il colesterolo LDL deve essere inferiore a 160 mg/dL.
Rossi: Ho sentito parlare del "colesterolo non HDL". Di cosa si tratta?
Bolognesi: Il «colesterolo non HDL» viene considerato un obiettivo secondario della terapia quando i trigliceridi sono elevati (≥ 200 mg/dL). Il colesterolo non HDL comprende il colesterolo LDL e il colesterolo VLDL ed è stato aggiunto nella valutazione del rischio di sviluppare una CHD essendo un dato accessibile e misurabile delle VLDL aterogeniche restanti che risultano elevate in presenza di trigliceridi elevati. Il valore ottimale del colesterolo non HDL per i pazienti a rischio maggiore è di almeno 30 mg/dL più alto del valore ottimale del colesterolo LDL, oppure inferiore a 130 mg/dL, sempre per i pazienti ad elevato rischio cardiovascolare.