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Consenso informato e limiti etici nelle sperimentazioni cliniche |
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Consenso informato e sperimentazioni
Vorrei fare un esempio. Supponiamo di trovarci in una situazione in cui non esista in letteratura una prova di livello primario, ossia uno studio controllato prospettico, randomizzato sull'efficacia di un certo trattamento per la prevenzione di un evento molto grave, potenzialmente fatale, ma che non necessariamente si vericherą. Supponiamo che tuttavia in letteratura, pur non essendoci una prova definitiva, ci siano alcune evidenze pubblicate che supportino l'efficacia del trattamento a scopo preventivo e soprattutto che nella corrente pratica clinica, anche se non del tutto supportata da EBM, si attui quella determinata procedura. Supponiamo che la procedura sia potenzialmente rischiosa, ma che, pur senza evidenze definitive, venga applicata da molti medici nella loro pratica clinica. Se uno sperimentatore decidesse di fare uno studio clinico per validare definitivamente la metodica dovrebbe convincere i pazienti o, se del caso, i loro tutori, a dare il proprio consenso a partecipare alla sperimentazione. Ebbene, che cosa potrebbe mai dire lo sperimentatore a questi pazienti? Dovrebbe spiegare, verbalmente o meno, un sacco di cose su cui egli stesso non sa molto in termini rigorosi, dovrebbe spiegare che gli esiti sono incerti, che incerti sono anche le risultanze di un eventuale diniego ad effettuare il trattamento. Se, paradossalmente lo sperimentatore volesse in qualche modo favorire un certo risultato potrebbe usare proprio il momento della concessione del consenso informato per orientare la selezione dei pazienti verso un arruolamento o meno di un certo tipo di pazienti, proprio usando l'asimmetria di rapporto e tutta la sua drammatica carica emozionale.
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