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Il rischio cardiovascolare |
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pag 24
Ressa: E per finire: il problema dei trigliceridi
Rossi: L'ipertrigliceridemia costituisce un fattore di rischio per cardiopatia ischemica ma i dati sono in qualche modo contrastanti. Una meta-analisi su 17 studi prospettici di popolazione [40] aveva dimostrato che, dopo aggiustamento per i valori di colesterolo HDL e di altri fattori di rischio, l'aumento dei trigliceridi è associato ad un aumento del rischio cardiovascolare del 14% (95% CI 1.05-1.28) negli uomini e del 37% (95% CI 1.13-1.66) nelle donne. Tuttavia un'altra meta-analisi di 3 studi di popolazione non ha trovato che i trigliceridi forniscano informazioni di una qualche utilità in più della conoscenza delle varie frazioni del colesterolo [31]. Il problema maggiore è che, al momento, non esistono evidenze di buona qualità che trattare l'ipertrigliceridemia isolata, in assenza di altri fattori di rischio, riduca la morbidità e la mortalità coronariche. I farmaci più usati per ridurre l'ipertrigliceridemia sono i fibrati ma una revisione sistematica dei dati della letteratura [41] conclude che mentre per statine e acidi omega 3 esistono evidenze di una riduzione della mortalità cardiovascolare e totale per i fibrati i benefici della riduzione della mortalità cardiovascolare sembrano essere annullati da un aumento della mortalità per cause non cardiovascolari. Una recente meta-analisi su più di 83 RCT in cui venivano usati i fibrati in prevenzione secondaria non mostra benefici su mortalità totale e cardiovascolare nonostante la terapia portasse ad un aumento del colesterolo HDL e ad una riduzione di trigliceridi e colesterolo LDL e degli eventi coronarici [43]. Nello studio FIELD, su pazienti diabetici, il fenofibrato non ha ridotto l'end-point primario (morte coronarica e infarti non fatali) nè la mortalità totale, anche se vi è stata una riduzione dell'infarto non fatale e di alcuni end-point secondari (alcune complicanze della microangiopatia diabetica, interventi di rivascolarizzazione). Come è noto però la riduzione di un singolo componente dell'end-point primario o di end-point secondari va sempre interpretata con molta prudenza [49]. Ovviamente valori elevati di trigliceridi (> 500 mg/dL) vanno comunque trattati per l'elevato rischio di pancreatite. Per valori inferiori di trigliceridemia, la prima da cosa da fare è ricercare e trattare altri e più forti fattori di rischio (ipertensione, diabete, ipercolesterolemia, obesità) che spesso sono associati all'aumento dei trigliceridi nella cosiddetta sindrome metabolica, al cui capitolo rimando, oppure cause secondarie di ipertrigliceridemia come l'alcolismo, diete ad alto contenuto di lipidi, le epatopatie e l'ipotiroidismo). Le linee guida americane del NCEP III consigliano anzitutto il miglioramento dello stile di vita (dieta, attività fisica, astensione dagli alcolici) perché spesso l'ipertrigliceridemia migliora drammaticamente con queste misure. In alcuni casi, in soggetti ad alto rischio perché assommano vari fattori, può essere utile cercare di ridurre i trigliceridi anche con i farmaci (fibrati, acido nicotinico). Bisogna però fare attenzione che se si usa contemporaneamente una statina l'associazione con fibrati va attentamente valutata e soppesata, vanno usate le più basse dosi possibili e la terapia va monitorata scrupolosamente.
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