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Il paziente con sintomi inspiegabili
Inserito il 05 febbraio 2006 alle 17:02:00 da G Ressa. | stampa in pdf | Commenta questo capitolo | Consulta il tutorial pdf su come navigare il manuale al meglio
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Ressa:
Vi è anche un altro rischio. Negli anni, l’acquisita “sicurezza” professionale, può portare a equiparare pericolosamente il sintomo “inspiegabile” al sintomo “inesistente” cioè inventato, oppure poco importante o, ancora, ascrivibile a patologie preesistenti, in quest’ultimo caso più che “sintomo inspiegabile“ parlerei di sintomo “spiegato male”. I vecchi maestri, però, ammonivano: ”Il paziente ha sempre ragione!” e devo dire che i peggiori errori che ho fatto nella professione sono scaturiti proprio dall’inosservanza di questa raccomandazione; con apparente paradosso, questo non è successo all’inizio della carriera ma dopo i primi 15-20 anni.

Rossi:
La conoscenza del paziente non dovrebbe aiutarci?

Ressa:
Magari fosse così. Essa può talora aiutare, come pure essere un pericoloso boomerang se il curante, nell’analisi dei dati a disposizione, ha la lavagna diagnostica già scritta; il clinico prudente cancella, invece, le informazioni precedentemente acquisite nella cura del paziente e non si siede sempre su diagnosi già acquisite nella storia del malato.

Rossi:
Hai qualche caso da raccontarci?

Ressa:
Perbacco, mi inviti a nozze! Proprio quest’anno mi è capitato il caso di una mia anziana paziente, etichettata come affetta da demenza su base cerebro vascolare, che ha accusato un progressivo peggioramento della sua motilità, con andatura a piccoli passi, riferita astenia ingravescente e umore depresso. All’inizio ho cercato di spiegare ai congiunti che la malattia avanzava inesorabile, in questo corroborato anche dal parere di illustri neurologi chiamati a consulto, essi affermavano, inoltre, che la demenza spesso si complica con una depressione, tutto il quadro era quindi spiegabile in questi termini. La paziente stava pericolosamente “arretrando” dalla passeggiatina intorno al palazzo a una “clausura” in casa, poi su una poltrona, era arrivata sulla soglia dell’allettamento. Mi ero industriato a spiegare all’anziano coniuge che era senz’altro il caso di ingaggiare una badante “perché purtroppo le demenze non perdonano!”; la paziente continuava a lamentarsi che “non ce la faceva ad uscire” e io a insistere “che senza uno sforzo di volontà non c’era un farmaco che le aprisse la porta di casa”. La sindrome più che inspiegabile era spiegata male, ma “il paziente ha sempre ragione”, con grosso ritardo si accese la lampadina diagnostica e, corroborato da indagini di laboratorio, ho fatto diagnosi di polimialgia reumatica, la paziente, con 20 milligrammi di corticosteroidi esce tutti i giorni, cammina spedita e magnifica le mie capacità diagnostiche (sic!), il marito è raggiante. In caso contrario si sarebbe allettata, con tutte le conseguenze del caso, “perché la demenza alla fine fa così “.
 
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