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Il rischio cardiovascolare
Inserito il 13 febbraio 2006 alle 19:47:00 da R. Rossi. | stampa in pdf | Commenta questo capitolo | Consulta il tutorial pdf su come navigare il manuale al meglio
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Rossi:
Un attimo di pazienza perché adesso te ne faccio venire una "a grappolo".
Le recenti linee guida americane hanno addirittura ridotto il target dell'LDL da raggiungere nei soggetti a rischio molto elevato portandolo a 70 mg/dL, innescando una polemica infuocata perché molti degli esperti che le hanno stilate avrebbero avuto un qualche tipo di rapporto economico con le ditte che producono statine. Alcuni hanno chiesto che fossero rivisti tutti gli studi sulle statine per elaborare nuove linee guida "indipendenti" [34].
Ma il tuo "grappolo" è destinato a peggiorare perché voglio citarti un altro punto controverso: come consideriamo i diabetici? Le ultime linee guida americane ed europee [2,3] considerano i diabetici ad un livello di rischio paragonabile a quello di un infartuato e quindi non si applica a loro il calcolo. Secondo le carte dell'Istituto Superiore di Sanità [1] il diabete va invece considerato alla stregua di un qualsiasi altro fattore (fumo, pressione, età, colesterolo) e questo porta a stratificare anche i diabetici in fasce di rischio differenti.

Ressa:
Dissento su quest’ultimo parere, in 25 anni di professione ho imparato a temere moltissimo il diabete, anche quello che riesco a compensare alla perfezione.
Le peggiori sorprese me le aspetto dai diabetici.

Rossi:
Guarda, qui ognuno dice la sua: c'è uno studio abbastanza curioso [4] in cui gli autori si sono "divertiti" ad applicare a 100 pazienti consecutivi afferenti ad una clinica per diabete e dislipidemie quattro linee guida per la prescrizione di statine.
Si ottenevano i classici numeri al lotto: ogni linea guida identificava pazienti diversi. Per esempio secondo le linee guida americane si dovevano trattare con statine 32 soggetti, mentre per le linee guida europee erano 22 (ma solo 14 coincidevano con quelli identificati dagli americani).

Ressa:
Torniamo alla domanda di partenza: “Quale carta del rischio?”.

Rossi:
Le carte italiane si basano su 12 coorti di popolazioni arruolate tra gli anni '80 e '90 (quasi 27.000 soggetti), seguite alcune fino al 1998, altre fino al 2002.
Penso perciò che rispondere alla domanda di quali carte usare sia intuitivo: le carte italiane sono tagliate su misura per la maggioranza dei nostri pazienti (i pazienti extra-comunitari costituiscono in questo senso un problema che attualmente non sappiamo come risolvere perché arrivano da paesi nei quali non sono state elaborate funzioni di rischio).
 
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