Ressa: E se invece il paziente non risponde o risponde poco?
Rossi: Se non c'è una buona risposta iniziale si consiglia di aumentare la dose del PPI al massimo dosaggio in due somministrazioni al giorno. Se i sintomi ancora non migliorano, oppure se dopo un'apparente miglioramento ricompaiono persistenti e non responsivi oppure se, come dicevo prima, sono presenti all'inizio sintomi di allarme bisogna richiedere una EGDS per confermare o escludere la diagnosi di RGE ma soprattutto per valutare se non vi siano condizioni come una grave esofagite, un Barrett o una neoplasia.
Ressa: In alcuni pazienti con sintomi più lievi la terapia iniziale potrebbe prevedere un H2 bloccante (ranitidina e simili) da proseguire poi con una strategia al bisogno in caso di buona riposta, mentre in caso di non responders si passa al PPI. I PPI rimangono comunque i farmaci di scelta e si sono dimostrati superiori agli H2 bloccanti nel guarire le esofagiti erosive e nel prevenire le ricadute [11].
Rossi: L'approccio che ho appena schematizzato e che viene consigliato dalle linee guida è, come si dice, costo/efficace e riduce i costi e i disagi del paziente in quanto prevede l'esecuzione di indagini strumentali solo in casi ben selezionati come sintomi di allarme o non risposta al trattamento empirico [4]. E' evidente però che difficilmente pazienti con sintomi che recidivano alla sospensione del trattamento o che devono assumere cronicamente farmaci si accontenteranno di una diagnosi clinica per cui opportunità di tipo relazionale porteranno spesso il medico a richiedere un esame endoscopico, se non altro a scopo tranquillizzante.