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Demenza |
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C'è poi lo studio denominato AD2000 [5] che si proponeva di determinare se il donezepil produce miglioramenti che ne giustifichino l'uso nel morbo di Alzheimer. In particolare sono stati considerati miglioramenti della disabilità, della dipendenza, del comportamento, dei sintomi psicologici, del ritardo nella istituzionalizzazione. Lo studio voleva inoltre determinare quali pazienti traggono beneficio dal farmaco, a quali dosi e per quanto tempo. Sono stati reclutati 565 pazienti affetti da morbo di Alzheimer lieve-moderato, randomizzati a donezepil o placebo. Non c'era alcun miglioramento, rispetto al placebo, sulla percentuale di pazienti istituzionalizzati e sulla progressione della disabilità.
Inoltre non si riscontrarono differenze significative tra donezepil e placebo per quanto riguarda i sintomi comportamentali e psicologici, i costi sanitari, gli eventi avversi, la morte, l'utilizzo di caregiver.
Anche un altro studio, che ha valutato il donezepil nella demenza vascolare [6], è arrivato a conclusioni tutto sommato sovrapponibili.
Secondo una recente revisione sistematica gli studi sugli inibitori della colinesterasi mostrerebbero debolezze metodologiche [18].
Ressa:
E il progetto italiano denominato CRONOS? Che risultati ha prodotto?
Rossi:
I risultati del progetto CRONOS [3] dimostrano che dopo 9 mesi di terapia solo un paziente su dieci mostra dei miglioramenti e se il paziente non risponde entro tre mesi è difficile possa rispondere con un trattamento più prolungato.
Per finire, ricordo che la FDA ha emanato un "safety warning" sulla galantamina usata nel deficit cognitivo lieve, per il cui approfondimento rimando alle voci bibliografiche [10,17,23].
Ressa:
Nella mia esperienza mi stupisco quando il paziente migliora.
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