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Il rischio cardiovascolare |
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Stucchi: Forse conviene segnalare un sito nel quale recuperare le carte del rischio italiane, caso mai qualcuno ne fosse ancora sprovvisto.
Rossi: Ecco fatto: www.cuore.iss.it
Ressa: Si legge sempre più spesso di usare nuovi markers di rischio cardiovascolare per migliorare al nostra capacità di indovinare il futuro. PCR ultrasensibile, omocisteina, fubrinigeno, BNP, rapporto albumina/creatinina nelle urine, ecc
Rossi: Si ma in generale sembra che questi nuovi paarmetri migliorini di poco quanto si riesce ad ottenere con la stima tradizionale, per cui per ora vale concentrarsi su questa e lasciare il resto ai ricercatori [62,63].
Ressa: Una volta calcolato il rischio individuale, come ridurlo?
Rossi: Vi sono ampie evidenze che è possibile ridurre il rischio cardiovascolare sia con interventi sullo stile di vita che con interventi farmacologici. Un acronimo molto utile per ricordare le misure da attuare è il seguente: A = antiaggreganti B = blood pressure (pressione elevata da ridurre) C = colesterolo elevato da ridurre D = dieta E = esercizio fisico F = fumo da abolire
Interventi sullo stile di vita L’attività fisica regolare, l’astensione dal fumo e la dieta mediterranea sono misure molto efficaci nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. Però per molte persone stare sul divano a guardarsi i mondiali di calcio è meglio che sudare su una bicicletta o in palestra; per altri fumare è piacevole e mangiar bene è ancora meglio. Anche dopo una malattia grave come un infarto, il malato tende ad obbedire ai consigli del medico per un tempo limitato ma inevitabilmente quando il ricordo dell'evento si fa sbiadito riprenderà a mangiare come prima, ad abbandonare l'attività fisica e talora anche a fumare. Lo hanno dimostrato molto bene i due studi Euroaspire (uno del 1995-96 e l'altro del 1999-2000). L'Euroaspire II ha evidenziato che, in soggetti con malattia coronarica accertata, continuava ad essere elevata la percentuale di fumatori, di obesi e di pazienti che non praticavano alcun tipo di attività fisica. I pazienti sono meno ignoranti di quanto supponiamo noi medici, sanno benissimo che dovrebbero mangiar meno e con meno grassi, che dovrebbero muoversi, non fumare, ma spesso rispondono che in fondo si vive una volta sola. Qualcuno sostiene che i risultati deludenti, anche nei pazienti ad alto rischio, dipendono dal fatto che i medici fanno poca informazione, si impegnano poco e si limitano a distribuire qualche pasticca. Ma, a mio avviso, si tratta di una spiegazione semplicistica di una realtà molto più complessa. Il fatto è che una volta che abbiamo informato il malato sui rischi che corre a perseverare nel suo stile di vita, riteniamo di aver esaurito il compito: la palla spetta a lui e non ci sogniamo certo di mettergli un guardiano alle spalle per controllare se si fa ogni giorno una camminata a passo spedito di un'ora e se evita il fegato alla veneziana; al massimo ogni volta che lo vediamo possiamo ripassargli la lezione, ammesso che ad un certo punto non cambi medico o non risponda che se volesse sentire prediche andrebbe in chiesa. D'altra parte è inevitabile che sia così.
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