Rossi: Due studi hanno dimostrato l'utilità di tale pratica anche negli ottantenni [10,13]. Bisogna notare però che lo studio HPS [13] era praticamente uno studio di prevenzione secondaria nell'86% della popolazione arruolata, mentre lo studio PROSPER [10] era uno studio misto, per metà aveva pazienti in prevenzione secondaria e per metà in prevenzione primaria e per questi ultimi non si ottenne alcuna riduzione della mortalità totale e degli eventi avversi gravi totali [15]. In più vi sono alcuni studi osservazionali che suggeriscono che una colesterolemia troppo bassa negli anziani possa essere addirittura pericolosa [19,20,21,42,45]. Direi quindi che negli anziani si possa prescrivere una statina in prevenzione secondaria oppure se si reputa che il rischio sia particolarmente alto per l'esistenza di una colesterolemia molto elevata con altri fattori associati, evitando di ottenere comunque valori troppo bassi. Tuttavia per amor di verià debbo ricordare che uno studio osservazionale ha messo in dubbio l'utilità delle statine negli anziani di 80 o più anni che hanno avuto un infarto [48].
Ressa: Passiamo alla vecchia, cara aspirina.
Rossi: L'aspirina viene usata in prevenzione secondaria e le dosi basse (75-150 mg/die) si sono dimostrate efficaci come quelle più elevate [22]. In prevenzione primaria l'uso dell'aspirina è stato testato in 5 RCT. Una meta-analisi di questi RCT ad opera della USPSTF [23] conclude che il rapporto rischi/benefici è favorevole e quindi si può consigliare la somministrazione di aspirina quando il rischio cardiovascolare supera la soglia del 10% a 10 anni. Vi sono però anche pareri discordanti. Per esempio Clinical Evidence [24] ritiene che gli studi attualmente disponibili non permettano di identificare in quali individui ci sarà un beneficio e in quali il trattamento con aspirina sarà pericoloso. Secondo altri l'aspirina in prevenzione primaria dovrebbe essere consigliata (se non esistono controindicazioni) ai soggetti con rischio > 15% a 10 anni oppure a quelli con rischio tra il 7% il 14% che hanno un diabete o una ipertensione con danni d'organo o che hanno una capacità di esercizio ridotta per l'età. Nei pazienti con rischio < 7% i rischi della terapia superano i benefici [25]. In definitiva mi sembra che la questione non sia per il momento ancora risolta e vada decisa di comune accordo tra medico e paziente.